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GENNAIO 2014

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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DICEMBRE 2013

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SOMMARIO

Il Fatto
Rivitalizzare il ruolo del sindacato - di A. Foccillo
Darò una mano per l’unica cosa che vale la pena fare: il sindacato. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
La carta della Uil - di C. Barbagallo
I positivi risultati contrattuali nel settore agroalimentare - di S. Mantegazza
Alitalia: Dal prestigio al fallimento, storia di una grande compagnia vittima di cattive gestioni. Intervista a Claudio Tarlazzi - di K. Di Cristina
Il mosaico Italia che perde i pezzi (IV) - di P. Nenci
Emerge dunque l’esigenza di potenziare i presidi interni ai fondi pensione con la destinazione di nuove risorse ed anche attraverso la fornitura di servizi da parte di Assofondipensione - di M. Abatecola
Il rebus degli scatti - di F. Ricci
Ferrovie in Italia: 2014 siamo sul binario giusto? - di G. C. Serafini

Economia
E adesso? - di E. Canettieri
Europa in declino - di G. Paletta

Il Corsivo
Matteo chi? - di P. Tusco
Il gran premio faccia di bronzo - di P. T.

Il Ricordo
Gianni Salvarani, purtroppo non è più con noi - di L. Angeletti
Ciao Gianni - di A. Foccillo

La Recensione
La sfida delle repubbliche partigiane - di P. N.

Cultura
Il capitale umano di Paolo Virzì - di S. Orazi

Inserto n°.1
Indagine dei senza sale - di P. Nenci

Inserto n°.2
INDICE 2013 di Lavoro Italiano

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EDITORIALE

Rivitalizzare il ruolo del sindacato

Di Antonio Foccillo

Con l’avvio della fase congressuale, decisa nell’ultimo consiglio confederale, bisognerà aprire una discussione molto ampia, sincera e libera sulla riappropriazione di un ruolo propositivo ed attivo delle confederazioni nel panorama politico ed economico del Paese. Ruolo che, in quest’ultimo periodo, per la crisi economica internazionale e per un regresso delle azioni di concertazione sulle tendenze di fondo e generali della politica economica del Paese, è apparso poco efficace e in ombra (vedi la legge di stabilità). Dopo la lunga fase di crisi dell’unità sindacale che ha visto le tre organizzazioni ritrarsi al proprio interno alla ricerca di una nuova stabilità e di una nuova identità, oggi si registra una tendenza verso il recupero del rapporto unitario, alla luce delle diversità che nel frattempo si sono concretizzate. Questi impulsi unitari non si manifestano con uguale intensità o uguali finalità, nascono piuttosto da origini e motivazioni diverse. Al di là di ciò, non si può comunque restare a metà del guado, incerti su quale sponda approdare e cioè se è meglio assecondare un processo unitario entro cui stemperare le differenze, oppure sostenere prioritariamente i valori della singola organizzazione.

Queste due ipotesi ci danno la possibile prospettiva unitaria e la scelta non può essere ambigua, soprattutto perché dobbiamo anche valutare quale ruolo vogliamo far giocare al sindacato nel domani. Certo, il rapporto unitario con Cgil e Cisl rappresenta una condizione di riferimento per una strategia sindacale diretta ad essere rappresentativa del movimento dei lavoratori, ma dobbiamo coraggiosamente tener conto della nostra diversità quantitativa e qualitativa, diversità rispetto alla quale dobbiamo chiederci se vogliamo ignorarle, e pagare un’appartenenza all’unità e all’apparente legittimità rappresentativa dell’intero mondo del lavoro con lo svilimento delle nostre peculiarità, oppure decidere di partire da ciò che effettivamente siamo, e rappresentare, nell’unità, una parte dialettica e costruttiva, salvaguardando in ciò la nostra identità. Per fare questo, dobbiamo cambiare pelle, dobbiamo saper sostenere il nostro rinnovamento politico e organizzativo. A partire proprio dalle strutture di base.

L’accordo sulle regole delle elezioni del Rsu, recentemente sottoscritto, rappresenta un momento di grande innovazione, perché dobbiamo essere in grado di raccogliere il consenso non solo degli iscritti, ma anche degli altri lavoratori. Quindi sarà fondamentale il messaggio che invieremo al mondo del lavoro; la presenza efficace nelle aziende e nel territorio con professionalità, onestà e costanza; la qualità dei candidati che dovranno rappresentare i lavoratori e rappresentarci, ma soprattutto anche la dinamicità della nostra azione. La funzione delle rsu diventa molto importante perchè, oltre che garantire i lavoratori, dovranno dare vita alla democrazia del confronto politico e strategico nei posti di lavoro. Quindi i nuovi organismi aziendali dovranno salvaguardare la presenza della rappresentanza organizzativa, nonché prevedere modalità di elezioni conseguenti, con criteri di distribuzione idonei a tutelare i due momenti, quello del lavoro e quello della proposta politica di organizzazione.

