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FEBBRAIO 2012

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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GENNAIO 2012

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SOMMARIO

Il Fatto
Alla fine della storia... - di A. Foccillo
Occorrono risorse pubbliche senza le quali parlare di riforma del mercato del lavoro
è solo propaganda. Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL  - di A. Passaro

Sindacale
Liberalizzazioni oltre l’immagine? - di P. Carcassi
Lo sciopero europeo dei sindacati: I diritti, le tutele, il lavoro non vanno mortificati
o ridimensionati - di A. Rea
Crescere per andare oltre la crisi - di R. Palombella
Garantire il lavoro femminile e giovanile, con sostegni concreti e innovativi -
di M. P. Mannino
Crisi della raffinazione italiana - di A. Fiordelmondo

Attualità
I danni ingenti dell’ondata di maltempo sulle attività economico - produttive marchigiane. - di G. Fioretti
Una botta da cui sarà difficile riprendersi - di A. Pugliese
Obiettivo Basilicata 2012 - di C. Vaccaro
Spagna: Riforma urgente per frenare la distruzione di occupazione e migliorare l’occupabilità - Dell’Ufficio Occupazione e Sicurezza Sociale Ambasciata di Spagna

Società
Il coraggio di rompere il “patto”. L’Italia vittima e complice di una democrazia bloccata - di G. M. Fara

Economia
Investimenti immobiliari. L’esperienza dei “vecchi” fondi pensione - di M. Abatecola
Il Feudalcapitalismo - di G. Paletta
La crisi finanziaria epidemia globale - di A.Ponti

Lavoro
L’art. 18 e la precarizzazione del mondo del lavoro - di M. Ballistreri

Il Corsivo
Un sindaco da congelare - di P. Tusco

62 anni di UIL
Interpretare il presente e rappresentare il futuro ricordando il passato - di A. Foccillo

Il Ricordo
Ernesto era un gentiluomo, una persona cortese, sempre attento, ma soprattutto
era un uomo autentico, sincero - di A. Rea

Agorà
Dopo il suo avvento in Borsa quante facce avrà facebook? - di M. C. Mastroeni
Prima erano solo si dice… ora ci sono le prove! - di G. Salvarani
La drammatica Situazione dei Pronto Soccorso degli ospedali di Roma -
di L. P. Di Bacco

Cultura
David Fincher: Millennium - Uomini che odiano le donne - di S. Orazi

Inserto
Autonomia, democrazia, laicità. Le parole d’ordine del sindacato - di P. Nenci

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EDITORIALE

Alla fine della storia...

Di Antonio Foccillo

Nei manuali universitari di economia, dato che non esiste una definizione di politica economica universalmente accettata, ci si esercita a trovarne una. La più comune può essere sintetizzata nel concetto che studia le condizioni di produzione e ripartizione della ricchezza della società. Mentre l’economia politica è lo studio degli strumenti con i quali l’azione pubblica può raggiungere determinati obiettivi che si possono così riassumere:

a) Massimizzazione del Prodotto nazionale, la sua ripartizione fra i diversi impieghi e il suo massimo tasso di crescita. Per far questo le autorità statali che governano l’economia devono intervenire con investimenti, potenziamento delle strutture tecniche ed incentivi in quanto il mercato da solo è insufficiente ad accrescere il prodotto nazionale sia nel breve che nel lungo periodo;

b) Piena occupazione delle forze lavoro, perché la disoccupazione è causa di malessere acuto nella società, oltre ad essere ostacolo allo sviluppo della capacità produttiva del paese ed al pieno utilizzo delle sue risorse;

c) Stabilità dei prezzi per contrastare l’inflazione che crea disparità nella distribuzione del reddito fra percettori di salari e percettori di reddito variabile e, distorce l’allocazione delle risorse;

d) Equa distribuzione personale e territoriale del reddito, anche per attivare la produzione di settori meno favoriti, cosa che può essere utile a stimolare l’offerta nel lungo periodo; 

e) Pareggio della bilancia dei pagamenti per evitare al paese di indebitarsi o accumulare crediti verso l’estero. 

I soggetti della politica economica sono i soggetti pubblici (Stato, enti locali, etc,) che debbono svolgere la funzione di pianificare l’economia nel suo complesso, di fissare gli obiettivi prioritari e di effettuare le scelte secondo la gerarchia degli interessi. 

