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DICEMBRE 2017

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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SOMMARIO

Il Fatto
- Il sindacato deve riproporre la sua cultura della condivisione e della partecipazione - di A. Foccillo
-
Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale UIL. Per far crescere l’occupazione servono investimenti e infrastrutture. - di A. Passaro

Manifestazione Nazionale Uil
- Abbiamo fatto un altro passo avanti nell’ampliamento della breccia aperta un anno fa nellalegge Fornero - di D. Proietti
- Ripercorriamo le tappe per arrivare ai rinnovi - di A. Foccillo
- Una breccia nella legge Fornero. Il nostro impegno continua - di G. Loy
- Siamo in una condizione che mina inevitabilmente le sorti del futuro - di S. Roseto

Sindacale
- I pubblici dipendenti guadagnano di più dei privati? Sfatiamo un mito - di A. Foccillo
- Modelli di sviluppo secondo la logica dell’uguaglianza e della solidarietà - di L. Pulcini
- La manovra di bilancio e i bonus - A cura della UIL Servizio Politche Territoriali ed Economiche
- Per una vera svolta in Campania serve uno choc occupazionale. Intervista a Giovanni Sgambati, Segretario Generale Uil Campania - di M. Palumbo

Economia
- Appello: Superare il Fiscal compact per un nuovo sviluppo europeo

Attualità
- 2017: anno delle battaglie al contrasto contro la violenza - di A. Menelao

Agorà
- L’attualità di Turati Il suo discorso al XVII Congresso del Partito Socialista 96 anni dopo - di A. Fortuna
- Di Vittorio. Una storia di vita - di P. Nenci
- Congedo per le donne vittime di violenza di genere - di S. Tucci

Inserto
- Il dicembre quando nacque questa settantenne Costituzione - di P. Nenci

 

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EDITORIALE

Il sindacato deve riproporre la sua cultura della condivisione e della partecipazione

di Antonio Foccillo

Come ogni anno, arrivati a dicembre, si apre una fase di riflessione su quello che si è fatto e su quello che si dovrà fare. Non c’è dubbio che negli ultimi tempi il Sindacato ha ritrovato il suo ruolo ed ha avviato una serie di confronti con il governo su varie tematiche a partire dalle problematiche sulla Previdenza fino ai contratti del Pubblico Impiego, raggiungendo importanti intese.

Si è passati da una volontà di emarginare il sindacato, più volte espressa e mantenuta dai vari governi che si sono succeduti, a un cambiamento che ha portato alla conclusione di accordi fra governo e sindacati, che sono stati sostanziati nella legge di bilancio di quest’anno.

Certo non basta e bisogna proseguire.

Occorrono programmi diversi più ampi e complessi da discutere insieme; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto; questo è ancora possibile se pensiamo che oggi soprattutto è necessario decidere sulla qualità della nostra democrazia e sul rapporto fra essa e la speranza di lavoro e di impegno delle nuove generazioni. In questo e per questo il sindacato, uno dei pochi strumenti che ancora esistono della democrazia partecipata, della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, può e deve fare molto.

Ma anche a livello politico bisogna ritrovare una volontà di collaborazione e ritornare a fare politica con la P maiuscola, ritrovando gli antichi valori.

Una società fondata sul pragmatismo e sul populismo, una società - come sostiene il Censis - fondata sul rancore, una società divisa e frammentata ha bisogno di ritrovare alcuni valori che la rimettano insieme e che la facciano sperare in un nuovo e migliore domani.

La prossima campagna elettorale con le relative elezioni dovrebbe porsi questi problemi e valutare come se ne possa uscire, altrimenti si rafforzeranno ancora di più l’astensione e la sfiducia verso la politica.

Oggi tutti si dichiarano nuovi e riformisti, ma ognuno demonizza il proprio avversario e si propongono varie soluzioni di parte ed alternative fra di loro, con l’obiettivo di cancellare tutto quello che i precedenti governi hanno fatto.

Credo che tutto questo non possa essere modificato se non si ripropone la cultura laica che oggi si è affievolita con la conseguenza di aver determinato intolleranza e divisione.

Quando dico spirito laico, intendo quella esperienza che ha formato tanti di noi nel sentimento del dubbio e non delle certezze, della difesa della libertà di chiunque di potersi esprimere liberamente anche quando la sua posizione è minoranza, di evitare dogmi e egemonie culturali e politiche, di valutare tutti gli aspetti dei cambiamenti e soprattutto di stimolare la partecipazione di tutti al dibattito ed al confronto.

La cultura laica è quella che ha fatto dello spirito della solidarietà e delle pari opportunità la sua bandiera, nella costruzione di società che rispecchiano valori ed ideali di pluralismo e uguaglianza.

Lo stesso sindacato si deve porre il problema. Si tratta, infatti, di riconoscere come il cambiamento del rapporto sindacato-politica sia tanto importante da non poter più essere valutato con l’ottica del passato, abbandonando quindi anche polemiche che spero siano superate e riconosciute come del tutto inutili.

Il rapporto tra i sindacati confederali e la politica, un rapporto che esiste da sempre e non solo in Italia, ha subito negli ultimi anni una profonda trasformazione.