Ci attende un grande lavoro e, come è avvenuto nel pubblico impiego, riusciremo anche in questo caso a rafforzare la nostra organizzazione. Ma se è fondamentale un rapporto con il mondo del lavoro, attraverso le rsu, che consenta di trasmettere senza distorsioni anche le qualità politiche della nostra organizzazione, altrettanto importante risulta appropriarci di strumenti politici finalizzati ad un intervento nella società intesa come progetto civile e comunitario. Ciò significa integrare i due momenti della strategia sindacale, quello che si proietta verticalmente sul mondo del lavoro, e quello che affronta l’orizzonte politico, economico e sociale, nel quale è implicito lo sviluppo del lavoro. Se in passato, la Uil, in particolare, aveva fatto la scelta di assumere progettualmente il contesto di politica economica, attraverso una politica dei redditi e la concertazione che avessero come riferimento le condizioni globali di determinazione economica e, nonostante quello che sostengono i suoi detrattori, ciò ha significato la crescita verso una nuova collocazione sociale e politica più matura, oggi questa scelta richiede un ulteriore sviluppo e cioè rappresentare le profonde trasformazioni avvenute nel tessuto economico, produttivo e culturale. La nostra azione deve partire dall’assunzione del ruolo di soggetto politico che promuova un riformismo sulla base di un nostro progetto di crescita ed evoluzione delle condizioni di benessere sociale del cittadino e dei lavoratori. Intendendo per benessere assicurare nelle scelte politiche la natura di equità e uguaglianza che attengono alla funzione dello Stato e dalle quali discende la distribuzione delle tutele e delle diverse garanzie.

Se vogliamo dare concretezza al nostro essere laici e riformisti allora non possiamo ignorare un progetto di democrazia di sviluppo, anche ideale, della natura profonda dell’Europa e dell’Italia, in particolare, della sua cultura, delle sue libertà e delle sue uguaglianze. Questa scelta, così come lo è stata quella della politica dei redditi e della concertazione, non deve discendere dalla maggiore o minore vicinanza al movimento sindacale della forza politica che, di volta in volta dirige il governo, deve essere una scelta di campo, di ragion d’essere, che costituisca per il lavoro e la società una proposta che al di la delle emergenze, si proietti verso un rinnovamento costane della società. Il recente passato dimostra l’indebolirsi del peso politico del sindacato confederale nel sistema socioeconomico, con un arretramento delle sue capacità di determinare e influenzare le scelte di governo, sia quelle economiche sia quelle politiche. Dove, se la pratica strategica del conflitto appare ormai superata e inattuale, quella dello scambio politico ha sofferto numerose difficoltà, a causa dei partiti della seconda repubblica, che hanno contrastato la richiesta di partecipazione del sindacato, alle determinazioni economiche e politiche. Questa, per il sindacato, in quanto soggetto politico, è la sola strategia di attacco e l’azione sindacale diretta a comprendere il lavoratore anche nelle sue vesti di cittadino può riproporre il sindacato ad un ruolo nuovamente determinante. Bisognerà riuscire a contestualizzare diversi ambiti di azione sindacale, integrandoli tutti in una politica di comprensione del legame che oggi unisce la realtà dei luoghi di lavoro con le condizioni di sviluppo macroeconomico e le condizioni di distribuzione della ricchezza e l’assicurazione delle garanzie e tutele sociali.

Una politica di attiva partecipazione attenta non solo alle funzioni di distribuzione economica, ma anche allo sviluppo di migliori condizioni di salute sociale, eliminerebbe il rischio per il sindacato di ripiegare su un’azione di rimessa, non idonea a intervenire nelle gestioni politiche ed economiche del Paese. Il movimento sindacale non può svolgere solo un’azione limitata ad un ambito puramente rivendicativo aziendalistico ma deve proiettarsi in un più ampio progetto politico di riformismo, che sappia operare un rinnovamento della democrazia politica e per il raggiungimento della democrazia economica. In tal modo si acquisirebbe nuova credibilità sociale, dimostrando la legittimità e la capacità ad essere soggetto interlocutore nei processi di decisione e realizzazione delle realtà economiche, politiche e sociali. Perciò rappresentare il cittadino non può significare solo adottare una politica di rappresentanza delle necessità di tutela sociale del lavoratore, a cui provvedere con una rete di servizi di organizzazione, che pure in un momento come questo è importantissimo, deve significare anche sostenere una politica di riforma e di partecipazione ai diversi momenti di gestione dello stato sociale.