In un’economia di mercato, però, le decisioni di governo possono avere solo la funzione di indirizzo, poiché dovranno confrontarsi con il comportamento dei soggetti privati e con le loro aspettative, oltre che con altri soggetti che sono: gli organismi internazionali, il Fmi, Banca Mondiale e la Ue e la Bce.

Lo Stato, quando esprime la sua sovranità, svolge la funzione d’intervento sia direttamente, diventando imprenditore, sia indirettamente quando disciplina e indirizza verso determinati fini l’iniziativa privata.

Quando l’economia presenta sintomi di recessione il governo può decidere una riduzione delle aliquote fiscali o aumentare la spesa pubblica, Con la politica monetaria (manovre sul tasso d’interesse, variazioni della base monetaria o del tasso ufficiale di sconto) può stimolare o deprimere gli investimenti.

Infine, una forma particolare di intervento statale indiretto è la programmazione economica.

Ovviamente vi sono varie teorie economiche che si sono avventurate nello stabilire come e dove intervenire quando la situazione economica non è florida. Quella dei neoclassici che ritenevano che l’equilibrio fosse assicurato dalla uguaglianza fra investimenti e risparmi e che il mercato fosse sempre in grado di autoregolarsi, di raggiungere in modo automatico il reddito di piena occupazione dei fattori produttivi.

Secondo questa teoria compito dello Stato, allora, era quello di astenersi da ogni intervento che potesse turbare il libero gioco delle forze economiche. L’altra teoria è quella di Keynes, che riteneva questo automatismo non funzionante perché gli investimenti dipendono dal saggio d’interesse, mentre il risparmio è funzione del reddito. Per Keynes l’unico strumento capace di stimolare la domanda aggregata è la spesa pubblica: un suo aumento, grazie all’effetto del moltiplicatore, permetterà di raggiungere la piena occupazione. Queste erano le risultanze delle analisi della grande crisi del 1929 che Keynes nella sua opera più famosa “La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936) indicava necessarie per uscire da quella crisi. Sintetizzando molto il suo pensiero: lo schema di determinazione del reddito e dell’occupazione consiste nel costruire separatamente l’equilibro sul mercato dei beni e sul mercato delle monete, da mettere successivamente insieme per derivare l’equilibrio macroeconomico. Se il mercato si dimostra incapace di raggiungere autonomamente l’equilibro, occorre che lo Stato svolga un ruolo più attivo nella vita economica.

Quindi la finanza pubblica dovrebbe correggere e bilanciare gli andamenti dei cicli economici; mantenere in pieno regime di occupazione le diverse forze di produzione; stabilizzare o incrementare il reddito nazionale; prevedere le esigenze delle generazioni future; eliminare gli squilibri territoriali e settoriali. L’economista Giulio Sapelli, docente di storia economica all’Università di Milano sostiene: “Una delle principali caratteristiche dell’economista e del funzionario dell’Ue è infischiarsene altamente della realtà. Per loro la realtà non esiste, esistono soltanto i modelli matematici.” Cosi continua “... purtroppo negli organismi europei c’è un’egemonia degli economisti neo classici che pensano, erroneamente, che la crescita e l’occupazione si facciano partendo del mercato del lavoro, mentre noi, che non siamo neoclassici e monetaristi, siamo sicuri che la crescita inizia degli investimenti e nessuno investe pensando a come sarà il mercato del lavoro, ma preoccupandosi di come sarà il suo profitto”, “d’altra parte sono anni che ci raccontano che è importante deregolamentare il mercato del lavoro e questi sono i risultati secondo questa logica la Spagna ha deregolamentato tutto e avrebbe dovuto avere una crescita esponenziale e invece ha una disoccupazione paurosa.”

La sua ricetta per uscire dalla crisi è: “In estrema sintesi direi è necessario riformare le banche, separando quelle di investimenti da quelle d’affari, recuperare il ruolo dell’industria di Stato, secondo me, lo stato deve ritornare a investire nell’economia. Il nostro problema non è, infatti, il debito pubblico se così fosse il Giappone sarebbe già scomparso, il problema è l’assenza di crescita”. “purtroppo è difficile riformare le banche, quando i ministri del tesoro sono stati i dirigenti proprio di quelle banche...”(1).

