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GENNAIO 2011

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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DICEMBRE 2011

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SOMMARIO

Editoriale
Crisi e Austerità: come se ne esce? - di A. Foccillo
Contrastare la disoccupazione e favorire la crescita. Intervista a Luigi Angeletti
Segretario Generale UIL - di A. Passaro

Attualità
I Fondi possono contribuire a risolvere la competitività. Intervista a Guglielmo Loy,
Segretario Confederale Uil - di G. Urbani

Sindacale
RSU: una sfida per il sindacato - di B. Attili
L’importanza delle prossime RSU per il sindacato e la democrazia nei posti di lavoro -
di A. Civica
RSU: vota UIL, una voce libera - di M. Di Menna
Rinnovo Rsu: grazie a tutte le lavoratrici ed i lavoratori - di G. Torluccio

Contrattazione
Nuove assunzioni contro la crisi - di M. Masi

Società
Il disagio della condizione anziana si sta allargando a tutte le fasce di reddito -
di R. Bellissima
La CONCORDIA: tra certezze tecnologiche e realtà umana - di S. Fortino
Piccola JOY e ZHOU ZENG... - di L. Scardaone
L’abolizione del valore legale del titolo di studio - di G. Paletta
E’ così difficile tener in considerazione gli anziani, le loro ragioni, il particolare
modo d’essere e… - di G. Salvarani

Il Corsivo
La giornata di lor signori - di P. Tusco

Agorà
Una proposta che viene da lontano, in materia di pensioni - di A. Carpentieri
Morire a causa della carestia in questo mondo globalizzato - di P. N.

Il Ricordo
Aride Rossi, un cuore Italiano con la passione romagnola - di R. Balzani

La Recensione
Vanni, il capitano che ha retto la barra nella giusta direzione - di P. N.
A proposito di Etica sociale e relazioni sindacali di Antonio Foccillo - di P. N.

Inserto I
Rapporto Censis sulla situazione del Paese 2011 - di P. N.

Inserto II
INDICE LAVORO ITALIANO 2011 - a cura di P. Nenci

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EDITORIALE

Crisi e Austerità: come se ne esce?

Di Antonio Foccillo

John Kenneth Galbraith, nel libro “Sapere tutto o quasi sull’economia” del 1978, sostiene che l’economia, citando Alfred Marshall, “non è altro che lo studio dell’umanità nella produzione della sua vita” e aggiunge di suo: “lo studio del ruolo delle organizzazioni, di come gli uomini fanno appello alle grandi industrie, ai sindacati ed ai governi per soddisfare i propri bisogni economici; lo studio degli scopi che queste organizzazioni perseguono nella misura in cui s’accordano o si oppongono all’interesse generale. E infine come far prevalere l’interesse della collettività1”.

Prosegue: “i titoli dei giornali… parlano delle decisioni economiche dei governi. Se la gente non si sforza di capire, queste decisioni economiche, se non si fa, con cognizione di causa, delle opinioni sue, se non le rende pubbliche, lascia tutto il potere nelle mani di chi capisce, o fa finta di capire o crede di capire. E si può star sicuri che queste decisioni andranno di rado contro gli interessi di quelli che le prendono o di quelli che costoro rappresentano”.

Continua parlando delle persone comuni che: “sentono gli economisti dire che i prezzi sono fissati dal gioco della libera concorrenza di molte piccole aziende nel quadro del mercato. Ma la realtà che vedono è un’altra: poche imprese giganti forniscono benzina, automobili, prodotti chimici e farmaceutici, materiale elettrico e quantità di altri prodotti e servizi”. Infine sostiene: “un economista che lavora per una grande banca di new York non s’azzarda a proporre tesi contrarie agli interessi dell’aziende, quali sono concepite dai suoi dirigenti. E costoro sono ben felici di allinearsi sulle dichiarazioni pubbliche di questo economista della provvidenza”.

