UIL: Lavoro Italiano | Novità nel sito
Il nostro indirizzo e tutte le informazioni per contattarci
Google

In questo numero

In questo numero
GENNAIO 2013

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

Direzione e Amministrazione
Via Lucullo, 6 - 00187 Roma
Telefono 06.47.53.1
Fax 06.47.53.208
e-mail lavoroitaliano@uil.it

Sede Legale
Via dei Monti Parioli, 6
00197 Roma

Ufficio Abbonamenti
06.47.53.386

Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

Il numero scorso

In questo numero
LUGLIO 2012

Altri numeri disponibili

SOMMARIO

Il Fatto
L’efficacia dell’azione sindacale è anche concorrere alla costituzione della democrazia partecipativa, delle libertà, e delle uguaglianze - di A. Foccillo
Il tema prioritario, per noi, resta quello della riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni - Intervista a Luigi Angeletti Segretaio generale UIL di A. Passaro

Attualità
Una politica per la crescita - Cinque proposte della UIL per far ripartire l’Italia

Sindacale
Rifiuti solidi urbani dalla Tarsu alla Tares: di male in peggio - Sintesi dell’indagine della UIL Servizio Politiche Territoriali - Osservatorio sulla fiscalità locale
Il nostro impegno nella UIL - di G. De Santis
L’Agenda della UILPA - di B. Attili
In Puglia, nel terzo trimestre 2012 la disoccupazione è stata del 13,8%, in rialzo dell’1% - di A. Pugliese
Accordo per la soluzioni della crisi del Call Center - di G. Turi
Il lavoro e’ una merce? - di P. Saija

Economia
Il nostro impegno è fornire strumenti sempre nuovi ed in linea con i fabbisogni di tutte le nostre aderenti e dei loro lavoratori - Intervista a Marco Galli, vicepresidente Fon.Coop - di G. Urbani
La vittoria dei Mercati e l’espansione liberista - di G. Paletta

Trasporti
Alitalia: “Ali…tana liberi tutti ...” - di G. C. Serafini

Il Corsivo
In difesa del comitato centrale - di P. Tusco

Agorà
La “nostra” storia - di C. Benevento
Il profilo del potere in Italia - di S. Fortino

Cultura
Django Unchained, di Quentin Tarantino - di S. Orazi

Inserto I
I Paesi dell’Unione Europea insigniti del Nobel 2012. Un continente di pace - di P. Nenci

Inserto II
Indice Lavoro Italiano 2012 - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

L’efficacia dell’azione sindacale è anche concorrere alla costituzione della democrazia partecipativa, delle libertà, e delle uguaglianze

Di Antonio Foccillo

La campagna elettorale si sta compiendo senza grosse risonanze. Si susseguono ritualità e assunzione di impegni tutti poi disattesi. Solite cose e pochi contenuti. I problemi restano tutti sul tappeto e nessuno ha una ricetta diversa da quelle ormai di routine elettorale. Tanto è vero che, per quanto possa sembrare strano, questa campagna elettorale ha portato tutti, compreso Monti, a disconoscere le pesanti misure che, precedentemente, hanno votato all’unanimità. Infatti, il governo Monti ha avuto una maggioranza politica che nessun altro presidente del consiglio ha mai avuto. Quindi, tutte le misure che hanno svuotato le tasche degli italiani, senza equità, e che hanno aumentato le tasse e la povertà sono state votate da chi oggi ipocritamente le vuole modificare.

Quello che manca sono proprio proposte concrete e credibili ed un confronto su tesi contrapposte sui tanti problemi che affliggono l’economia, l’occupazione, il settore produttivo, la povertà e le difficoltà di un paese sempre più chiuso nelle sue problematicità. Ma, se in questa campagna i partiti non danno gran prova di elaborazione strategica per una valida politica economica capace di ripristinare le condizioni per la crescita e lo sviluppo, manca anche la presenza energica e credibile di una proposta sindacale unitaria da cui ricavare le scelte e gli impegni per il futuro. La Uil, consapevole della necessità essere presenti, ha presentato al dibattito delle forze politiche la sua agenda dal titolo “Una politica per la crescita”, che pubblichiamo a parte.

