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GENNAIO 2009

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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DICEMBRE 2008

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SOMMARIO

Il Fatto
Quante cose stanno cambiando - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL L’Accordo quadro sulla riforma del sistema contrattuale: un grande passo avanti nella modernizzazione del Paese - 
di A. Passaro
Intervista a Gideon Meir Ambasciatore d’Israele. Le Ragioni d’Israele - di D. Toppetta

Economia
Federalismo fiscale, cinque punti da chiarire - di D. Proietti
Tre scelte virtuose per uscire dalla crisi - di S. Mantegazza
Ma cos’è questa crisi - di E. Canettieri
Gli effetti sociali della crisi e le continue speculazioni - di G. Paletta
L'uomo della pioggia - di A. Ponti
La finanziarizzazione dell'economia e la sua crisi - di M. F. Scinicariello
Mutui - a cura dell’Adoc - Uil

Attualità
Età pensionabile delle donne, un falso problema - di M. Abatecola
La giornata della memoria - di G. Salvarani

Sindacale
Civ: le parti sociali non possono accettare che la loro autonomia sia insidiata! -
di F. Lotito
Un sindacato con l’Europa nel cuore - di C. Benevento
Contratto unico della viabilità - di P. P. Maselli

Società
Le donne anziane costituiscono una grande risorsa - di L. Piersanti
Giovani e accesso al mercato del lavoro - di A. Russo

Agorà
L’ottimismo dell’immagine, il pessimismo della ragione - di G. Lattanzi
Tutti lo cercano, tutto lo vogliono: Facebook, leggere attentamente le istruzioni -
di M. C. Mastroeni

Cultura
Leggere è Rileggere. Ennio Flaiano: Dario Notturno - di G. Balella
Il cinema dopo le feste - di L. Gemini

Inserti
Indice dell’annata 2008 di lavoro Italiano - di P. Nenci
L’annuale rapporto Censis - di P. N.

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EDITORIALE

Quante cose stanno cambiando

Di Antonio Foccillo

Senza dubbio il fatto più eclatante di questo mese è il giuramento del 44° Presidente Americano Barack Obama. Tanto è vero che si è abusato in questi mesi delle parole “evento storico” anche per il fatto che, come sostiene egli stesso, per la prima volta: “Un uomo il cui padre meno di sessant’anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il giuramento più sacro di tutti”.

Ma se si analizza il discorso di insediamento in tutte le sue parti si può dire che è un programma che vale non solo per l’America, ma può essere fatto diventare un manifesto per tutti i paesi. Egli ripropone o propone un modello di fare politica dove vince il migliore, colui il quale riesce a dare una speranza di cambiamento e di alternatività rispetto al conformismo ed al pensiero unico. In tal senso è molto precisa l’analisi di Mario Del Pero su il Mattino del 21/1/2009 che scrive nell’articolo “…la ricostruzione del mito” la sua elezione simboleggia “la vittoria del vigore, della preparazione, della serietà e della moderazione” … “ la sua elezione ripristina l’immagine del presidente, che torna ad essere una figura da ammirare, e rispettare; torna ad elevare la competenza e criterio discriminante della politica”… “Chiedendo però quella serietà e quella preparazione, quello impegno e quell’attenzione, che la politica, ogni buona politica dovrebbe offrire e garantire”.

Basta leggere alcune frasi del suo discorso per capire che vi è discontinuità rispetto al passato sulla politica economica, sociale e valoriale. Questioni che se proposte in passato negli stessi termini sembravano eresie o addirittura conservatrici. Nel seguirlo prevale la convinzione che egli immagina di costruire quella società più giusta e più equa di cui tanto vi è bisogno, cioè una nuova società in cui meriti e bisogni hanno lo stesso grado di attenzione.

In primis, voglio sottolineare la sua volontà di affrontare le questioni economiche in modo radicalmente diverso dalla ideologia neo liberista che ha governato il mondo ed ha fatto tanti disastri. Il Presidente Obama ha detto: “Oggi siamo qui per proclamare la fine delle recriminazioni meschine e delle false promesse, dei dogmi stanchi che, troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica”… “lo stato dell’economia richiede un’azione, forte e rapida, e noi agiremo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuove fondamenta della crescita.”… “costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitale”… “Restituiremo alla scienza il suo giusto posto e useremo le meraviglie della tecnologia in modo da risollevare la qualità dell’assistenza sanitaria e abbassarne i costi. Imbriglieremo il sole e i venti per aumentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi”. Mentre per quanto riguarda il mercato, pur non esorcizzandolo, ritiene che vada regolamentato, infatti, sostiene “ la questione di fronte a noi non è se il mercato sia una forza del bene o del male. Il suo potere di generare benessere ed espandere la libertà è rimasto intatto. Ma la crisi ci ricorda che senza un occhio rigoroso, il mercato può andare fuori controllo e la nazione non può prosperare a lungo, quando il mercato favorisce solo i ricchi”.

