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LUGLIO-AGOSTO 2012

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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GIUGNO 2012

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SOMMARIO

Il Fatto
Le liturgie del potere e le risposte della gente - di A. Foccillo
Abbiamo bisogno di un Esecutivo che faccia scelte efficaci a partire dalla riduzione dei costi della politica, delle tasse sul lavoro e dagli investimenti nell’industria, nella ricerca e nella scuola- Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL di A. Passaro

Sindacale
Protocollo “Liberi dall’Amianto”. Campagna di sensibilizzazione “Asbestus free”. Amianto: liberiamocene! - di P. Carcassi
L’Adoc: il fulcro di un futuro rinnovamento, economico e sociale, sia la famiglia - di L. Santini
Le donne della UIL nello Statuto - di M.P. Mannino
L’investimento di Melfi - di R. Palombella
Un Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture per una politica organica e coordinata per la mobilità delle persone e delle merci e della logistica - Intervista a Claudio Tarlazzi - di C. Benevento
Inaugurato lo stabilimento di Grugliasco “Giovanni Agnelli Plant”- di G. Cortese

Attualità
L’Italia del presentismo - di G. M. Fara
Tassazione dei rendimenti dei Fondi Pensione - di M. Abatecola
La digitalizzazione della scuola è un pezzo di modernizzazione necessario - di G. D’Aprile

Economia
Promesse elettorali e vincoli dei trattati UE - di G. Paletta

Trasporti
Stop al nuovo Piano Aeroporti“Fermato il decollo” - di G. C. Serafini

Società
La foto inquietante della crisi scattata dall’Eurispes nel Rapporto Italia 2013 - di S. Fortino

Il Corsivo
Gli eredi dello stalinismo sindacale - di P. Tusco

Agorà
Anche l’ampia filiera digitale in tempo d’elezioni si fa sentire - di G. Mele
2013 Anno di grandi cambiamenti? Le “riforme” del comparto Sicurezza e di quello della Difesa - di G. Salvarani

Cultura
Libro “Le nuove pensioni” - di A. R. Marmo

Inserto
I dati del lungo malessere da cui non riusciamo a liberarci - di P. Nenci

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EDITORIALE

Le liturgie del potere e le risposte della gente

Di Antonio Foccillo

Ancora una volta una campagna elettorale ha “allietato” gli italiani. Un evento che non è stato molto partecipato e, in molti, vissuto con l’idea di andare a votare tanto per testimoniare la propria opposizione e contrarietà. Sosteneva Gaetano Salvemini: “La migliore garanzia per il rappresentato è che i rappresentanti debbano rinnovare il più spesso possibile i mandati. Lo Stato ideale sarebbe quello in cui il popolo avesse la coscienza lucida e sicura dei suoi interessi e i pubblici ufficiali scadessero d’ufficio ogni mese”. Certo parla di uno Stato ideale, molto utopico e poco realistico.La verità è che il nostro Paese nell’ultimo anno era in una condizione anomala, rispetto alla stessa Costituzione. Un Presidente del Consiglio, eletto non dal popolo in libere elezioni, ma incaricato, in quanto tecnico, per formare un governo non politico. Una maggioranza in Parlamento ampissima, mai così forte e coesa, che ha approvato misure molto poco eque e soprattutto, che hanno sì migliorata l’immagine dell’Italia in Europa e nel mondo ed hanno convinto i mercati, ma che hanno fatto aumentare la povertà nel paese e nella sua economia ed hanno prodotto una recessione da cui ancora non si vede la luce. Misure che in campagna elettorale tutti hanno disconosciuto, compreso il Presidente del Consiglio ancora in carica e che tutti hanno giurato di cambiare.

Questa situazione ha isolato la politica sempre più dalla cittadinanza con il risultato di premiare forze politiche che hanno lo scopo solo di distruggere e non sono in grado di proporre niente altro che una campagna virulenta, spesso volgare, offendendo tutto e tutti. Queste forze distruttive nello scontro elettorale hanno dato seguito ad una contrapposizione non tanto sulla base di opzioni ideali, ma soprattutto hanno dato l’immagine di voler affermare la propria idea di comprendere, usare e gestire il potere in modo distruttivo. Dall’altra parte le liturgie del potere che hanno voluto affermare essenzialmente la propria visione assumendo il ruolo politico come un ruolo di egemonia tout court, dando la sensazione della protervia indiscriminata di un potere che si autocelebra nella presunzione nell’affermarsi come diritto e non come dovere sociale e puntando nei confronti dell’avversario la logica della ghigliottina. Nella storia spesso le varie ghigliottine sono state utilizzate solo per eliminare l’avversario e non ricostruire sulla base di progetti sociali ed economici.Purtroppo, nella campagna elettorale, si sono sentiti confronti e proposte, che hanno dimostrato solo vuoto strategico e politico, invece, di impostare una campagna elettorale sui fatti concreti, sui possibili cambi alternativi alla logica imperante del primato della finanza, sulla capacità reale di rappresentare una società, come quella italiana, che si è impoverita e che fa vivere tre quarti della cittadinanza in estrema difficoltà.Gli Italiani hanno votato, come sempre il massimo rispetto per il voto.