E’ essenziale aver presente la natura politica, economica e sociale che ha caratterizzato gli avvenimenti che abbiamo alle spalle e quelli ancora in atto, proprio per questo, il sindacato deve ritornare ad essere protagonista, altrimenti fa il gioco di chi vuole escluderlo dalla partecipazione alle scelte economiche. Alcune dichiarazioni del presidente Monti sul sindacato, quelle di Grillo che vorrebbe addirittura abolire il sindacato, magari con un decreto (si propone un’idea che neanche nel periodo fascista fu sperimentata nel nostro Paese, infatti, i sindacati furono sostituiti dalle corporazioni e non aboliti del tutto) dimostrano l’aperta avversione verso questo soggetto che, in passato e nel presente si è fatto carico di far uscire l’Italia dai suoi buchi neri. Vorrei dire, in particolare a Grillo, che il sindacato non è nelle sue disponibilità, ma dei lavoratori che ancora continuano ad iscriversi, volontariamente, quindi senza alcun obbligo come in alcuni regimi del passato. Pertanto, il sindacato deve essere giudicato da chi rappresenta che è l’unico termometro della sua forza e della sua necessità di essere, soprattutto in una società in cui il primato dell’uomo è stato sostituito dal primato dell’economia.

Ma detto ciò per il sindacato si pone il bisogno di cambiare registro partendo proprio dal riconoscimento, apparentemente così difficile da sostenere, che non esiste più il vecchio modello sindacale, che identificavamo in un certo tipo di presenza nella società e sulla cui rappresentazione politica attrezzava i comportamenti organizzativi e strategici.E i segni di questa trasformazione sono molti e ne indico brevemente alcuni, per quanto sicuramente noti: la diminuzione della militanza e dell’attività volontaria nel sindacato; la flessione della partecipazione agli scioperi e ai momenti di pressione; l’erosione della capacità di iscrizione dei lavoratori prodotta dalla caduta delle ideologie; l’elevato indice di disaffezione alla partecipazione; il moltiplicarsi delle differenziazioni degli interessi, dei bisogni e delle identità sociali. Anche i mass-media, ed è pure questo un segnale significativo, palesano un progressivo disinteresse per il sindacato. Disinteresse, la cui motivazione va ricercata nel fatto che il sindacato è diventato un soggetto sociale sostanzialmente secondario e che quindi non genera le attenzioni del passato. Ebbene, con ciò non si vuole assolutamente recitare un “de profundis” per il sindacato, bensì chiarire le condizioni dalle quali ricavare le scelte che attengano al suo rinnovamento e soprattutto deve indurre a pensare i modi che ne possono caratterizzare l’esistenza.

Allora, venendo così alla vera e propria progettualità, si tratta di riconoscere e riaffermare un ruolo rappresentativo di un interlocutore sociale, il movimento sindacale, che ha subito un’irreversibile trasformazione. Il rinnovamento dell’azione e della proposta che il sindacato deve realizzare deve necessariamente essere profondo, intenso e imprescindibile. A partire prima di tutto dalle categorie politiche che applica per promuovere il suo ruolo. E’ indubbio il coraggio che è richiesto per uscire dalle scelte consuete, dalla rappresentazione di un movimento sindacale che in passato ci ha consentito di raccogliere un’ampia quota di gradimento. L’attuale consenso che è ancora possibile aggregare, quello che prefigura il futuro, va cercato anche fuori dell’area tradizionale del movimento sindacale, in quella realtà che ancora non si riesce a rappresentare. E per far ciò non deve assolutamente abdicare alla funzione ideologica, per trasformarsi totalmente in qualcos’altro. No, l’ideologia, cioè il pensiero politico, la cultura e le idee caratterizzanti, sono parte importante del suo essere attore sociale.

