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FEBBRAIO 2016

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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SOMMARIO

Il Fatto
- Rapporto tra sindacato e politica - di A. Foccillo
- La strada da percorrere, per l’Europa e per l’Italia, è ancora molto lunga - Intervista
a Carmelo Barbagallo Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
- La ricetta del sindacato unitario per favorire la crescita e lo sviluppo del Paese -
di T. Bocchi
- L’assenza di equità rende insopportabili i sacrifici - di R. Bellissima
- Ccnl alimentare: un rinnovo importante per i lavoratori e per il sindacato -
di S. Mantegazza
- Un sindacato laico, libero, riformista e, soprattutto indipendente - di P. Turi
- La Uil appello alla partecipazione alla vigilia della manifestazione. La giusta causa! -
di G. Turi

Società
- La sindrome del Palio -  di G. M. Fara

Economia
- I diritti sociali al bando. La retromarcia del cammino di integrazione europea.
La situazione in Grecia -  di A. Fortuna

Attualità
- Decreto Flussi, a quando il ritorno alla programmazione triennale dei flussi d’ingresso per lavoro, come previsto dalle norme sull’immigrazione -  di G. Casucci
- Lo schema di decreto legislativo sui licenziamenti disciplinari nella P.A. - di A. Fortuna

Agorà
- Essere donatore di sangue: tutte le cose da sapere* - di P. Scozzi

Il ricordo
- 100 anni della nascita di Italo Viglianesi - di C. Fiordaliso

Inserto
- “Stalin ni dobre”. Quando fu cancellato il mito dell’uomo che aveva scalato il cielo -
di P. Nenci

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EDITORIALE

Rapporto tra sindacato e politica

di Antonio Foccillo

Questa volta voglio affrontare un tema abbastanza spinoso, che trova anche all’interno della nostra organizzazione sensibilità diverse: quello del rapporto fra politica e sindacato.

Il sindacato, in qualche caso, è stato fondatore di partiti laburisti, in altri, ha avuto una presenza egemone ed, in altri ancora, ha svolto una funzione meramente dialettica, fino ad essere, in ultima analisi, addirittura cinghia di trasmissione.

Questo stretto rapporto fra sindacato ed, in particolare, partiti di sinistra, ovviamente ha influenzato le scelte delle politiche economiche, sia al governo sia all’opposizione, che questi hanno sostenuto nei loro Paesi.

In Italia, il rapporto tra i sindacati confederali e la politica è un rapporto che esiste da sempre, anche se ha subito negli ultimi vent’anni una profonda trasformazione per ciascuna organizzazione: la Cgil ha abbandonato il tradizionale ruolo di “cinghia di trasmissione” del partito comunista per riprendersi una propria iniziativa; la Cisl ha perso il principale punto di riferimento politico, la Dc, ma ha conservato, se non implementato, il tradizionale legame con il mondo dell’associazionismo cattolico; la Uil, invece, che già in passato non aveva uno stretto legame con i tre partiti laico-socialisti, anche se i loro valori erano punti di riferimento nell’iniziativa e nella proposta sindacale dell’organizzazione, con l’avvento della seconda repubblica e con la relativa crisi di quei partiti ha maggiormente rafforzato la propria indipendenza e autonomia dalla politica.

Cgil, Cisl e Uil, negli anni del proporzionale, si muovevano in una logica coerente che ho prima rapidamente delineato. Ma credo sia più opportuno andare a vedere quello che è successo un minuto dopo la disintegrazione del sistema dei partiti del cosiddetto arco costituzionale e del sistema proporzionale.

Il bipolarismo del maggioritario ha spaccato in due la società e anche il sindacato, a detta di molti, doveva fare la stessa fine: una parte di qua e l’altra di là. Esattamente quello che non successe dopo la seconda guerra mondiale. Ed, infatti, puntualmente, non è successo neanche questa volta, sebbene il rischio di inseguire il bipolarismo sia esistito ed esista tuttora.

Se il sindacato, infatti, si schiera con uno dei due poli, finisce col rischiare di perdere autorevolezza, poiché non sarà più riconosciuto dagli stessi lavoratori come libero ed indipendente.

Pertanto, si tratta, oggi, di riconoscere come il cambiamento del rapporto sindacato-politica sia tanto importante, da non poter più essere valutato con l’ottica del passato, abbandonando, quindi, anche polemiche che spero siano superate e riconosciute come del tutto inutili.