Recuperare un ruolo di gestione significa dunque ritrovare quella capacità di influire nel contesto economico e sociale della nostra democrazia, e in ciò la Uil come agente sociale portatore di valori e di culture, trova il motivo di un progetto sociale complessivo. Il nuovo spazio sindacale che così si offre è quello di rappresentare il lavoratore non solo come utente di strutture pubbliche, ma anche come beneficiario di democrazia che queste strutture esprimono - rappresentando con ciò non solo la necessità quotidiana di servizio, ma anche la necessità laica e riformista, per un sistema civile che sia sempre più determinato da principi di equità e di eguaglianza.

Ma se una nuova strategia politica è fondamentale per ricollocare la Uil nel diverso contesto sociale che si è venuto a determinare, occorre pure essere nelle condizioni organizzative idonee per realizzare una simile strategia. Occorre una struttura organizzativa efficace ed una politica organizzativa, come quella che abbiamo impostato, rappresenta lo strumento indispensabile e prioritario, per sviluppare azioni adeguate. Queste sono le cose, non certo esaustive, che dobbiamo affrontare nella discussione congressuale, esaminando la capacità di proporre linee strategiche, di raccogliere consenso sulla base delle nostre proposte, di stimolare passione e interesse sulle idee della Uil, piuttosto che sulla carta d’identità delle persone che si propongono quali dirigenti dell’organizzazione.

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Darò una mano per l’unica cosa che vale la pena fare: il sindacato. Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

“Ho deciso che al prossimo Congresso della Uil, che si svolgerà nel mese di novembre, non mi ricandido a Segretario generale”. Non avrei saputo, caro Luigi, iniziare diversamente questa nostra ormai tradizionale chiacchierata. Mi risulta difficile rappresentare, con parole mie, quella che, per la nostra Organizzazione, è la notizia dell’anno. Dunque, la tua esperienza alla guida della Uil volge davvero al termine?

Sì, dopo 14 anni alla guida della Uil ritengo che sia giunto il tempo di passare il testimone. Sono assolutamente orgoglioso di essere stato, per questo lungo periodo, dal 13 giugno del 2000, Segretario generale della Uil e sono assolutamente convinto che il mio successore continuerà a farmi sentire orgoglioso di essere della Uil, che non abbandonerò. E’ stata la parte migliore della mia vita e perciò continuerò ad essere legato alla nostra Organizzazione.

A questo proposito, nel corso della Conferenza stampa in cui hai illustrato le ragioni della tua scelta, ai colleghi giornalisti che ti chiedevano informazioni sul tuo futuro e sul tuo successore, hai dato risposte molto chiare. Vuoi ribadirle?

A proposito di chi sarà il mio successore ho precisato che, al momento, non ci sono né rose né identikit. Ci sarà, come al solito, un’ampia consultazione e, su quella base, darò l’indicazione al Consiglio confederale, che si svolgerà prima del Congresso. Quel che è certo è che sarà il più bravo perché a lui dovremo affidarci per dare nuovo corpo alla Uil del domani: nella scelta prevarrà il merito e questo è un nostro comune sentire. A chi poi ha chiesto informazioni sul mio futuro, presumendo che io possa avere davanti a me una specifica strada, ho risposto, invece, che la mia vocazione verso la politica è molto bassa e che, dunque, darò una mano per l’unica cosa che vale la pena fare: il sindacato.

Il Consiglio confederale, nel corso del quale hai fatto il tuo annuncio, ha segnato l’avvio della stagione congressuale. Quello di costruire un sindacato a rete resta l’obiettivo strategico anche del prossimo Congresso?

Certamente. Abbiamo deciso che il XVI Congresso si svolgerà a Roma dal 19 al 21 novembre e che l’obiettivo a cui puntiamo nel corso di questa nuova stagione congressuale è di attuare in modo compiuto un sindacato nuovo, a rete, così come lo abbiamo definito già in occasione della recente Conferenza di Organizzazione. Si tratta di costruire una presenza più efficiente e capillare, fondata anche su una moderna strumentazione, che consenta di essere presente nei luoghi in cui i problemi dei lavoratori e dei pensionati emergono in tutta la loro evidenza. Ed è lì, nelle fabbriche, negli uffici e nei territori, che occorre affrontarli e risolverli.

E’ una questione di maggiori sinergie tra le varie strutture?