Hanno voluto esternare, soprattutto la loro esasperazione, sperando di cambiare. Vi è un dato, comunque importante e positivo, mai come questa volta una grandissima pattuglia di giovani è entrata in Parlamento. Hanno usato l’unico contenitore che gli dava questa opportunità. Hanno dimostrato che vogliono partecipare attivamente alla vita politica e vogliono mettere in crisi i troppi paludati della politica. Purtroppo vi è anche un dato negativo in questi risultati elettorali ed è il premio che, ancora una volta, si è dato alla demagogia e alla illusione. Questo dimostra, da parte delle forze politiche più responsabili, che hanno dato troppa sottovalutazione allo stato di disagio che vivono milioni di cittadini italiani. Troppa sottovalutazione è stata data alla necessità di dare una speranza che le cose possano cambiare in meglio e, quindi, ridare speranza per una vita migliore, per cui chi li ha fatti sognare ha avuto il consenso.Esse hanno fatto la scelta di credere che il potere politico debba essere funzionale al rapporto proprio con i progetti di rilancio del Paese e, soprattutto dell’economia per migliorare le condizioni di vita della popolazione, ma non sono state premiate.L’incognita che viene fuori dalle elezioni è quale governo si riuscirà a fare e quali saranno le scelte? Il prossimo governo se vuole essere realmente alternativo deve svolger un ruolo politico che sia rivolto ad una costante ricerca del consenso sociale, della concertazione tra funzione del sistema politico ed i bisogni della società civile.Deve proporre e realizzare un progetto di società che sia in grado di guardare avanti, nella capacità di essere fedeli ad un impegno riformista inclusivo e non esclusivo, come, purtroppo, è avvenuto in questi ultimi anni.

Oggi si continua a porsi il problema di riassorbire la disoccupazione, in particolare quella femminile e giovanile, che è gravissima nel Mezzogiorno per insufficienza della base produttiva.Deve essere risolto un maggiore intervento dello Stato, sia in opere pubbliche sia nella realizzazione di infrastrutture, che avrebbe un effetto benefico per creare nuovi posti di lavoro e favorire lo sviluppo. E’ necessaria una riforma della scuola, dell’università e della ricerca che permetta a questi settori di essere realmente funzionanti alle esigenze della società in cui viviamo, i cui mutamenti sono profondi.La giustizia deve essere più rapida e più efficiente, per ragioni di principio, ma anche – per quanto riguarda il settore civile - per ragioni economiche. Riformare la sanità è una necessità impellente e non tagliare, come è stato fatto, in modo lineare che distrugge un tessuto connettivo che ha migliorato le condizioni di gran parte della cittadinanza.Questo significherebbe, ritrovare una politica in grado di rappresentare in modo efficace i gruppi sociali che si riconoscono nel riformismo, ne condividino la metodologia e gli obiettivi.Quanto sono state lontane nella campagna elettorale, invece, le proposte delle attuali forze politiche da questa impostazione e, purtroppo, fa presupporre che il voto allontani ancora di più da questa prospettiva. Eppure non bisogna perdere la speranza, ognuno di noi deve trovare la forza per ricostruire e non distruggere. Il paese ha ancora bisogno di dibattito e di dialettica. Va premiato una “Politica” aperta, che sia radicata nella società, profondamente democratica, che sia in grado di lanciare dibattiti politici ed ideali che coinvolgono l’opinione pubblica, senza ricreare contrapposizioni che hanno contrassegnato per un lungo periodo la vita del Paese. Politica che dia spazio e libertà di azione a chi affronta e segue i problemi che interessano l’opinione pubblica: dall’ecologia allo sviluppo occupazionale, all’istruzione, alla sanità all’assistenza, alla cultura, al turismo, all’aumento dei redditi per ampliare i consumi.Bisognerebbe sviluppare idee, elaborare progetti e raccogliere consensi, sulla base di una politica concreta che risolva situazioni e problemi.