Vi sono, come ovvio, varie evoluzioni del pensiero economico e due fatti si sono succeduti che hanno completamente cambiato lo scenario previsto dalle precedenti teorie economiche.

Un primo: l’Unione economica e monetaria Europea, con il Trattato di Maastricht, ha fissato i criteri di convergenza che erano: stabilità del cambio, il tasso d’inflazione non doveva superare di 1,5% quello dei tre Stati membri che avevano conseguito il più basso tasso d’inflazione nei dodici mesi precedenti, i tassi d’interesse a lungo termine di ciascun stato non dovevano essere superiori del 2% rispetto a quelli adottati dai paesi in cui il costo della vita era cresciuto meno, il rapporto fra disavanzo pubblico e Pil non doveva essere superiore al 3% e il rapporto fra debito pubblico e Pil non doveva superare il 60%. Il secondo è il processo di globalizzazione che ha deregolamentato e con la finanziarizzazione ha stravolto le economie mondiali ed ha, di fatto, portato ad una recessione mondiale dell’economia, riducendo gli spazi e gli investimenti nell’economia produttiva e puntando sulla speculazione finanziaria, attaccando il welfare, come spesa improduttiva, insostenibile oggi alla luce dei nuovi processi economici e finanziari. Paul Krugman sostiene: “L’Europa si trova nei guai perché ha esagerato nell’aiutare i meno abbienti e i disgraziati e staremo quindi assistendo all’agonia del welfare state, questa versione dei fatti, a proposito, è una delle costanti preferite dalla destra americana” e continua “la prossima volta che sentirete qualcuno invocare l’esempio dell’Europa per chiedere di far piazza pulita delle nostre reti di sicurezza sociale o per tagliare la spesa a fronte di un’economia gravemente depressa, ricordate di tener ben a mente che non ha idea alcuna di ciò di cui sta parlando”.(2)

In conclusione, alla luce di queste considerazioni, ritengo che bisogna sempre di più contrastare il pensiero unico neoliberista. Emanuele Emmanuele, capo della Fondazione Roma sostiene: “Nel 2010 secondo i calcoli della rivista Spiega sulla base dei dati Fmi le transazioni di beni e servizi in tutto il mondo ammontavano a 63 miliardi di dollari, 87 mila miliardi il volume delle azioni e obbligazioni scambiate, 601 mila miliardi l’ammontare dei derivati e 995.000 miliardi di dollari il volume delle transazioni valutarie. Un castello di carta costruito sulla testa dell’economia reale.

Numeri che spiegano come i governi del mondo siano ostaggi delle banche, perché la finanza genera instabilità. Se questo gigante con i piedi di argilla dovesse crollare, la crisi non riusciamo a immaginarla nemmeno lontanamente”. Continua “la politica può rientrare in campo ipotizzando nuove forme di governo, nuove istituzioni che controllino i flussi di capitali erranti. Non bastano le banche centrali né gli organismi soprannazionali. Occorre disegnare una nuova concezione della società, con il fondante convincimento di stabilire concrete vicinanze a chi è meno fortunato, a chi a meno diritti, a chi non riesce a manifestare i propri problemi.

Questa la prima esigenza da privilegiare” ed infine “in tempi molto brevi si deve tentare di definire l’edificio Europa… Occorre far presto. O l’Europa disegnata da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli a Ventottenne oppure si ritornerà alla sovranità degli stati nazionali. L’unità monetaria senza edificio adeguato non ha più senso.(3)”

Per concludere se non si vuole essere alla fine della storia bisogna ritrovare il gusto di affrontare i problemi per quello che realmente sono ed il sindacato, in quanto uno degli ultimi strumenti di democrazia partecipata deve diventarne protagonista.

______________ 

Note:

1. Il Secolo XIX del 24/02/2012, nella rubrica il colloquio dal titolo: “Dal Governo ricette vecchie”.
2. La Repubblica del 28/02/2012 articolo dal titolo “La vera malattia dell’Europa”.
3. Il Riformista del 28/02/2012 intervista dal titolo “I Governi? Ostaggi delle banche”.