Cgil, Cisl e Uil, negli anni del proporzionale, si muovevano in un rapporto o di autonomia o di cinghia di trasmissione. Ma credo sia più opportuno andare a vedere quello che è successo un minuto dopo la disintegrazione del sistema dei partiti del cosiddetto arco costituzionale e del sistema proporzionale.

Il bipolarismo del maggioritario ha spaccato in due la società e anche il sindacato, a detta di molti, doveva fare la stessa fine: una parte di qua e l’altra di là. Esattamente quello che non successe dopo la seconda guerra mondiale. Ed, infatti, puntualmente, non è successo neanche questa volta, sebbene il rischio di inseguire il bipolarismo sia esistito ed esista tuttora.

La rappresentanza confederale, per fortuna, non si è divisa in due parti contrapposte. Se il sindacato, infatti, si fosse schierato con uno dei due poli, avrebbe finito con il rischiare di perdere autorevolezza, poiché non sarebbe stato più riconosciuto dagli stessi lavoratori come libero ed indipendente.

Oggi addirittura siamo in una fase tripolare ed il sindacato confederale per mantenere una sua distanza deve invece elaborare una sua autonoma proposta e sulla base di questa condizionare il dibattito politico, costringendo le attuali forze politiche ad inseguirlo su proposte innovative e condivise, idee alternative che, in democrazia, il sindacato può affermare tra i lavoratori ed i cittadini.

Le strategie sulle quali il sindacato confederale deve riflettere sono, prevalentemente, relative alle risposte da dare all’ideologia neoliberista e conservatrice imperante. Dicendo solo no, paradossalmente, si viene accusati di conservatorismo, ed allora sebbene in qualche occasione credo sia legittimo e necessario dire no, in molte altre, invece, è opportuno fare proposte, aggredire il neoliberismo da sinistra, ossia in un’ottica autenticamente riformista, che punta al progresso sulla base di valori e principi storicamente acquisiti nel patrimonio genetico del mondo del lavoro italiano: diritti e solidarietà sociale che si declinano attraverso uno stato sociale rinnovato, più efficiente e rispondente alle esigenze mutate, ma che non abbandona ed esclude nessuno, salvaguardando pari opportunità e libertà per tutti i cittadini.

Il passo indietro dell’umanità è duplice: economico e politico, solo se discutiamo su diritti e valori sociali, poiché altrimenti, se discutiamo solo sui numeri, secondo le leggi del mercato, il passo può apparire in avanti. Se cresce qualche indice, se Wall Street non perde, non significa però che l’umanità vada avanti, infatti, ci sarà sempre una forbice più grande tra chi è ricco e chi è povero, in Italia e nel mondo, tra cittadini e tra continenti, tra chi può usufruire delle nuove tecnologie e del progresso e chi ne è escluso, sempre più.

Sul piano politico la società si sta orientando sempre più verso la virtualità delle discussioni, i partiti politici hanno chiuso le sezioni ed in realtà il sindacato è una delle poche realtà dove ancora si discute veramente, collettivamente. Questo è, storicamente, un punto a favore del sindacato, rispetto al partito politico: senza voler entrare in competizione è però evidente che il sindacato ha conservato strumenti, metodologie e pratiche democratiche che, invece, il partito politico ha smarrito. Ne deriva un sostanziale rafforzamento del sindacato, nei rapporti tra i due soggetti. Per questo il ruolo del sindacato è aumentato e, pertanto, deve contribuire di nuovo a sancire principi e regole dai quali non si deroga se sono riconosciuti come valori fondanti di una comunità ed il sindacato, per la sua natura e per il suo ruolo, deve indicarne alcuni ben precisi, anche alla politica che potrebbe essere concentrata su tutt’altre materie. Il lavoro è, infatti, il processo principale per l’emancipazione dell’uomo, gli consente in età adulta di contribuire al progresso della collettività e quindi deve essere riconosciuto, in base a criteri che il sindacato, in quanto rappresentante degli interessi collettivi dei lavoratori, può e deve valorizzare. Un sindacato consapevole delle proprie forze è in grado di farlo.

Un importante passo, inoltre, deve essere fatto sulla via di una ricomposizione costruttiva del rapporto tra partito politico e sindacato ed è quello del rispetto reciproco. Né “cinghia di trasmissione” né TUC del secolo passato, ma sia chiaro che un rapporto per iniziare bene deve partire dal rispetto reciproco. Recuperando il confronto dialettico, nella completa libertà d’espressione, si può essere in completo disaccordo ma resta un punto fermo, il rispetto dell’interlocutore che rappresenta un diverso punto di vista, sul quale confrontarsi senza dogmi in maniera tollerante.

Questo in effetti è un problema per tutta la nostra realtà: prevale l’urlo rispetto al dialogo ed anche in questo senso, ribadisco, il sindacato può portare il proprio bagaglio d’esperienza che sul dialogo, anche in questi anni difficili, ha costruito tutta la sua storia ed il suo modo di essere.