Quello che, è avvenuto, con il governo Monti prima e, soprattutto, poi con il governo Renzi, che hanno ridimensionato il confronto fra sindacato e quadro politico, ha riportato in primo piano il problema del ruolo del sindacato perché è stato rimesso in discussione il rapporto progressivo e dialettico tra sindacato e pubblici poteri.

Non si può assistere passivamente a questo processo di progressivo deterioramento nella capacità della politica di vedere nel sindacato un interlocutore stabile.

Il sindacato deve porsi il problema della proiezione politica istituzionale di questo cambiamento culturale: la frammentazione sociale, tanto diffusa e irreversibile nella nostra società, è compressa e mortificata dall’incomprensione e dalle rigidità spesso convergenti del sistema istituzionale, del sistema politico, del sistema di relazioni sindacali.

Si possono individuare varie soluzioni ed alternative, ma credo che questo atteggiamento non possa essere modificato, se non attraverso una nuova cultura laica, che tanta parte e tanto ruolo ha avuto nel nostro Paese negli anni passati e che, oggi, sembra essersi affievolito.

Quando dico spirito laico, intendo quella esperienza che ha formato tanti di noi nel sentimento del dubbio e non delle certezze, della difesa della libertà di chiunque di potersi esprimere liberamente anche quando la sua posizione è minoranza, dell’evitare dogmi ed egemonie culturali e politiche, del valutare tutti gli aspetti dei cambiamenti e, soprattutto, di stimolare la partecipazione di tutti al dibattito ed al confronto.

La cultura laica ha fatto della sua bandiera lo spirito della solidarietà e delle pari opportunità e nella costruzione della società ha fatto prevalere valori ed ideali di fraternità, di pluralismo, di uguaglianza, di tolleranza, di rispetto del pensiero altrui, di democrazia partecipata, in cui l’uomo e la donna siano soggetti cui la società si uniformi e non viceversa.

Solo attraverso la riproposizione di questa cultura, la democrazia potrà ritornare ad essere essenza fondamentale, esprimendosi attraverso la partecipazione collettiva, che con uno slogan può essere sintetizzata nel permettere a tutti di controllare, partecipare e decidere.

Proprio la Uil, che è portatrice di quella idea laica e riformista, ha impostato il proprio raggio d’azione alla ricerca del dialogo con le altre organizzazioni e con i vari interlocutori sociali, politici e istituzionali, scegliendo di andare a tutti i tavoli con l’unico obiettivo di fare trattative ed accordi, lasciando poi ai propri dirigenti di ricercare una sponda politica personale.

In questi ultimi anni, la politica tradizionale non è stata capace di dare una risposta concreta alle disfunzioni e alle inefficienze della nostra macchina istituzionale, e, soprattutto, alla sfiducia drammatica dei cittadini nei confronti del sistema. Ne deriva la poca fiducia nei partiti e nel parlamento che mette in discussione la democrazia di una repubblica che non funziona.

La società si sta orientando sempre più verso la virtualità delle discussioni, i partiti politici hanno chiuso le sezioni ed in realtà il sindacato è una delle poche realtà dove ancora si discute veramente, collettivamente. Questo è, storicamente, un punto a favore del sindacato, rispetto al partito politico: senza voler entrare in competizione, è però evidente che il sindacato ha conservato strumenti, metodologie e pratiche democratiche che, invece, il partito politico ha smarrito.

A questo punto, innanzitutto, bisogna decidere se si ritiene di rafforzare le istituzioni indebolendo il ruolo dei partiti, come è nelle democrazie maggioritarie dove le leadership sono fortemente personalizzate e investite direttamente dal popolo, oppure rafforzare i partiti come unica difesa dello stato sociale, poiché essendo venute meno le premesse del compromesso socialdemocratico, per continuare a garantire un livello adeguato di servizi e prestazioni pubbliche, deve intervenire la politica, e cioè i partiti. Ciò impone la fine della strategia del maggioritario, delle primarie, della personalizzazione dei leaders, perché indeboliscono i partiti, mentre l’idea di un partito diverso, dotato di una forte cultura politica, va nella direzione opposta.

