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FEBBRAIO 2009

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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GENNAIO 2009

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SOMMARIO

Il Fatto
Dove va il mondo del lavoro? - di A. Foccillo
Intervista a L. Angeletti Segr. Generale UIL. E’ necessario un grande patto
di coesione tra governo, imprese e lavoratori - di A. Passaro

Intervista
Voto sospeso per i sindacati - La Uil e i Ministri del Lavoro del passato:
Sen. Tiziano Treu - di P. Nenci

Attualità
Il mancato rispetto - di M. P. Mannino

Economia
Tremonti o il bifrontismo della politica economica - di E. Canettieri
Mercato depressione e lavoro - di G. Paletta
Il silenzio degli innocenti - di A. Ponti

Sindacale
Accordo sulla riforma degli assetti contrattuali:
Voci e commenti della Uil - T. Serafini e A. Pugliese
“La Previdenza Complementare: cosa ne pensano i lavoratori?” - di M. Abatecola
I giovani e il sindacato. Dalla precarietà alla partecipazione - di L. Maras
“I lavori britannici ai lavoratori britannici” - di P. P. Maselli
La nuova contrattazione collettiva - di M. Ballistreri
La sicurezza nel lavoro in somministrazione - di C. Prestileo
I lavoratori in somministrazione hanno diritto alla sicurezza - di A.Russo

Società
I cittadini Pensionati sono una risorsa non uno spreco - di S. Miniati
Gli immigrati in Italia: un sistema discriminatorio ed inefficace - di M. F. Scinicariello

Internazionale
La celebrazione dell’anniversario dell’eccidio dei tredici pompieri italiani
della “Compagnia Garibaldi n. 6” di Chorrillos. Intervista a Alberto Sera,
Segr. Gen. UIM - di A.Carpentieri

Agorà
Nuove regole democratiche e di dialogo di pace - di A. C.
Tunisia: una terra tutta da scoprire - di G. Ciarlone
Asili nido: sempre più costosi per gli italiani - di G. Zuccarello

Cultura
Leggere è rileggere - Elemire Zolla: uscite dal mondo - di G. Balella
Comincia il futuro: Google fagocita gli editori del mondo. E’ stato creato
l’editore unico? - di N. A. Rossi
Il dubbio - di S. Orazi

Inserto
Un mondo soffocato dai rifiuti - di P. Nenci
Urge un processo di razionalizzazione - di C. Tarlazzi

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EDITORIALE

Dove va il mondo del lavoro?

Di Antonio Foccillo

Il sindacato mondiale sta avendo a che fare con una delle crisi più gravi che siano mai capitate nel Mondo. Nessuno riesce a dare certezze sulla quantità della dimensione e sulla durata della stessa: si perdono posti di lavoro, interi settori produttivi e molte risorse per tamponare una situazione che, fino a qualche anno fa, si riteneva, invece, in grado di dispensare benessere e sviluppo a tutti ed in particolare ai paesi in via di sviluppo ed emergenti. Proprio in questi giorni è uscito il “Rapporto del Monitoraggio Europeo sull’impiego-occupazione e la situazione sociale” che analizza l’attuale condizione del mercato del lavoro.

In esso si prevede nel 2009 una diminuzione dell’occupazione nell’Unione Europea dell’1,6% e la perdita del posto di lavoro di circa 3,5 milioni di persone, con il conseguente aumento del tasso di disoccupazione di circa il 2,5% nei prossimi due anni. Di fronte a questa situazione sempre più drammatica ci vorrebbe una capacità di analisi, proposta e mobilitazione eccezionale, mettendo a confronto le migliori intelligenze per individuare una strategia in grado di affrontare la crisi.

Sembra, invece, sia a livello mondiale che europeo, che via sia una sorta di delega in bianco, da parte del sindacato, all’economia ed alla politica per individuare le soluzioni. Proprio perché c’è una crisi mondiale con rischi che ancora una volta ricadono sui lavoratori e sui più deboli bisogna che il sindacato a livello mondiale ed europeo alzi il livello di proposta. Sarebbe questa l’occasione per promuovere forum, dibattiti, convegni e cercare tutti insieme di trovare qualche ipotesi per evitare che a pagare siano sempre gli stessi. Tale situazione, infatti, si è determinata per colpa di chi non ne subisce tutte le conseguenze, ed è stata causata dell’arroganza della finanza e da speculatori mossi da una voglia di arricchirsi velocemente e senza sacrifici.