La Confederazione e le categorie nazionali sono sempre state sufficientemente in grado di interagire. Questo rapporto non è ugualmente fluido ed efficiente nei territori. Noi pensiamo che sia necessario partire da lì per costruire un sindacato nuovo in grado di affrontare problemi sempre più diversificati per realtà.

Che la realtà presenti situazioni articolate lo dimostrano anche i recenti dati relativi al fatturato delle imprese. Le differenze che emergono nel sistema produttivo possono avere ripercussioni anche sul sistema organizzativo sindacale?

Certamente. Il fatturato è aumentato per le imprese che esportano, ma è diminuito per quelle che operano sul mercato interno. Questo fenomeno non è ascrivibile a una specifica categoria, ma è trasversale e differenziato non solo per tipologie – mercato interno ed estero – ma anche per territorio. Lì convivono, insieme, anche a pochi metri di distanza l’una dall’altra, situazioni di crisi e di crescita. Per governare tutto ciò, occorre un sindacato rinnovato, capace di essere immerso in quelle realtà così composite e complesse.

Intanto, lo scorso 10 gennaio è stato compiuto un altro passo nella storia del sindacato: Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno varato il testo unico sulla rappresentanza. Le relazioni sindacali ne usciranno trasformate?

Quello che abbiamo sottoscritto non è un banale accordo su cosa sono i sindacati e chi essi rappresentano. Noi abbiamo attuato un cambiamento della Costituzione materiale del sindacato. Nei prossimi anni saremo in grado di fare accordi a maggioranza avendo, preventivamente, messo in campo gli strumenti necessari per questa misurazione. E’ una sfida davvero importante per tutti noi.

Se anche la politica fosse in grado di attuare una riforma istituzionale, avremmo fatto fare anche al paese un passo avanti…

Non c’è dubbio. Stanno provando a raggiungere un’intesa sulla riforma della legge elettorale che è importante, ma il pilastro vero su cui costruire il nuovo edificio è rappresentato dalla riforma della Costituzione e del sistema istituzionale attraverso cui il potere politico democratico esercita le sue funzioni. Noi abbiamo bisogno di governi che siano in grado di assumere decisioni e non di galleggiare, che abbiano la forza e la coerenza di realizzare il programma presentato ai propri elettori. Il superamento del bicameralismo perfetto costituirebbe un passo importante in questa direzione e potrebbe essere anche il presupposto per un primo visibile taglio dei costi di funzionamento della politica.

Passiamo alle vicende aziendali e partiamo da Fiat. Dal matrimonio con Chrysler è nato il nuovo gruppo – FCA - che offre importanti garanzie e prospettive anche per il nostro Paese. Sergio Marchionne ha confermato gli impegni: è così?

Sì, gli investimenti negli stabilimenti italiani sono confermati e le produzioni saranno finalizzate in particolare all’export. Produrre in Italia per vendere nel mondo è la migliore garanzia per la stabilità dell’occupazione in Italia. Nel corso dell’ultimo incontro Marchionne ha precisato che la presentazione del piano verrà fatta a maggio alla comunità finanziaria degli Stati Uniti. Ciò che il Governo deve fare, poi, per tutti e non solo per l’auto, è facilitare le esportazioni industriali.

Le preoccupazioni di alcuni sul futuro degli stabilimenti Fiat, dunque, sono del tutto infondate?

Non capisco perché gli italiani dovrebbero essere preoccupati: adesso abbiamo un’azienda più grande, più solida, che non solo ha i soldi per fare gli investimenti negli stabilimenti italiani, ma che – lo ribadisco - può vendere nel mondo i prodotti che realizza in Italia.

E la vicenda Electrolux? Vogliono restare in Italia riducendo, però, di molto, i salari…

La proposta di Electrolux è ingiusta perché tende a scaricare sui lavoratori le inefficienze burocratiche, i costi elevati dell’energia elettrica e tutti gli altri problemi. Ed è anche pericolosa perché se si decidesse di affrontare questo tipo di difficoltà con la riduzione dei salari, non faremmo altro che aumentare ulteriormente la disoccupazione. Se ne esce in un solo modo: creando le condizioni perché l’azienda investa.

Infine, Alitalia. Che ne pensi dell’ormai imminente alleanza con gli arabi di Etihad?

Siamo in presenza di una possibile alleanza che avrà un impatto su tutta la struttura di Alitalia e sulle sue prospettive. L’avanzamento della trattativa tra le due compagnie è un fatto importante. Etihad ha un interesse a creare un proprio hub in Europa e questo potrebbe essere Fiumicino.

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