Una delle problematiche con cui bisogna fare i conti, proprio per l’intreccio fra economia e democrazia, è l’irruzione sulla scena sociale e politica dei mercati, che ha portato con sé la dottrina finanziaria, in cui la moralità della condotta sociale viene dettata dal responso della Borsa e dagli interessati segnali delle agenzie di rating e dei grandi investitori. Questa dottrina ha messo da parte il fine dell’agire politico, cioè la giustizia sociale, sostituita da una sorta di armistizio con la “fame” speculativa della finanza alla quale è trasferita, attraverso i mercati, la ricchezza sociale dei popoli e quella personale dei cittadini.

La messa in moto di tali processi e strumenti di coercizione decisionale indebolisce anche i sindacati, rimasti a lottare su scala nazionale contro sempre più stringenti e inappellabili “raccomandazioni” europee che vedono nell’abbassamento dei salari e nella precarizzazione dell’occupazione l’unico metodo per recuperare competitività; che rendono fatue le lotte dei movimenti per i beni comuni. Infine, lega le mani ai partiti e alle loro politiche, qualunque sia il colore che vinca le elezioni e formi il governo, ma, soprattutto, priva la cittadinanza della possibilità di definire il proprio futuro collettivo giudicando autonomamente fra diverse rappresentazioni della realtà e diverse risposte politiche alla crisi.

Il sindacato deve, quindi, prendere atto del mutato scenario politico per lanciare nella mischia una proposta che costringa soprattutto il governo a confrontarsi, cosa che negli ultimi tempi ha abbandonato.

Il sindacato deve ripensare le proprie strategie, poiché ruolo e natura sono inalterabili e non si deve porre il problema della collocazione ma deve, invece, elaborare una propria autonoma proposta e, sulla base di questa, condizionare il dibattito politico, costringendo la politica ad inseguirlo su proposte innovative e condivise, idee alternative che, in democrazia, il sindacato può affermare tra i lavoratori ed i cittadini, soprattutto, anche se ovviamente non esclusivamente, attraverso l’organizzazione di espressioni di dissenso pacifiche e simboliche.

Solo una proposta forte, articolata e condivisa può sfuggire alla logica del bipolarismo. Questa, caratterizzandosi per il merito, guadagna l’autorevolezza che deriva dall’essersi generata autonomamente, senza passare per vie collaterali ed evidenziandone gli aspetti innovativi, l’impatto nella dinamica sociale, in tutti i suoi aspetti. Si richiede, quindi, uno sforzo elaborativo che un sindacato che si dovesse limitare al quotidiano non potrebbe fare.

Diritti contrattuali, stato sociale, servizi pubblici sono qualcosa sul quale il sindacato deve elaborare una progettualità, per acquisire consenso nella società.

È necessario un sindacato che non abbia l’obiettivo di sostituirsi alla politica, ma di dare alla politica contributi e stimoli innovativi, che diventino opzioni, modelli alternativi sui quali la politica è costretta a confrontarsi. Poi si vedrà se sarà la sinistra o la destra a rispondere, anche se appare evidente che su alcune materie la sinistra dovrebbe essere più sensibile. Ma deve essere la pratica quotidiana a dirlo. È la politica che deve dimostrare di credere in alcuni principi e darne seguito. Quanti cittadini, ormai, non vedono grandi differenze tra i due schieramenti, soprattutto in materia di politica economica?

Oggi la nostra classe politica, in considerazione del fatto che il suo ideale politico non è conseguibile ha ceduto la ricerca del bene comune sostituendolo con quello personale. Ciò, non delegittima la funzione politica ma questa classe politica, stretta – come dice Ritter - da contrasti di interessi razionalmente insolubili e da quell’insufficienza morale con cui ogni essere umano sconta le conseguenze della sua misteriosa doppiezza di natura (1).

In definitiva il sindacato – per lo meno la Uil – potrebbe dare alla politica, proprio per il fatto che non ha collateralismi con la politica, un contributo costruttivo, un modello alternativo che si richiami ai valori ed ai principi che appartengono al suo Dna.

Nel contempo, si potrebbe dare un contributo concreto alla ricostruzione di una forza riformista, che rappresenti non solo la continuità storica con quel patrimonio di uomini e di idee che arricchiscono l’albero genealogico del socialismo italiano, ma che sappia anche guardare al futuro con una prospettiva adeguata, consapevole della realtà globale che muta quotidianamente, sotto tutti i punti di vista, creando nuovi problemi, nuove sfide.