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Occorrono risorse pubbliche senza le quali parlare di riforma del mercato del lavoro è solo propaganda. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, ad oggi, la riforma del mercato del lavoro è in una fase di stallo. Dopo l’incontro tra il Presidente del Consiglio, Mario Monti e il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, è stato rinviato il confronto con le parti sociali. L’obiettivo che si pone il Governo è quello di individuare le risorse necessarie ad avviare la riforma. Cosa sta succedendo?

La decisione di rinviare la ripresa della trattativa ci è sembrata opportuna. Noi abbiamo sottolineato il fatto che è impossibile fare una riforma senza avere a disposizione le risorse necessarie ad attivarla. Il Governo vuole modificare l’attuale assetto degli ammortizzatori sociali, riducendo il peso della cassa integrazione e rafforzando considerevolmente l’indennità di disoccupazione. Noi abbiamo fatto due obiezioni a questa proposta, sia al tavolo della trattativa sia attraverso i mass media. Non siamo ancora convinti della validità di questa soluzione.

Qual è la tesi che sostiene il Sindacato?

Noi pensiamo che la cassa integrazione abbia ben funzionato in questi anni di crisi perché ha consentito di contenere il numero dei disoccupati. Grazie alla Cig, infatti, non si recide il rapporto di lavoro tra l’impresa e il singolo addetto. C’è sempre la possibilità, dunque, che il lavoratore possa tornare in attività. E questo è accaduto in più di una circostanza. Questo strumento è una sorta di deterrente al licenziamento. Serve ad evitare, lì dove è possibile, che si disperda un patrimonio occupazionale e professionale difficile da ricostituire, poi, in presenza di un’auspicata ripresa economica. La nostra perplessità alla diffusione dell’altro meccanismo proposto dal ministro Fornero nasce proprio da questa considerazione. L’indennità di disoccupazione tende a deresponsabilizzare, per così dire, l’impresa che, in alcuni casi, potrebbe decidere di risolvere, definitivamente, il rapporto con i propri addetti in esubero, senza aver prima verificato se sia possibile proseguire l’attività.

Ma le obiezioni che tu hai sollevato al tavolo sono andate oltre. Mi pare di capire che si potrebbe anche accettare l’idea di ragionare sull’indennità di disoccupazione ma che devono essere definiti alcuni parametri chiari…

Sì, noi vogliamo avere risposte a tre questioni che abbiamo posto al tavolo: qual è la platea di riferimento di questo nuovo ammortizzatore, quanto riceverebbe ogni singolo destinatario dell’indennità e per quanto tempo. Senza avere a disposizione nessuna di queste indicazioni non si può esprimere un giudizio compiuto sul merito della proposta. Aspettiamo di conoscere dettagli specifici.

Come giudichi questa difficoltà del governo nel reperire le risorse necessarie?

Siamo perfettamente consapevoli della difficile situazione di crisi in cui si trova il Paese ed è verosimile che il Governo non abbia sufficienti risorse a disposizione. Ma la situazione è comunque paradossale. Il Sindacato è stato accusato di essere conservatore e di tutelare le persone prossime all’età di pensionamento. Ci dicevano che bisognava trasferire un po’ di risorse a favore dei giovani. Ebbene la riforma delle pensioni l’hanno realizzata, hanno fatto cassa ma non hanno ancora trasferito nulla ai giovani. Verrebbe da dire che è facile fare i riformisti con i soldi degli altri. Così non può funzionare.

E, a tuo avviso, il Governo ha compreso questo messaggio?

Fino ad ieri, il Governo ha praticamente detto che tutte queste nuove forme di protezione, soprattutto per le persone che oggi ne hanno poche o nessuna, dovrebbero essere finanziate con i soldi degli altri lavoratori. Francamente, è un assurdo. Non comprendiamo quale ragione ci sarebbe stata per estendere le tutele a chi oggi non le ha con una riduzione di protezione per quelli che le hanno. Credo sia un bene, perciò, che la trattativa sia stata, di fatto, sospesa in attesa di trovare una soluzione a questo problema. Finalmente, il Governo sembra aver compreso che per fare la riforma occorrono risorse pubbliche senza le quali parlare di riforma del mercato del lavoro è solo propaganda.

Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha detto che entro la fine del mese di marzo la riforma si farà comunque...

È giusto che sia così. Nella concertazione non è insito un diritto di veto per nessuno, tantomeno per le parti sociali. In tutti i Paesi è previsto che sia il Governo a governare. I sindacati possono provare a modificare ciò che ritengono ingiusto o inefficace, ma non possono pensare di bloccare qualsiasi decisione.