E’ un libro datato, ma molto istruttivo e consiglio di leggerlo, perché spiega in concreto tutto quello che gira intorno all’economia, ma, si può attualizzarlo ancor oggi, perché allora prefigurava quello che oggi è avvenuto ed avviene. La prima parte dimostra che fino a quando la vita delle persone era scandita dall’economia produttiva i parametri di riferimento e le regole erano abbastanza chiare. Tutto dipendeva da imprese, sindacati e governi e tutto avveniva sulla base delle relazioni fra loro in modo da far prevalere l’interesse della collettività. Purtroppo con l’avvento della finanziarizzazione tutto è cambiato e le decisioni non sono più prese per la collettività, ma per pochi che detengono le risorse finanziarie.

La seconda parte invita i cittadini a farsi un’idea delle scelte economiche che vengono proposte e a partecipare, altrimenti saranno coloro che decidono a imporre scelte utili solo a chi le decide. Oggi la logica del neo liberismo ha ridotto la politica ad essere subalterna dell’economia senza regole e sta tentando di eliminare qualsiasi organizzazione che associ individui potenzialmente contrari ai suoi disegni.

Nella terza parte spiega come l’informazione può influenzare le menti, infatti, viene spiegato che la libera concorrenza produce effetti positivi per la cittadinanza, mentre poi i prodotti, e quindi i prezzi sono imposti sempre di più da poche aziende, magari multinazionali.

Infine nella ultima parte illustra il legame fra economisti e banche (per cui spesso lavorano) e naturalmente essi non vanno contro i loro datori di lavoro si industriano per motivare come indispensabili le loro ricette economiche.

Tutto ciò, oggi, si ripropone negli stessi termini. La messa in crisi delle associazioni rappresentative è servita a ridimensionare di molto la democrazia partecipata. Addirittura vengono imposti governi che non sono legittimati democraticamente e che hanno legami diretti o indiretti con le grandi banche. In Grecia viene imposto al governo di non svolgere un referendum popolare su misure economiche che stravolgono la vita dei cittadini, viene sostituito George Papandreou con Lucas Papademos, economista ex governatore della Banca centrale ed ex numero due della Bce, che in quanto tale ha tutte le carte in regola per andare ad occupare la poltrona di premier del governo di unità nazionale e chiedere ai cittadini greci sacrifici inimmaginabili. Bisogna essere consapevoli che stiamo rischiando di andare su un piano inclinato dove la forbice fra decisioni prese da organismi non legittimati democraticamente e cittadini si sta facendo sempre più ampia con manifestazioni di protesta, sempre più forti, in tutto il mondo e con qualche rischio anche di degenerazione.

Il sindacato confederale, come ha fatto molte altre volte nella sua vita, deve essere in grado di fornire una sponda ai tanti malcontenti incanalandoli su una proposta di un nuovo modello economico per ridare speranze ai lavoratori di un futuro migliore.

In passato molte relazioni sindacali sono iniziate con la tesi di essere in un periodo di crisi e alla fine è diventata un’abitudine, quasi come un rituale che si ripete stantio e senza pathos.Oggi che siamo veramente in una situazione drammatica sembra che abbiamo pudore nel doverlo ripetere. Si cerca di esorcizzare la parola crisi.

Purtroppo è vera e sta procurando tantissimi guasti, sul piano sociale, economico, produttivo. Solo in Italia, ultimi dati Istat e Banca d’Italia sostengono che è aumentata la divaricazione fra povertà e ricchezza, il paese ha un grado di disuguaglianza e di basso reddito che lo collocano agli ultimi posti dei paesi occidentali.

L’occupazione perde sempre più pezzi e l’occupazione giovanile è sempre più in crisi ed è un problema generale in tutta Europa. La stessa Germania, per non parlare dei soliti paesi, che detta legge in Europa, ha dichiarato lo stato di recessione.

Bisogna uscire da questa situazione in cui tutto è a rischio. Ridare fiducia e speranza per un avvenire migliore.

Bisogna puntare sulla crescita e sullo sviluppo e non farsi ingabbiare dalla crisi proponendo austerità. Bisogna avere il coraggio di imporre investimenti nella produzione.