Specificamente, i valori laici e riformisti, tradizionalmente almeno di una parte del sindacato, non devono essere snaturati in una concezione che ne limita lo spazio operativo alle funzioni assistenziali e utilitaristiche, rinunciando così a porsi come soggetto di reale partecipazione alle scelte politiche ed economiche del paese. Cambiare, allora, coincide anche con il cambiare il compito squisitamente politico e sociale, volto a determinare i valori, le equità e la democrazia nella società. Si tratta dunque di agire verso una dimensione sociale che sempre si esprime nel consolidarsi di una cultura riformista. Si tratta, perciò, di sviluppare meglio le proprie specificità di forza sociale che anela ad una società diversa, con il coraggio di anticipare le aspettative sociali, spingendosi verso il riformismo della politica e degli interessi dei lavoratori, qualificando realmente e concretamente il sindacato come forza alternativa. Quindi all’interno di una nuova progettualità bisogna assumere il compito di superamento dell’attuale politica, e non di ripiego e adeguamento strategico.

Ancora la convivenza fra antico e moderno è intesa nel nostro sistema socioeconomico, tra strutture e culture tradizionali e strutture e culture nuove. Ma questa convivenza non risulta per niente facile, anzi si manifesta come contraddittoria e conflittuale. Contraddizione che non è solo nei modelli produttivi, ma si esprime drammaticamente nelle fratture che attraversano il tessuto sociale, tra chi è ancora partecipe di modelli antagonistici, classistici e conflittuali e chi, invece, avanza verso spazi di autonomia sociale, riscoprendo un nuovo potere rivendicativo. Sappiamo che l’unità sindacale, in questa fase, non consente spazi di solidarietà della rappresentatività, ma è un’unità che si regge prima sul potere rappresentativo che ciascuna organizzazione ha conquistato. Perciò se il sindacato non vuole essere assorbito in comportamenti politici che finiranno con l’esaurire la sua rappresentatività, deve motivare il consenso attraverso una politica che non sia solo quella unitaria, ma che sappia affermare con coraggio una diversità ponendosi come referente di un’alternativa sindacale ai processi economici e finanziari che stanno dominando le società.

E’ necessaria un’azione che rimetta il sindacato al centro del dibattito per una politica di intervento sulle scelte distributive degli equilibri economici e di benessere sociale diffuso. Da queste, infatti, discende la fisionomia, non solo economica del Paese, ma soprattutto, la sua stessa struttura sociale quella che disegna le funzioni dello Stato nel suo esercizio di garante dei cittadini. Naturalmente i contenuti di una simile strategia dovranno essere coerenti con le attuali configurazioni socioeconomiche, e quindi non potranno sostenere anacronistici egualitarismi demagogici, dove risulterebbe disconosciuto il fatto che l’equità sociale non equivale assolutamente ad una indiscriminata uguaglianza dei benefici.

Oggi per determinare condizioni di attesa sociale diversa, dai quali discendono motivi di necessità collettiva si devono affinare le performance di quelle strutture di tutela mediante le quali lo Stato offre un servizio al bisogno del cittadino e dei lavoratori. A queste il sindacato deve mirare per una vasta opera di riforma e rinnovamento. Incalzando perciò le forze politiche sulle loro scelte perché promuovano una qualità sociale migliore e più equa. Dovrà essere perciò “una politica delle differenze e di riforma” quella che potrà dare una risposta al corporativismo ed al qualunquismo che sta emergendo, attraverso un impegno che attivi una trama di azioni con margini di attenzione diversificati a secondo delle differenti stratificazioni sociali e, nel contempo, sappia assumere un piano complessivo di inquadramento e interazione. In questa finalità l’appartenenza al sindacato e alla Uil in particolare, potrà divenire una risorsa fondamentale, il suo essere agente sociale nel mondo del lavoro può, infatti, coincidere con l’essere il veicolo di un riconoscimento politico, di un consenso ancora possibile.

La realtà è che all’effettiva presenza di una cultura riformista nel paese non corrisponde un rinnovamento che investe l’intero funzionamento delle relazioni tra i soggetti sociali, politici ed economici. Questo progetto allora si dovrà e potrà tradurre nel rapporto fra la sua vocazione riformista e la società. Un’altra decisiva proiezione politica che il sindacato deve realizzare è quella diretta in modo specifico al mondo giovanile. Qui non si tratta solo di attuare strategie finalizzate alla riduzione dell’elevata disoccupazione dei giovani (che pure è importante), ma anche di saper offrire una risposta idonea a quello che sembra un diffuso smarrimento sociale dei giovani. Se il lavoro costituisce certamente l’aspirazione prioritaria, tuttavia non solo nel lavoro in se il giovane può ritrovare una nuova ricchezza di motivazioni e ideali che oggi risultano impoveriti da una larga presenza di sfiducia e di diffidenza.