Questa volta, i rapporti tra Cgil, Cisl e Uil sembrano buoni. Si riuscirà a trovare una sintesianche sui punti rispetto ai quali si registrano alcune specificità?

L’unità dei sindacati non può essere un metro di misura delle situazioni. E, comunque, in questo caso, non è certamente un problema. Il punto è un altro: capire che cosa vuole concretamente fare il Governo. Io sono convinto che, se riusciamo a fargli fare proposte non solo teoriche ma anche pratiche, le probabilità di un’intesa entro il mese di marzo siano piuttosto elevate.

Sullo sfondo, però, resta il macigno dell’articolo 18. Come sarà affrontato questo problema?

L’articolo 18 protegge le persone dai licenziamenti senza giustificato motivo. Una delle argomentazioni sostenute dagli “abrogazionisti” è che le interpretazioni dei giudici sono molto variegate. Noi, allora, proponiamo che si scrivano in maniera netta e chiara quali sono le ragioni, le giuste cause, per le quali si può rescindere un rapporto di lavoro. Non è assolutamente serio, invece, sostenere che, mancando regole chiare, l’unica cosa da fare sarebbe l’abolizione del diritto per tutti.

Cambiamo argomento. La realizzazione della cosiddetta Tav, la linea ferroviaria tra Torino e Lione, sta suscitando molte polemiche, tra manifestazioni, contrasti e, anche, qualche episodio di violenza. Qual è la tua opinione sulla vicenda?

Sono convinto della necessità di realizzare quest’opera: l’Italia ha bisogno di collegarsi all’Europa e ai corridoi strategici. Quest’impresa comporta la creazione di nuovi posti di lavoro: sarebbe schizofrenico parlare di crescita e occupazione e poi frustrare ogni scelta che portasse in questa direzione. Noi vorremmo che fossero le nostre merci ad attraversare le Alpi e non i nostri giovani disoccupati: ecco perché vogliamo che si realizzi la Tav. Peraltro, abbiamo anche un accordo sottoscritto con la Francia e se non lo rispettassimo per la parte che ci compete, daremmo una pessima immagine del nostro Paese.

Un’ultima domanda. Semmai ce ne fosse stato bisogno, anche l’Eurostat ha rilevato che nel nostro Paese i salari sono particolarmente bassi...

Sono anni che sosteniamo di essere caduti in una trappola fatta di bassi salari e bassa produttività. Noi paghiamo troppe tasse: metà dello stipendio va allo Stato tra tasse e contributi. In Italia, inoltre, abbiamo due fenomeni che, più che altrove, ostacolano ogni progetto di sviluppo: alti costi della politica ed elevati livelli di evasione fiscale. Bisogna intervenire. Io credo che questo Governo abbia fatto cose importanti: ha cambiato l’immagine di questo Paese. Ma non ha ancora cambiato la realtà. Noi vogliamo salvare l’Italia, ma vorremmo salvare anche i lavoratori italiani.

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62 anni di Uil

UIL: 62 anni, interpretare il presente e rappresentare il futuro ricordando il passato

di Antonio Foccillo

LA Uil il 5 marzo compie 62 anni. La sua tradizione di organizzazione laica e riformista, il suo essere autonoma, la ricerca dell’affermazione del pluralismo, ma soprattutto la sua ferma determinazione ad essere fattore di modernità sono stati alcuni dei tratti più caratterizzanti della sua vita. E’ stata un patrimonio importante della storia del sindacalismo italiano.

La storia non è solo ricordo, ma è anche linfa per valori e ideali che si debbono continuare a mantenere vivi, pena l’aridità della passione civile democratica.

Proprio oggi che tutto viene messo in discussione e, soprattutto, ogni forma di associazione e di aggregazione viene considerata come retaggio del passato, invece, il bisogno di sindacato resta ancora forte.

Il movimento sindacale è, e resta, anche nel nuovo millennio, nonostante i tanti attacchi, un protagonista importante della vita politica e sociale dei nostri tempi e non ha ancora esaurito la sua azione. Nell’attuale società, altri soggetti si affacciano per essere rappresentati, altri soprusi e sfruttamenti convivono, altre necessità di partecipazione e di protagonismo vanno alimentate. Sta al sindacato, come ha fatto altre volte nel passato, saperle coglierle, rappresentarle, ma, anche aprirsi alla loro presenza.