Paul Krugman scrive in un articolo dal titolo, “Non si cura la crisi con l’austerità”: “Nello specifico, si tratta del fallimento della dottrina dell’austerità, che da due anni a questa parte predomina nel dibattito politico sia in Europa, sia, in buona misura, negli Stati Uniti… Mezzo secolo fa qualsiasi economista – o per quello che conta, qualsiasi studente di economia non ancora laureato che si fosse letto il libro di testo Economics di Paul Samuelson – avrebbe potuto assicurarvi che l’austerità in piena depressione è una pessima idea. Ma policy maker, grandi esperti e – mi duole dirlo – molti economisti hanno deciso in buona parte per ragioni prettamente politiche, di dimenticare ciò che erano soliti sapere. E milioni di lavoratori adesso pagano il conto della loro premeditata amnesia”.

Facciamo in modo che questa amnesia venga rimossa e combattiamo la crisi con un nuovo sviluppo. Non è possibile che nove nuclei familiari su dieci2 non siano in grado di reggere uno choc economico imprevisto e che la decisione di avere un figlio sia oggi considerata un “fattore di vulnerabilità” finanziaria. Se non si invertono queste tendenze, se non si sollecita, con appropriate manovre, lo sviluppo, non solo saremo obbligati ad ulteriori manovre di 40 miliardi di euro l’anno, ma neghiamo ai nostri figli qualsiasi prospettiva per un futuro per cui valga la pena di credere e quindi operare per esserne parte attiva.

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Note:

1. John k. Galbraith – Nicole Sallinger – Tout savoir – ou presque – sur l’économie – editions du Seul 1978
2. Da uno studio dell’ANIA-Consumatori

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Contrastare la disoccupazione e favorire la crescita. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, siamo entrati nel vivo del confronto con il Governo sulla riforma del mercato del lavoro. La trattativa si prospetta complessa anche se il Governo è intenzionato a chiudere in tempi brevi. Quali sono le tue previsioni?

Come sempre, è difficile fare previsioni quando sono coinvolti interessi diversi tra loro. In realtà, l’obiettivo dichiarato è identico: contrastare la disoccupazione e favorire la crescita, ma poi le divergenze emergono quando si confrontano strumenti e soluzioni. Noi abbiamo chiesto al Governo se è interessato a fare un accordo o se intende, semplicemente, acquisire elementi di conoscenza circa le posizioni delle parti in campo per, poi, procedere unilateralmente. Il ministro Elsa Fornero ci ha assicurato che puntano ad un’intesa condivisa. Dunque, se così fosse, ci aspettiamo che accolgano una buona parte delle nostre osservazioni.

Le prospettive economiche per il nostro Paese non sono affatto rosee: la recessione viene data per scontata, così come una conseguente crescita della disoccupazione. Basterà una riforma del mercato del lavoro per affrontare questa emergenza?

Una riforma del mercato del lavoro è sicuramente importante per regolamentare meglio la flessibilità in entrata nel mondo del lavoro e per rispondere alle esigenze di maggiore tutela per i giovani e le donne. Ma non bisogna nutrire soverchie speranze sulla possibilità che questa riforma generi posti di lavoro. Anzi, anche se raggiungessimo un’intesa, è molto probabile che assisteremmo ad un peggioramento dei dati sull’occupazione. Perché non sono le leggi a creare lavoro: servono, da un lato, buone politiche economiche da parte dello Stato e, dall’altro, investimenti dei privati. Da questo punto di vista, una delle riforme urgenti, sia per la crescita dei salari sia per il successivo incremento dell’occupazione, è la riforma fiscale. Bisogna ridistribuire il carico fiscale a vantaggio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Questo spostamento di ricchezza aiuterebbe a rimettere in moto l’economia con tutto ciò che di positivo ne conseguirebbe.