Per rappresentare le nuove generazioni il sindacato deve essere capace di ricreare e rinnovare la propria funzione ideologica e sociale, diffondendo nella comunità quelle sollecitazioni muovono cultura, aspirazioni, bisogni e ideali. Un progetto sociale non passa solo attraverso gli strumenti negoziali, ma anche attraverso un ruolo che è di promozione dei valori, delle alternative e dell’uomo. Il sindacato deve essere con i propri atti, con i propri comportamenti, con le proprie motivazioni in grado di adeguare la strategia, l’azione e le idee per ritornare ad essere un soggetto fondamentale della democrazia per partecipare e cambiare, da protagonista, la società attuale e dare nuove speranze di un futuro diverso.

Separatore

Il tema prioritario, per noi, resta quello della riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, siamo in piena campagna elettorale. Non ti chiedo una previsione sugli esiti della competizione. Possiamo, tuttavia, cominciare la nostra chiacchierata con una tua breve valutazione di carattere generale sulle possibili prospettive di questo voto?

Dall’inizio dell’anno i partiti si stanno confrontando in una tornata elettorale dagli esiti incerti. Ora, non è tanto in discussione la probabile consistenza del risultato che ciascuno dei competitori farà registrare, quanto la possibilità che dalle urne emerga una situazione di stabilità istituzionale. Insomma, il mio timore è che la frammentazione del quadro politico, congiunta ad un sistema elettorale differenziato tra le due Camere, possa generare una maggioranza di “argilla” che sarà chiamata a governare tempi di “ferro”.

Sei stato molto duro nei confronti dei partiti e, in particolare, del loro modo di condurre la campagna elettorale. Vedi troppa propaganda e poca sostanza?

Mi preoccupa l’andamento dell’economia reale e, in particolare, della disoccupazione e constato che a questi problemi veri la politica si limita a contrapporre generiche promesse. Stiamo assistendo ad un dibattito astratto e questo è un lusso che il Paese non si può più permettere. Dall’inizio del 2012, abbiamo perso, mediamente, circa duemila posti di lavoro al giorno: se non ci sarà un cambiamento di strategia, le prospettive saranno micidiali.

Eppure il calo dello spread è un fatto che in molti hanno salutato con particolare favore. Non basta questo dato ad infondere la speranza di un cambiamento?

Il tanto sbandierato calo dello spread è un fatto sicuramente positivo ma, purtroppo, non ha avuto alcuna influenza - né temo l’avrà - sull’economia reale, sull’occupazione e sui redditi destinati a peggiorare anche nel corso del 2013. E’ un’altra la spirale che bisogna spezzare se vogliamo puntare alla crescita. Bisogna incidere su questo circolo vizioso: nuova erosione del potere d’acquisto, minori consumi, minore produzione, più disoccupazione. Se si interviene per fermare questo meccanismo, allora potremo sperare in un’inversione di tendenza per la nostra economia.

A questo proposito, la Uil ha predisposto una sua “agenda per la crescita” con una serie di proposte rivolte ai partiti in competizione e, ovviamente, a quelle forze che siederanno nel prossimo Parlamento e a quelle che formeranno il nuovo Governo. Puoi sintetizzarci i contenuti del documento inviato agli schieramenti politici?

Il tema prioritario, per noi, resta quello della riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni. Per garantire il finanziamento di questa riforma sarà necessario emanare un provvedimento che preveda di destinare, automaticamente, alla riduzione delle tasse sul lavoro quanto recuperato ogni anno dalla lotta all’evasione fiscale. Una strategia del genere, per riuscire a produrre effetti, deve potere contare su almeno 10 miliardi di euro. Con tali risorse, tra l’altro, si potrà stabilire un significativo aumento delle detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati. In questo quadro, c’è un’altra questione da affrontare. Oggi, quasi il 30% della pressione fiscale è esercitato da Regioni, Province e Comuni: bisogna rettificare i decreti attuativi del federalismo fiscale per tutelare i percettori di redditi fissi.