La Uil, dalla nascita ha sempre cercato di rappresentare il nuovo, non ha mai accettato il conformismo, ma si è sempre battuta per innovare ed ha aperto la strada, anticipando tematiche che sono poi state percorse dall’insieme del sindacalismo italiano.

Per questo non dobbiamo mai stancarci di studiare la sua storia, dando, con questo, una spiegazione compiuta alle azioni, lotte e conquiste che hanno caratterizzato il suo lungo itinerario.

Tutto ciò deve portare il suo gruppo dirigente, attuale e futuro, a rappresentare meglio questa grande famiglia e continuare la battaglia di rinnovamento, laicizzazione e riformismo della società, assicurando così un futuro a questa lunga esperienza di grande palestra di emancipazione, partecipazione ed evoluzione sociale ed economica, non dimenticando i sacrifici di tanti che l’hanno fondata, l’hanno difesa e mantenuta fino ai nostri giorni.

Il gruppo dirigente, a tutti i livelli, può rappresentare degnamente il futuro, ma lo deve fare ricordandosi del passato e delle proprie radici, morali, culturali ed ideali.

In questi 62 anni la Uil ha saputo accrescere sempre più una propria specificità di organizzazione. Dapprima quale soggetto di mediazione al bipolarismo politico e sindacale, in seguito maturando un ruolo fortemente propositivo, capace di aggregare l’intero movimento sindacale su progetti e smuovendo la tendenza alla staticità e al conservatorismo pur presente nel sindacato. Quindi, ha svolto un’azione che è diventata non solo di ricerca e riconoscimento delle progettualità, ma che ha anche innescato mobilità e dinamismi nel movimento sindacale e nella società. Essa si è collocata nella sinistra riformista dalla quale ha condiviso l’impostazione. Con questa convinzione, la Uil, ha incessantemente saputo fermentare i parametri e le modalità politiche della propria azione, anche con una velocità travolgente e addirittura anticipatrice degli eventi. Se si percorre la sua storia, le sue azioni, i suoi congressi si vede chiaramente come ha saputo produrre cultura, idee e valori; ha introdotto in progetti politici ed in realtà contrattuale ciò che la società ed il sistema economico andavano maturando. Contenuti questi che, in piena dialettica con le atre organizzazioni sindacali, sono serviti a migliorare il movimento sindacale nel suo insieme.

Sono stati anni di grande impegno e di grande partecipazione, vissuti fra momenti difficili, come quelli del terrorismo, e felici, come quelli delle tante battaglie che hanno reso il nostro paese più civile, coeso e solidale, partecipando attivamente al risanamento economico del paese per l’entrata in Europa a pieno titolo. Abbiamo vissuto momenti unitari ma anche diversità di impostazioni fino alle nuove divisioni anche recenti. In tutte queste fasi la bandiera della Uil ha sempre sventolato con coerenza e serietà. Non abbiamo da rinnegare niente del nostro passato ed abbiamo sempre saputo rappresentare bisogni speranze e necessità dei lavoratori.

La battaglia continua, sta a noi tutti saperla mantenere viva.

Oggi, di fronte alla globalizzazione e alla finanziarizzazione dell’economia, dobbiamo proseguire nel voler cambiare la società dell’egoismo e dell’individualismo, continuare nel sociale, riuscendo a trovare un nuovo legame con i giovani. Con loro si potrà camminare insieme, soprattutto se sapremo far realizzare politiche del lavoro che ridiano certezze nel futuro e senza dividere le nuove generazioni dalle altre. Ripristinare il concetto di mutualità, di solidarietà e coesione e contrastare la logica dello scontro fra interessi diversi anche generazionali, riformando lo stato sociale, ma legando le giuste aspettative dei giovani con le necessarie tutele degli anziani. Dobbiamo, soprattutto, batterci per ricreare una cultura, una passione ed uno spirito nuovo di partecipazione e di protagonismo sociale, nell’economia e nella politica, svolgendo una funzione anche pedagogica di rappresentare le diverse esigenze della società.

Abbiamo ancora un grande futuro, come è stato grande il nostro passato ed il nostro presente.

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