Bisogna ripartire per proporre un nuovo modello economico fondato su tre punti: il primo riguarda la necessità e l’obbligo di rimettere la persona al centro della politica e del sociale; il secondo fissare regole al livello internazionale per limitare il potere della finanza; il terzo arrivare in Europa, a istituzionalizzare un Governo eletto dai cittadini e la Bce emetta moneta, con la contemporanea modifica dei trattati, per arrivare ad investimenti a favore dello sviluppo, che siano svincolati dalla tagliola del rapporto deficit/pil. Il voto espresso dagli italiani è anche un segnale all’Europa della tecnocrazia e dell’egemonia tedesca, che deve ritornare ad essere un’opportunità e non un freno alla necessità di crescita del tenore di vita delle cittadinanze europee. E’ troppo alto, oggi, il prezzo che intere popolazioni devono pagare per alimentare la speculazione di pochissimi gestori della finanza mondiale, che ignorano il problema della corretta allocazione delle risorse disponibili e tuttavia manovrano sul mercato globale grandi nasse di denaro virtuale, bypassando l’economia produttiva e il mondo del lavoro, si arricchiscono utilizzando solo gli strumenti speculativi che il libero mercato ha messo a loro disposizione.Il voto degli italiani può diventare uno tusnami che rischia di trascinare via tutto quello che trova lungo la strada.Infatti, in questa fase, rischia di essere coinvolto anche il sindacato, che si vorrebbe disconoscere nella sua essenza fondamentale, che, pure, ha contribuito enormemente, in passato, a migliorare le condizioni dei lavoratori e dei cittadini.

Un sindacato che purtroppo vive oggi una fase di isolamento e di solitudine, che se non superata rischia di aumentare ancora di più la situazione disastrosa, sul piano economico, occupazionale e dei diritti ridotti dei giovani e degli anziani.Parafrasando un libro di Garcia Marquez: Cent’anni di solitudine” in cui si descrive un lungo viaggio di una famiglia e di un villaggio da una solitudine ad un’altra solitudine: dall’isolamento dell’ignoranza e dell’innocenza, all’isolamento della consapevolezza e dell’alienazione; così pure il sindacato, che pure ha fatto un lungo viaggio pieno di travagli, se non vuole raggiungere l’isolamento dell’alienazione, deve essere riconosciuto a pieno titolo come soggetto essenziale e necessario per gestire questa svolta politica. Ma deve egli stesso ritornare ad essere un soggetto propositivo di cambiamento e di rilancio per una società più equa e più giusta.

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Abbiamo bisogno di un Esecutivo che faccia scelte efficaci a partire dalla riduzione dei costi della politica, delle tasse sul lavoro e dagli investimenti nell’industria, nella ricerca e nella scuola. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, era tempo che paventavi il rischio di un nulla di fatto quale esito delle elezioni per il rinnovo del nostro Parlamento: e così è stato. Dalle urne non è uscita una maggioranza omogenea che sia in grado di governare il Paese. Al Senato, ogni singolo raggruppamento non ha i numeri per dar vita ad un nuovo Esecutivo stabile. E non sarebbe autosufficiente neanche un’alleanza tra il Centrosinistra e il rassemblement che fa capo a Mario Monti, ipotesi a cui qualcuno aveva pensato prima del voto. Si discute, ora, di quale potrebbe essere il ruolo del Movimento fondato da Grillo oppure di ipotesi legate a nuovi governi “tecnici” e di molte altre possibili soluzioni. Al momento in cui scriviamo, però, è ancora troppo presto perché questi nodi gordiani possano essere sciolti. C’è un problema di governabilità. Intanto, la Uil ha riunito la Direzione e tu hai espresso alcune valutazioni. Vuoi riproporle?

Il problema del Paese non è la governabilità quanto piuttosto quello di avere un Governo che faccia una buona politica. Noi abbiamo bisogno di un Esecutivo che faccia scelte efficaci a partire dalla riduzione dei costi della politica e delle tasse sul lavoro e dagli investimenti nell’industria, nella ricerca e nella scuola. Non ci interessa quale tipo di alleanza sarà messa in campo, l’importante è che sia in grado di affrontare positivamente le gravi questioni economiche che si chiamano alta disoccupazione, bassi salari e bassa produttività. Qualunque sia il Governo che sarà capace di ciò, avrà fatto davvero il bene del Paese. Altrimenti, a questo punto, sarebbe meglio nessun Governo piuttosto che un Governo che facesse scelte sbagliate.

Stai sostenendo che sarebbe preferibile tornare alle urne?

Se in Parlamento non si dovesse raggiungere un’intesa tra forze che siano in grado di realizzare politiche efficaci per l’economia, sarebbe preferibile tornare alle urne. Noi non crediamo che sia necessario un Governo ad ogni costo, qualunque esso sia, purché sia. Vorrei ricordare che in Belgio sono stati senza Governo per lunghissimo tempo e non c’è stato alcun tracollo.

Cosa pensi di Grillo?