Il merito dei contenuti su cui battersi è molto chiaro, ciò che è di più difficile identificazione è lo strumento per attuare queste politiche ed il sindacato deve favorirne l’individuazione andando a stimolare, quasi a provocare, la politica, sfidandola sul merito.

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1) RITTER, Il volto demoniaco del potere, tr. it. di E. Melandri, Il Mulino, Bologna 1971

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La strada da percorrere, per l’Europa e per l’Italia, è ancora molto lunga. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, nel mese di febbraio sono emersi dati poco incoraggianti: la ventilata o presunta ripresa non sembra essere così vicina. Innanzitutto, il Pil resta ancora su livelli – come si suol dire – da prefisso telefonico. Qual è la tua opinione?

I dati Istat sul Pil dimostrano che non c’è una vera ripresa, e questo accade perché non si fanno scelte coerenti: Renzi dice di voler fare come Obama, ma poi guarda alla Merkel. Se non si fanno investimenti pubblici e privati, se non si restituisce potere d’acquisto ai lavoratori e ai pensionati, la ripresa vera e strutturale resta una chiacchiera.

Anche l’Ocse ha prospettato un quadro piuttosto grigio e, al di là di alcune valutazioni positive, ha evidenziato una serie di criticità…

è vero, anche le raccomandazioni formulate dall’Ocse, al di là di qualche incoraggiamento all’operato del Governo, confermano le preoccupazioni e le osservazioni ripetutamente manifestate dalla Uil. Bisogna rendere più efficiente il sistema fiscale, anche aggredendo il fenomeno dell’evasione; occorre un maggiore sforzo contro la corruzione; si devono dare risposte concrete ai disoccupati giovani e a quelli di lungo corso. In particolare, la mancanza di lavoro per i giovani rappresenta il vero problema e anche l’aspetto più negativo dell’azione del Governo che, peraltro, aveva cominciato il suo mandato puntando molto su questo fattore. Continua a persistere, invece, l’eccessivo incremento dell’uso dei voucher che rappresentano la nuova frontiera della precarietà. Tutto ciò, peraltro, in un quadro complessivamente negativo che certifica l’evidente impoverimento delle famiglie e prospetta un’incertezza sulle potenzialità della ripresa. Quello dell’Ocse, insomma, è l’ennesimo invito a sostenere la crescita a livello europeo e anche nel nostro Paese. Meglio non cullarsi nei pochi apprezzamenti espressi: la strada da percorrere, per l’Europa e per l’Italia, è ancora molto lunga.

Su un altro terreno, poi, è stata la Corte dei conti a rincarare la dose. Tra le altre osservazioni, la Magistratura contabile ha segnalato i rischi che possono derivare da un eccesso di produzione legislativa e da una generica spending review. Non è proprio quello che, da lungo tempo, sostiene la Uil?

Non vi è dubbio che troppe leggi sono una fonte di sperperi, inefficienze e illegalità e che la spending review, se attuata con approssimazione, più che generare efficienza possa determinare un taglio dei servizi ai cittadini. Se a tutto ciò si aggiunge la lentezza della giustizia, il quadro non è per nulla incoraggiante. Insomma, la realtà, anche secondo la Corte, ci presenta una condizione di incertezza che, purtroppo, stride con l’ottimismo del Governo. Anche noi siamo ottimisti, perché, come dice Papa Francesco, non dobbiamo farci indurre in rassegnazione. Serve realismo, però, e serve l’impegno di tutti, ognuno per la propria parte: noi siamo pronti a collaborare per far uscire il Paese dalle secche in cui si è impantanato.

Persino dal punto di vista demografica, si registra un impoverimento e anche questo rischio lo avevi segnalato a suo tempo

Non ci piace per nulla fare le Cassandre: tuttavia, sono mesi che denunciamo il rischio del decremento demografico e della fuga all’estero non solo di nostri concittadini, ma anche degli immigrati che, accortisi dell’impoverimento del nostro Paese, ora cercano nuove mete. Non c’è certezza del futuro, perché non c’è un’idea strutturata di sviluppo e, allora, in questa condizione, da un lato, non si fanno più figli e, dall’altro, si emigra. Demografia ed economia sono molto più interconnesse di quanto si possa immaginare: la cosiddetta ripresa, dunque, purtroppo è solo sulla carta. Noi però non ci vogliamo rassegnare, vogliamo essere ottimisti e dare il contributo delle nostre idee per la crescita del Paese. Se il Governo ci ascoltasse, forse, qualche risultato positivo si vedrebbe.