Intanto, però, bisogna che siano garantiti gli strumenti per far fronte alla crisi occupazionale…

Noi dobbiamo tutelare i singoli lavoratori difendendo, prioritariamente, i posti di lavoro. Se in questi tre anni di crisi, la disoccupazione nel nostro Paese, pur essendo molto alta, è rimasta al di sotto della media europea è perché siamo riusciti, grazie al vigente sistema degli ammortizzatori sociali, a tenere legati i lavoratori al loro posto di lavoro: quegli strumenti, dunque, vanno preservati.

Altra questione delicata è quella della cosiddetta flessibilità in uscita. Per alcuni, questa espressione evoca direttamente l’articolo 18. E’ così difficile far capire che si tratta di due concetti diversi?

Di articolo 18 si è parlato fin troppo e, spesso, a sproposito. Mi limito, dunque, ad un’osservazione: è ragionevole, in una fase così complessa, accettare che si licenzi senza alcun motivo? Quanti altri disoccupati, senza che ve ne sia una ragione plausibile, vogliamo aggiungere a quelli generati dalla crisi? L’articolo 18 non c’entra nulla con la flessibilità: serve, semplicemente, ad evitare eventuali soprusi di qualche imprenditore. Se invece si pongono problemi di carattere economico, perché un’azienda chiude, si deve ristrutturare, cambia missione produttiva, allora siamo di fronte ad un’altra questione. Già oggi, purtroppo, siamo costretti a fare i conti con questa realtà. E’ questa situazione che va gestita. E, probabilmente, va anche meglio regolamentata, proprio per affrontare efficacemente le conseguenze sociali che possono scaturire da inevitabili decisioni aziendali.

E per quel che riguarda la cosiddetta flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro?

Anche in questo caso, siamo disponibili a discutere per risolvere una serie di disfunzioni che minano il mercato del lavoro. In particolare, bisogna impedire il ricorso smodato alle partite IVA che, in realtà, dissimulano veri e propri contratti di lavoro dipendente. Inoltre, si deve accettare l’idea di far costare di più il lavoro flessibile rispetto a quello stabile in modo da indurre gli imprenditori a farne uso solo nei casi di effettiva necessità.

Facciamo un passo indietro e parliamo di pensioni. Su questa materia, il Sindacato e i lavoratori hanno dovuto subire una decisione molto pesante. Ora, però, ci sono ripercussioni negative anche sulla trattativa in corso. E’ possibile immaginare nuove iniziative per recuperare lo svantaggio accumulato sul terreno previdenziale?

I sindacati hanno protestato, unitariamente, dando vita a settimane di mobilitazione con presidi dinanzi alle sedi istituzionali e proclamando anche tre ore di sciopero nazionale. Il Governo, che risponde a logiche del tutto diverse da quelle ordinarie e che ha assunto impegni con l’Unione europea, non ha ascoltato le nostre ragioni e ha proseguito per la sua strada. A questo punto continuare ad alzare le barricate senza essere sicuri di ottenere un risultato positivo avrebbe prodotto un doppio danno ai lavoratori. Noi, però, insistiamo sulla necessità di procrastinare, almeno, gli effetti di quella riforma perché si possono generare ulteriori conseguenze negative in questa fase di recessione: molti lavoratori rischiano di uscire dai processi produttivi restando senza salario e senza pensione.

Un’ultima domanda. Qual è il tuo giudizio in merito al provvedimento sulle liberalizzazioni?

Quelli sulle liberalizzazioni sono provvedimenti non formali che incidono sulla realtà economica del Paese. Rappresentano un primo passo verso la crescita ma ne va verificata l’effettiva attuazione ed efficacia. Si poteva fare di più: non è accettabile, ad esempio, il trattamento privilegiato riservato alle aziende pubbliche locali che restano, così, i feudi dei partiti. Ora, però, concentriamoci sui temi del lavoro. Lo ribadisco: ci aspettiamo altrettanta disponibilità da parte del Governo che non vorremmo ci ascoltasse per cortesia e poi procedesse senza tenere conto delle nostre indicazioni.

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