Grillo è riuscito a canalizzare i sentimenti, le preoccupazioni, la rabbia espressi da buona parte degli elettori. Penso che la politica abbia sbagliato a non ridurre realmente i propri costi: ha fatto intravedere questa possibilità, ma poi non l’ha realizzata. E molti cittadini si sono sentiti presi in giro.

Anche nel corso della campagna elettorale, hai sottolineato la poca attenzione che i partiti hanno riservato alle emergenze dell’economia reale. C’è il rischio che questa situazione si perpetui?

Sì, temo che i problemi connessi al tema delle alleanze politiche possano ridurre l’attenzione sulle vere questioni dell’economia reale. Purtroppo, l’emergenza lavoro, con il conseguente malessere per milioni di italiani, c’era prima delle elezioni e non scomparirà dopo, se non si mette mano a provvedimenti capaci di riattivare la domanda interna. Tra poco supereremo i tre milioni di disoccupati mentre salari e pensioni continuano a diminuire. Ribadisco ciò che ho già detto in altre circostanze: se non si riducono le tasse, la disoccupazione non calerà.

Qual è il tuo sentimento sulla ripresa? Non mi sembri particolarmente ottimista…

I dati sul Pil sono davvero preoccupanti. Il sistema economico si sta sfarinando e il Paese sta andando alla deriva. Tutte le previsioni non sono affatto improntate all’ottimismo: la ripresa non ci sarà nemmeno nel 2013.

Non c’è soluzione?

Se il prossimo Governo facesse proprie le proposte che abbiamo indicato anche nella nostra Agenda, allora l’attuale tendenza negativa potrebbe essere invertita. Ma bisogna attuarle quelle cose e non solo promettere di realizzarle.

Cambiamo argomento. Come procede il confronto con Confindustria sulla rappresentanza e rappresentatività?

Siamo ancora alle battute iniziali. Ci sono stati alcuni incontri tecnici sulle procedure per la certificazione degli iscritti: noi riteniamo che debba essere coinvolta l’Inps. Verificheremo nelle prossime settimane se ci saranno le condizioni per ottenere un risultato positivo. Per quanto ci riguarda, abbiamo già ripetuto molte volte, anche da queste pagine, che quello della rappresentanza è un tema di competenze delle parti sociali e che, dunque, va regolamentato da un accordo. Solo successivamente può intervenire una legge per prendere atto dell’esito del confronto.

La Uil, dunque, è contraria all’ipotesi di una regolamentazione della materia per legge. Ma ci sono altri ostacoli sul cammino di una possibile intesa sulla rappresentanza…

E’ troppo presto per questo tipo di valutazioni. Certo, ad esempio, sarebbe inaccettabile anche l’idea di considerare indispensabile una maggioranza qualificata per l’approvazione delle intese: sarebbe come concedere una sorta di diritto di veto che, di fatto, si tradurrebbe nell’immobilismo dell’azione sindacale. I lavoratori vogliono fatti e decisioni concrete: non dimentichiamo mai che uno dei due modi per far aumentare i salari è sottoscrivere contratti. L’altro è ridurre le tasse. Ai sindacati, che sono autorità salariali, compete direttamente il primo.

E la questione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori? Puoi spiegarcela?

Quella, poi, è una vicenda paradossale. Molti anni fa, la Fiom si batté per modificare l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che riconosceva la facoltà di costituire rappresentanze ai “sindacati maggiormente rappresentativi”. La categoria dei metalmeccanici della Cgil fu tra i promotori di un referendum per cancellare quel passaggio della norma in questione: l’esito della consultazione fu positivo. Pertanto il nuovo articolo 19, scaturito da quella scelta della Fiom, stabilisce che le rappresentanze spettano ai firmatari di accordi. Ora quello stesso sindacato ha cambiato opinione e vorrebbe fare retromarcia.

Un’ultima domanda. Credi che le incertezze sul futuro e la nuova, complessa e inestricabile situazione politica possano favorire la ripresa di un dialogo sull’unità sindacale?

La UIL ha sempre affrontato vicende, trattative e confronti con un’attenzione particolare al merito dei problemi. Ciò che conta è trovare soluzioni che tutelino i lavoratori. Ecco perché l’unità sindacale, per noi, rappresenta un importante valore aggiunto se è utile ad ottenere quel risultato: è uno strumento non il fine della nostra azione. Il futuro, dunque, non dovrebbe riservarci novità. Noi proseguiremo lungo la nostra strada e sarà come è sempre stato: in molte situazioni CGIL, CISL e UIL procederanno insieme, in altre emergeranno delle specificità e ognuno deciderà secondo le proprie valutazioni. Ciò che non potremo mai fare è accettare l’immobilismo in nome dell’unità sindacale: le scelte a favore dei lavoratori vanno assunte se sono positive e non soltanto se sono unitarie.

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