Eppure, ultimamente, il Presidente del Consiglio ha cominciato a stigmatizzare le politiche dell’Unione europea ancora ferme alla logica dell’austerità: sembra essere un’apertura. Che ne pensi?

Se Renzi vuole sconfiggere la politica di austerità europea, si confronti con noi e con il Sindacato europeo: possiamo dargli una mano. Quello che lui sostiene, oggi, noi lo diciamo da molto tempo. Siamo disponili a collaborare per lo sviluppo, ma se agli annunci del Governo non seguono i fatti, il Paese resta al palo.

In Confindustria è partita la corsa per la successione a Squinzi. I candidati sono quattro, ma i toni sono analoghi e non particolarmente concilianti nei confronti del Sindacato. Si preannuncia una stagione di contrapposizione ancora più aspra?

In vista dell’elezione del nuovo Presidente, in Confindustria sembra essere partita la gara a chi è più falco. Come è noto, i falchi sono rapaci, ma incapaci di risolvere i problemi del Paese. Intanto, nonostante diktat e veti, si continuano a sottoscrivere i contratti collettivi nazionali di lavoro: quello per il settore alimentare è stato l’ultimo importante obiettivo raggiunto. Con buona pace di imprenditori non illuminati e di simpatizzanti vari che finiscono per diventare, più o meno consapevolmente, paladini della politica di mancata valorizzazione del lavoro. Noi non abbiamo tabù e siamo disponibili al confronto sia sulle relazioni industriali sia sul modello contrattuale sia su produttività e competitività. Non possiamo, però, accettare una cosa: che Confindustria pensi solo al profitto, perché questa posizione massimalista non fa bene allo stesso sistema industriale né all’economia del Paese.

Il settore alimentare, dunque, ha il nuovo contratto: metalmeccanici e pubblici dipendenti, purtroppo, restano ancora alla finestra…

Sì, è vero. La firma del contratto per i lavoratori del settore alimentare è stata una splendida notizia. Nel settore privato, a resistere sulla linea dell’austerità e della mancata valorizzazione del lavoro resta la Federmeccanica. Un’impostazione, peraltro, che fa il paio con quella del Governo sul pubblico impiego. Chissà se tale sintonia è solo casuale. Sta di fatto che questi due “datori di lavoro” sono un ostacolo sulla via dei diritti contrattuali. Senza il rinnovo dei contratti non crescono il potere d’acquisto dei lavoratori, né i consumi, né le aziende che producono per il mercato interno: è una sorta di suicidio dell’economia del Paese. Speriamo che, presto, lo comprendano anche loro.

Preoccupazioni ci sono anche nel mondo della chimica: Eni vorrebbe, di fatto, cedere la sua azienda del settore a un fondo americano. A febbraio c’è stata una grande mobilitazione con uno sciopero nazionale. Come si può uscire da questa situazione? Cosa intende fare il Sindacato?

Continueremo a lottare perché questa vendita non si faccia. Abbiamo una filiera che va dall’estrazione al consumo e vogliono abolirla, ma così rischiano di cancellare anche il futuro. Dove vanno a finire i progetti sulla chimica verde se li affidiamo alla SK Capital? A questo fondo americano con capitali iraniani? È vergognoso solo a pensarci: Mattei si rivolterebbe nella tomba. Così come è vergognoso che questo Paese non abbia una politica industriale: noi abbiamo bisogno della chimica e di un’industria manifatturiera. Ecco perché continueremo le nostre battaglie per un vero sviluppo economico e produttivo. C’è il Fondo strategico di CdP, vediamo di metterlo subito in movimento. La Guidi e Renzi, invece di cincischiare, battano un colpo, altrimenti il colpo lo batteremo noi.

Un’ultima domanda. Nell’ormai famosa vicenda che ha coinvolto quattro note banche, la soluzione individuata non ha per nulla soddisfatto i risparmiatori danneggiati. Cosa occorre fare?

I rimborsi vanno dati a tutti coloro che in buona fede hanno messo i soldi nella banca in cui credevano. E quando si tratta di obbligazionisti, normalmente, non parliamo di speculatori: la speculazione si fa con le azioni e con le cattive azioni dei banchieri.

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