Alla luce delle loro impostazioni il neoliberismo è diventato una nuova religione politica nonostante non abbia portato alcun benessere diffuso, anzi abbia ampliato le disuguaglianze sociali e le sperequazioni tra i paesi ricchi e il Sud del mondo. Le tesi neoliberiste, definite nel 1989 dall’economista John Williamson come Washington consensus, sono diventate i 10 comandamenti della politica economica mondiale ed hanno costituito un pacchetto di riforme “standard” consigliato dalle organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Tutto ciò ha accompagnato il progressivo processo di finanziarizzazione dell’economia. Questo è stato il processo attraverso il quale il capitalismo è diventato selvaggio, cioè ha prodotto denaro senza l’intermediazione dei beni e della merce.

La finanziarizzazione è stata senza dubbio il prodotto della crisi di eccedenza di capitale che per rincorrere alti tassi di remunerazione è andato alla ricerca di sbocchi finanziari più redditizi ma a rischio maggior. La stessa attività d’impresa, abbagliata dai forti ritorni in tempi brevi se non brevissimi, ha puntato sulla finanziarizzazione per questo si è progressivamente passati dall’industrialismo alla finanziarizzazione e questo passaggio cruciale è stato facilitato anche da politiche monetarie che garantivano disponibilità di denaro a basso costo e dall’uso dei mezzi telematici ed elettronici. Nella relazione al convegno della Uil dal titolo “Finanziarizzazione dell’economia e crisi dei mercati: quali ricadute sociali” del 19 Marzo del 2008 scrivevo: “Gli eventi di questi periodi ci hanno costretto a guardare in faccia la vera natura dell’alta finanza, inducendo a dubitare della sicurezza e della trasparenza del mercato finanziario ed a chiedere anche una veloce riforma delle regole”.

Oggi, il recente G7 a Roma ha prodotto una sintesi in cui sono passate le proposte del ministro Tremonti fautore di maggiori regole. Egli ha sostenuto che: “Ci sono aree del mondo dove l’unica regola è non avere regole. L’asimmetria tra un mercato che è diventato globale e regole locali e frammentate. Tanto che in almeno 40 posti nel mondo c’è stata la possibilità di creare regole e contratti fuori della giurisdizione, in una sorta di regno dell’anomia.” Ma nell’attesa di nuove regole e, soprattutto, nel trovare strumenti che ne consentano l’osservanza, bisogna comunque rispondere alle richieste che vengono sia dal mondo delle imprese sia dal mondo del lavoro per far sì che il sistema produttivo non subisca un momento di difficoltà eccezionale. Volendo analizzare quello che sta succedendo in Italia mi sembra che la dimensione reale della crisi oggi sia finalmente di dominio pubblico. Si cominciano a sentire le ricadute sul piano della cassa integrazione, sul piano occupazionale e nella crisi di molte imprese. La stessa produzione industriale è caduta e sono diminuite anche le esportazioni. Anche il tessuto di medie e piccole imprese, che è sempre stato la caratteristica del nostro settore produttivo, comincia, alla luce del mancato finanziamento per carenza di liquidità da parte delle banche, ad avere problemi seri. Anche qui da noi ci vorrebbe la capacità di rispondere in modo ampio, organico e condiviso.

Invece, la politica è in crisi e divisa, la gente è sempre più lasciata sola a risolvere i propri problemi ed ogni cittadino ha le sue priorità che sono diverse da quelle di chi gli sta a fianco. Così la società si frammenta sempre più e manca una rappresentanza credibile, forte ed in grado di essere un punto di riferimento per le persone che sempre di più sono isolate ed in balia degli eventi. Oltretutto il nostro sistema politico e valoriale è in una situazione di degrado che non lascia speranze di ripresa immediata. Fino ad ora l’unica istituzione ancora in grado di parlare con le persone è stato il sindacato, ma anch’esso sta attraversando un momento critico a causa dei rapporti sempre più tesi fra le organizzazioni sindacali, proprio nel momento in cui servirebbero una maggior coesione ed un’ampia unità d’intenti. Una parte del movimento sindacale (la Cgil) si autoproclama unico soggetto referente rispetto al mondo del lavoro pensando così di uscire dalle difficoltà isolandosi e facendo così, al contempo, prevalere, ancora una volta, più le proprie esigenze di coesione interna che cercare con le altre organizzazioni l’unità di strategia di proposta.