Dall’agenda della Uil, al secondo punto, emerge con chiarezza il rapporto positivo che può instaurarsi tra riduzione delle tasse e aumento dell’occupazione. Puoi sottolineare questo passaggio?

Noi pensiamo che agire sulla leva fiscale possa essere positivo non solo per far crescere il salario di chi ha già un lavoro, ma anche per creare direttamente nuova occupazione. Ecco perché la Uil proporrà al futuro Parlamento e al prossimo Governo di azzerare le tasse sul lavoro a favore di quelle imprese che, nel successivo biennio, decideranno di fare assunzioni. Sul fronte del problema occupazione, poi, riteniamo che lo strumento della cassa integrazione in deroga abbia contribuito, in maniera positiva, al sostegno anche delle piccole aziende prive di altro ammortizzatore sociale. Dunque, bisogna continuare a destinare tutte le risorse necessarie per finanziare questo ammortizzatore sociale e garantire, così, la salvaguardia di aziende e posti di lavoro.

L’altra richiesta attiene alle pensioni. Cosa propone la Uil al riguardo?

Noi proponiamo una rivalutazione di tutte le pensioni da contribuzione attraverso la valorizzazione degli anni di contributi effettivamente versati e il ripristino dell’indicizzazione al costo della vita.

C’è poi il capitolo degli interventi per la riduzione dei costi della politica…

Sì, per noi è fondamentale che siano messi in atto provvedimenti per tagliare gli sprechi e le spese improduttive. Dunque, proponiamo - tra l’altro - di completare la riduzione del numero delle Province, di accorpare i Comuni sotto i cinquemila abitanti, di ridurre drasticamente sia il numero dei componenti degli organi elettivi ed esecutivi sia il numero delle società pubbliche e dei componenti dei rispettivi consigli di amministrazione. Questo solo per citare alcune linee di intervento tra le più note. Infine - ma non ultimo – proponiamo anche un percorso per l’ammodernamento della Pubblica Amministrazione al fine di rendere più efficienti i servizi ai cittadini, presupponendo un coinvolgimento e una valorizzazione dei lavoratori del pubblico impiego.

Restiamo in tema, ma spostiamo l’asse del ragionamento. Di recente hai partecipato alle celebrazioni per i 40 anni della CES e, in quella sede, alla presenza del Presidente del Parlamento europeo, Martin Schultz, hai espresso tutta la tua preoccupazione per le condizioni dei cittadini europei. Vuoi ribadire la tua posizione?

Il 2012 è stato l’anno in cui è stato salvato l’euro, ma non credo che possa dirsi la stessa cosa per i cittadini. La moneta unica senza una politica economica unica rischia di allontanare i cittadini dall’idea di Europa, un continente in cui le condizioni dei suoi abitanti stanno peggiorando. L’unica politica, sino ad ora, è stata quella di aiutare le banche. Noi dobbiamo modificare il funzionamento delle Istituzioni europee. La Banca centrale europea, ad esempio, non deve solo occuparsi di evitare l’inflazione, ma anche di ridurre la disoccupazione. Il Parlamento europeo, proprio perché composto da eletti, deve essere messo nella condizione di assumere decisioni vincolanti. In questo quadro, il dialogo sociale ha un senso se è in grado di indirizzare le scelte politiche. Dobbiamo uscire dal guado e fare in modo che il potere politico, in Europa, torni ad essere democratico”.

Brevemente, in conclusione, una considerazione su Fiat. Quali sono le prospettive dei rapporti con il Gruppo guidato da Marchionne?

Abbiamo già chiesto all’azienda di avviare un programma di investimenti per nuovi modelli. Abbiamo già fatto un accordo per Melfi e adesso bisognerà fare un’analoga operazione, prima, per Torino e, poi, per Cassino. Comunque, c’è un dato di fatto oggettivo: la Fiat continua ad essere l’impresa che fa più investimenti in Italia.

Valid XHTML 1.0 Transitional Valid CSS! [Valid RSS]