Riconosce l’intervento dello Stato, quando sostiene che esso si deve valutare se “funzioni o meno – se aiuti le famiglie a trovare un lavoro decentemente pagato, cure accessibili, una pensione degna. Laddove la risposta sia positiva, noi intendiamo andare avanti. Dove sia negativa, metteremo fine a quelle politiche. E coloro che gestiscono i soldi della collettività saranno chiamati a risponderne”. Ha puntualizzato che vi saranno nuove sfide e gli strumenti con cui esse si affronteranno saranno nuovi, ma non vanno risolte in modo pragmatico, viceversa vanno collegate a valori che vanno riaffermati. Pertanto dice: “Lavoro duro e onestà, coraggio e correttezza, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo”…”Quello che è necessario ora è un ritorno a queste verità”. Come si può leggere in questa schematica sintesi le idee del Presidente sono un manifesto che danno una speranza ed un’idea di un cambiamento profondo dell’attuale modello di società, dove ritornano i valori e si avvii un progetto di rinnovamento in cui si coniuga lo stato sociale e, quindi, la solidarietà, con le prospettive di sviluppo, dopo aver regolato il mercato. Egli con i suoi propositi convince ognuno di noi che il mondo può cambiare e può cambiare in meglio. In modo analogo a questa scelta si possono leggere le recenti elezioni in Germania, dove la Spd ha avuto un significativo calo alle elezioni, che dimostra proprio la crisi della sinistra in Germania, come in tutta Europa, nel proporre un percorso alternativo rispetto alle forze di conservazione. Questo deve far riflettere la politica ma anche le organizzazioni sindacali perché se la sinistra, al di là delle leaderships, non riesce ad individuare un’idea di nuova società in cui le persone possono riconoscersi, se continua, viceversa, a correre dietro l’impostazione di politiche economico-sociali di stile “neo-liberiste” difficilmente ritornerà a vincere.

Terza questione che voglio affrontare, tornando in Italia, è il recente confronto con il Governo sulle “linee guida per la tutela attiva della disoccupazione” e “l’accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22/1/2009” sottoscritto dalle rappresentanze imprenditoriali e da Uil, Cisl e Ugl.

Anche su di esso si è usata e abusata la definizione di “storico”. Certamente è un fatto importante, proprio perché in un momento gravissimo per l’economia dove imperano solo incertezze si stabilisce una copertura dell’intero potere di acquisto dei salari e si afferma con una tecnica contrattuale certa e definita la possibilità di svolgere una vera contrattazione su due livelli. Si individuano relazioni sindacali meno conflittuali che, attraverso l’ampliamento delle esperienze degli enti bilaterali, diventano convergenti e partecipative. E’ stato un accordo voluto fortemente dalla Uil che ha svolto un lavoro di diplomazia e di proposta molto efficace già a partire dalle linee guida condivise con la Confindustria e poi successivamente sottoscritte con le altre parti imprenditoriali. Il Governo, nella funzione di controparte, ha concordato con tale impostazione e ha sottoscritto l’accordo che, quindi, vale anche per il pubblico impiego anche se, quest’ultimo mantiene le sue specificità.

Finisce l’era delle regole stabilite con l’accordo del 23 luglio 1993. Si mette in soffitta, finalmente, l’inflazione programmata quale valore per l’incremento salariale e si definisce anche un percorso per nuove regole di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva, che dovranno essere definite entro tre mesi dall’accordo, salvo quanto già definito negli specifici comparti produttivi. La Cgil, ancora una volta si è chiusa in difesa e non ha voluto sentire ragioni, non ha firmato l’accordo e questo pone un problema serio di rottura dei rapporti unitari, ma ancora una volta si è autoisolata come nel recente passato. Una domanda vogliamo fare ai colleghi della Cgil: a chi giova questa loro posizione? Ancora una volta si è perso il treno per riformare, unitariamente, le regole della contrattazione e della rappresentanza. Peccato. La Uil andrà avanti senza se e senza ma.

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L’Accordo quadro sulla riforma del sistema contrattuale: un grande passo avanti nella modernizzazione del Paese. Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti.

di Antonio Passaro

Allora, Angeletti, finalmente il mondo del lavoro ha un nuovo sistema contrattuale. Dopo anni di “stop and go”, la sera del 22 gennaio, a Palazzo Chigi, c’è stata la firma dell’accordo quadro sulla riforma del sistema contrattuale. Qual è il tuo giudizio?

Io credo che con questo accordo sia stato fatto un grande passo avanti sulla strada della modernizzazione del Paese. Dopo quindici anni abbiamo cambiato il modello contrattuale: per il sindacato, per il sistema delle relazioni industriali, per i lavoratori dipendenti, questo è un fatto storico.

Cosa cambia, ora?