Oltretutto nell’ultimo sciopero quello della Funzione pubblica e della Fiom, ciascuno ha potuto sentire delle parole fuori luogo ed offensive nei confronti delle altre due organizzazioni sindacali che lasciano presupporre che non vi sia la volontà di recuperare il rapporto unitario, anzi di lacerarlo ancora di più. In momenti come questi più che da estremisti si dovrebbe parlare da gruppo dirigente con responsabilità e pacatezza per evitare che, andando avanti così, si possa rischiare di alimentare le ragioni di chi vuole marginalizzare il sindacato. In questa situazione bisogna rompere gli indugi e fare qualcosa di maggiormente concreto e ciò può essere fatto solo se si ritrovano le ragioni del dialogo e del confronto e non dello scontro a tutti i costi. Bisogna anche essere in grado di proporre idee utili per rilanciare il nostro sistema produttivo, difendere l’occupazione e alimentare il potere di acquisto delle persone per favorire i consumi. Può sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma non è così.

Le risorse necessarie devono essere trovate all’interno del bilancio dello Stato per favorire la spesa in infrastrutture, nella ricerca e nell’innovazione ed aumentare le pensioni. Atre risorse devono provenire sia dal sistema bancario che fino ad oggi ha accumulato trasferendo i rischi all’esterno e che deve, adesso, garantire il finanziamento delle imprese, sia da quei settori che in questi anni hanno visto aumentare enormemente i propri profitti per creare un nuovo welfare a difesa del posto di lavoro, di chi rischia di perderlo e di chi non lo trova. Infine, si utilizzi il nuovo sistema di contrattazione per fare velocemente i contratti ed incrementare il potere di acquisto delle persone. Tutto ciò, per mobilitare, deve essere dentro una progettualità complessiva e condivisa che metta assieme tutti i soggetti politici, sociali ed economici.

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E’ necessario un grande patto di coesione tra governo, imprese e lavoratori. Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti.

di Antonio Passaro

Angeletti, hai sempre sostenuto che fare previsioni è un esercizio complesso e talvolta inutile. Ma che il 2009 rischi di passare alla storia come l’anno della grande crisi, a questo punto, mi pare sia un dato scontato. Che fare, dunque, per limitare i danni?

Io credo che sia scaduto il tempo dei dibattiti, delle previsioni, delle ricette: servono urgentemente fatti. Penso che sia necessario un grande patto di coesione tra governo, imprese e lavoratori. Dobbiamo fare un accordo su una moratoria dei licenziamenti per tutto il 2009 e sulla creazione di task forces regionali anti-crisi, coordinate a livello nazionale da un Commissario ad hoc. Bisogna usare la stessa logica adottata in occasione delle calamità naturali di cui, in fondo, questa crisi economica ha analoghe caratteristiche di intensità e velocità di propagazione. E accanto alla moratoria va collocato, ovviamente, anche il rinnovo di tutti i contratti a tempo determinato in scadenza. L’avvio di un piano per la realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture è l’altro passo da compiere per chiudere questo cerchio virtuoso e generare l’unica politica anticiclica capace di restituire fiducia alla gente.

La tua proposta effettivamente è l’unica che può aiutare il Paese ad uscire dal tunnel il più rapidamente possibile, con minor danni e persino con una prospettiva di rilancio e di sviluppo. Ma c’è chi obietta che mancherebbero risorse per attuare questo piano. Cosa rispondi a costoro?

Non ho mai sentito dire da nessun esponente del Governo che i soldi non ci sono. Anzi, la principale loro preoccupazione è quella di capire come spenderli al meglio...

Insomma la Stato può e deve intervenire?

Non c’è alternativa: non si può star lì a parlare di risorse, bisogna far fronte alla destrutturazione del sistema produttivo perché se crolla l’economia reale, ma di cos’altro parleremo?

Le priorità sono i lavoratori e le imprese?

E’ così. Bisogna salvaguardare le imprese e i posti di lavoro. Si deve fare in modo che i lavoratori restino legati alle imprese in cui operano, anche se, a causa della crisi, la domanda diminuirà e si lavorerà di meno per alcuni mesi. Nessun licenziamento, dunque, e lo Stato deve finanziare il mantenimento di quel posto di lavoro: cassa integrazione e analoghe forme di sostegno al reddito lì dove la cassa non arriva.

Hai detto che occorre più fegato, più coraggio anche sul fonte del credito. Puoi spiegarci?

Io penso che le banche debbano essere “obbligate” a finanziare l’economia e lo Stato deve garantire che ciò non distruggerà il loro patrimonio. E’ tempo che la finanza sia al servizio dell’economia reale. Se la mano pubblica non trova strumenti per incentivare i banchieri a sostenere l’economia, avremo seri problemi.

Qual è il tuo giudizio sul piano anticrisi e sugli aiuti al settore auto varati all’inizio dal mese di febbraio dal Governo?

Il piano anticrisi offre un’opportunità positiva per la crescita del settore auto. E’ necessario che ora ci sia una risposta altrettanto positiva da parte aziendale alla richiesta di garantire il mantenimento degli stabilimenti e dell’occupazione. Va anche detto che, se i provvedimenti sono utili dal punto di vista del mercato, perché essi abbiano ripercussioni positive anche sul fronte occupazionale, è comunque necessario che gli italiani acquistino, in proporzioni diverse da quelle attuali, le autovetture prodotte dai nostri operai. Oggi, ogni dieci auto vendute, sette vengono dall’estero. Ebbene se si vogliono tutelare i lavoratori italiani, come, ad esempio, quelli di Pomigliano, bisogna comprare le auto che si producono a Pomigliano. Capisco che è un’affermazione dal sapore protezionista, ma non c’è altra strada. Infine, vorrei mettere in guardia dal rischio di sottovalutare la crisi che sta colpendo altri settori strategici della nostra economia e che, talvolta, sono caratterizzati da un tessuto di piccole imprese. Così come resta ancora aperta la questione della ricerca e dell’innovazione: sarebbe bene, ad esempio, che ci fossero incentivi per quelle imprese che investono per la riduzione del consumo di energia.

Tra le varie proposte per affrontare la crisi c’è anche quella formulata dalla Confindustria secondo cui si potrebbe utilizzare, ai fini del sostegno al sistema produttivo, il Tfr inoptato delle aziende con più di 50 dipendenti e depositato presso l’Inps. Cosa ne pensi?

La proposta di Confindustria è condivisibile perché effettivamente può aiutare il sistema produttivo in un momento di grave difficoltà come quello attuale. Sarebbe necessario però un nuovo accordo per modificare il memorandum firmato sul Tfr. Resta comunque prioritario e urgente un punto che ribadisco: la Confindustria deve condividere la nostra proposta di moratoria dei licenziamenti e di conferma dei contratti a termine in scadenza.

Facciamo un passo indietro e torniamo a parlare di riforma del sistema contrattuale. Ci sono state molte polemiche anche sul fronte politico e c’è già stato anche uno sciopero della Fiom e della Fp Cgil. Come rispondi a queste critiche?

Io dico che bisogna smetterla di strumentalizzare le vicende sindacali a fini politici e bisogna parlare di merito. Abbiamo lavorato per più di quattro anni alla ricerca di un’intesa che fosse in grado di aumentare i salari e alla fine l’abbiamo trovata: questa è l’unica cosa che conta. Peraltro, l’accordo per la riforma del sistema contrattuale è stato sottoscritto dalla Uil, dalla Cisl e da tutte le parti datoriali, dagli artigiani sino alle cooperative: tutte realtà che non credo possano considerarsi delle marionette nelle mani del Governo. Un Governo che ha semplicemente sottoscritto l’intesa, neanche con grande entusiasmo.

Tra qualche giorno si dovrebbe approdare alle intese applicative della riforma del sistema contrattuale con le singole parti datoriali, a cominciare da Confindustria. Pensi che possa essere quella un’occasione per il “rientro” della Cgil?

Me lo posso solo augurare. In ogni caso, è ormai chiaro a tutti che l’unità è una cosa importante ma che, non per questo, si può essere posti sistematicamente di fronte all’alternativa tra l’unità o la paralisi.

Un’ultima domanda. Si sta procedendo, in queste settimane, verso una riforma della regolazione degli scioperi nei servizi pubblici essenziali. Qual è la posizione della Uil? Ci sono le condizioni per arrivare ad un avviso comune?

Non vedo ostacoli invalicabili o differenze abissali per arrivare ad un avviso comune, Certo, il clima non è dei migliori… Per quel che riguarda il merito, io penso che bisogna cercare regole nuove che riducano le patologie nel conflitto, soprattutto nei servizi pubblici essenziali dove rischia di rimetterci solo il cittadino. Anzi, in alcuni specifici settori, noi siamo per affermare lo sciopero virtuale, con modalità che abbiamo già espresso in più di una circostanza. Deve essere comunque chiaro che si deve distinguere tra il diritto allo sciopero del singolo lavoratore, intangibile e costituzionalmente garantito, e le prerogative dei sindacati a proclamare gli scioperi che, invece, possono essere regolamentate.

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