La prima immediata conseguenza di questo accordo è che viene “rottamato” il modello del 1993 basato sull’inflazione programmata e, dunque, sul presupposto che le retribuzioni dei lavoratori dipendessero da una decisione politica o se si preferisce, dai rapporti tra sindacato, imprese e governo. Il Protocollo del luglio 1993 è stato una pietra miliare nella storia sindacale del nostro Paese: si prefiggeva l’obiettivo di risanare la finanza pubblica e di disinflazionare l’economia. Quell’obiettivo è stato raggiunto ma quello strumento, dunque, già da molti anni a questa parte, ha esaurito la sua funzione. E’ successo così che, continuando ad applicare, in un diverso contesto economico, la strumentazione tecnica del vecchio modello si sia determinata la sistematica programmazione della riduzione dei salari. Oggi invece serve un nuovo modello che sia funzionale ad un nuovo obiettivo: quello della ripresa e della crescita economica. Con questa riforma, le retribuzioni saranno legate a quanto effettivamente saliranno i prezzi: lavoro e salario riacquistano dignità.

I lavoratori guadagneranno di più?

Non c’è alcun dubbio: cresceranno i salari reali. E’ un accordo che cambia il modo di retribuire il lavoro e lo cambia in meglio. Potremo finalmente uscire dalla trappola di bassi salari e bassa produttività.

Prima parlavi di rottamazione del tasso di inflazione programmata: viene introdotto l’IPCA. Di cosa si tratta?

E’ il nuovo indice previsionale, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo. Abbiamo anche fatto una simulazione che dà concretamente l’idea del vantaggio economico di questo nuovo modello. Nel triennio 2009-2011, il TIP sarebbe pari al 4,6%; l’IPCA, invece, già depurato dai costi dell’energia, sarebbe pari al 6,7%. Una differenza in positivo, dunque, del 2,1% che, tenuto conto di un salario medio di una categoria contrattuale media, equivarrebbe ad un ulteriore incremento di circa 400 euro annui.

E questo solo con riferimento al contratto nazionale che, avrà una durata triennale e che prevede peraltro anche un meccanismo di recupero certo tra inflazione prevista e quella effettiva. Ma poi c’è anche la contrattazione di secondo livello…

Sì, una contrattazione che potrà essere aziendale o territoriale, la più diffusa e capillare possibile anche grazie ad un sistema di incentivi fiscali che la renderanno più conveniente anche per il datore di lavoro. Senza contare che lì dove si farà solo la contrattazione nazionale quest’ultima dovrà prevedere un elemento retributivo di garanzia. Insomma, lo ribadisco, i salari reali dei lavoratori aumenteranno.

E allora perché la Cgil anche questa volta - l’ennesima- non ha firmato l’accordo?

Bisognerebbe chiederlo a loro. Io registro il fatto che, negli ultimi tempi, la Cgil non ha più firmato un’intesa. Ma voglio anche ricordare un fatto storico. Nel luglio del 1992, quando fu sottoscritto quello che potremmo definire il primo capitolo della precedente riforma contrattuale, portata poi a compimento con il Protocollo del 1993, anche in quella circostanza ci fu una drammatizzazione: l’allora Segretario generale della Cgil, Bruno Trentin, firmò e si dimise, proprio perché ci fu una forte opposizione di una parte rilevante della sua Organizzazione. Poi tutto rientrò. Oggi la Cgil è contraria al nuovo accordo e difende quello del 92-93, ormai datato e superato dall’attuale contesto sociale ed economico. Prima o poi, come è già accaduto in molte altre circostanze in passato, la Cgil firmerà.

La Confederazione di Epifani ha chiesto un referendum. Qual è la tua opinione?

Si potrebbe anche fare ma servirebbe la reciprocità.

In che senso?

Noi abbiamo firmato un accordo che la Cgil non condivide e vuole che anche i suoi iscritti giudichino questa scelta. Può andar bene, ma ad un patto: che anche i nostri iscritti possano giudicare le loro decisioni che noi non condividiamo. Se, ad esempio, dichiarano uno sciopero, su questa scelta devono potersi esprimere anche i nostri associati.

In chiusura, due brevi domande. La prima: siamo in una fase di crisi e di recessione. Le conseguenze sull’occupazione sono decisamente preoccupanti. Occorre approntare un sistema nuovo di ammortizzatori sociali?

Sì, non c’è dubbio, occorre un nuovo sistema di ammortizzatori sociali, applicabile il più diffusamente possibile. In questa fase, peraltro, bisogna finanziare la permanenza del posto di lavoro piuttosto che finanziare la disoccupazione. Dunque, anche se come Organizzazione non li abbiamo mai caldeggiati, noi pensiamo, responsabilmente, che, in questo particolarissimo contesto economico, bisogna preferire i contratti di solidarietà alla cassa integrazione. Insomma, il punto è: mantenere il più possibile le persone “legate” ai posti di lavoro.

E per Fiat? Si parla di incentivi, rottamazione…

Il Governo deve approntare interventi così come fanno gli altri paesi europei per affrontare il problema e cercare di risolverlo, meglio ancora se all’interno di un piano condiviso e coordinato a livello europeo.

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