In definitiva il sindacato – per lo meno la Uil – deve dare alla politica un contributo costruttivo, una proposta di modello alternativo che si richiami ai valori ed ai principi che ho citato e su questa base sarà la politica a dare una risposta.

Bisogna, infine, rilanciare l’idea di una ricostruzione di una forza riformista, che rappresenti non solo la continuità storica con quel patrimonio di uomini e di idee che arricchiscono l’albero genealogico della cultura laica e socialista italiana, ma che sappia anche guardare al futuro con una prospettiva adeguata, consapevole della realtà globale che muta quotidianamente, sotto tutti i punti di vista, creando nuovi problemi, nuove sfide. Una società più articolata invece che frammentata, una società più attenta al lavoro che al profitto, che integra e non esclude, che guarda all’immigrato come ad un lavoratore con gli stessi diritti del lavoratore italiano, che garantisce pari opportunità attraverso la scuola pubblica, la sanità ed i servizi pubblici, una società che coesiste con il mercato, dandogli quelle regole necessarie a garantire la democrazia. Il sindacato è in grado di riproporre queste idee con forza ed autorevolezza, inserendole in una proposta innovativa che non si chiude nella conservazione ma apre al miglioramento della qualità della vita di tutti i cittadini, iniziando dai più deboli. Il merito dei contenuti su cui battersi è molto chiaro. Ciò che è di più difficile individuazione è lo strumento per attuare queste politiche ed il sindacato deve favorirne l’individuazione andando a stimolare, quasi a provocare, la politica, sfidandola sul merito.

Non è un ricatto e neanche un precetto, credo che piuttosto sia un dato di fatto: ad esigenze concrete e supportate da specifiche proposte, devono far seguito atti concreti, altrimenti inevitabilmente e senza per questo dire che sia un bene, la corrente delle idee riformiste andrà a cercarsi la sua strada, la dove viene lasciato spazio aperto.

 

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L'INTERVISTA

Per far crescere l’occupazione servono investimenti e infrastrutture. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Barbagallo, gli ultimi giorni del 2017 coincidono con i 70 anni della Costituzione: il 22 dicembre la nostra Carta fondamentale fu approvata dall’Assemblea, il 27 fu firmata e promulgata e, poi, l’1 gennaio 1948 entrò in vigore. Tu hai deciso di ricordare questo avvenimento con un gesto concreto di solidarietà: cosa ha organizzato la Uil?

Settanta anni fa, i nostri Padri costituenti promulgarono la Carta fondamentale della Repubblica italiana. La basarono sul lavoro, la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà. La Uil nazionale, insieme alla Uil dell’Emilia Romagna, ha voluto rendere omaggio a quell’impegno e dare simbolica concretezza a quei valori, organizzando una giornata di solidarietà, a Bologna, alle Cucine popolari, una vera e propria istituzione al servizio degli ultimi. È stata una concreta iniziativa di vicinanza a coloro ai quali, per diverse ragioni, la vita non ha sorriso. Trascorrere una giornata in quel luogo è stato per noi un onore e un piacere: bisogna farsi carico dei più poveri e mantenere vivi, tutti i giorni, questi sentimenti e questo impegno verso gli ultimi. C’è bisogno di risorse per creare lavoro e far diminuire la povertà nel nostro Paese.

Due giorni prima del Natale, è arrivato un bel regalo: il contratto degli statali! In realtà, non è stato affatto un dono, ma una vera e propria conquista: un altro importante risultato frutto dell’impegno della Uil…

Infatti, era ora che si firmasse un contratto pubblico. Dopo 8 anni di blocco, è stato un atto di grande responsabilità nei confronti di circa 250 mila lavoratori che attendevano il riconoscimento del loro diritto contrattuale e un aumento del loro potere d’acquisto. È stato un contratto in linea con l’accordo che Cgil, Cisl e Uil avevano firmato il 30 novembre dello scorso anno con il Governo. Adesso bisogna proseguire con gli altri comparti.

E tra le conquiste del 2017 vanno senz’altro annoverati anche i risultati ottenuti sul fronte previdenziale grazie al serrato confronto con il Governo. Rispondendo ad alcune critiche, hai rivendicato la bontà della scelta operata dalla Uil. Non c’è stato un accordo, ma grazie alla costante e tenace azione sindacale è stato possibile convincere l’Esecutivo ad accettare molte delle nostre richieste. Il cammino, dunque, prosegue?

Noi non ci siamo mai fermati. Abbiamo seguito tutto l’iter parlamentare di definizione del provvedimento, assicurandoci che il testo fosse scritto in modo da evitare peggioramenti dei contenuti. Ribadisco quanto già detto in più di un’occasione, anche su queste pagine: abbiamo ottenuto un grande risultato “politico”, abbiamo aperto una breccia nella granitica riforma Fornero e introdotto nel sistema il principio della flessibilità dell’uscita dal lavoro, ma il cammino è stato appena intrapreso. La terza fase sulla previdenza, per noi, è già cominciata. L’istituzione di due Commissioni, una per la separazione della previdenza dall’assistenza, l’altra tecnico scientifica e con la partecipazione delle parti sociali, per l’individuazione di tutte le altre mansioni gravose, costituiscono l’assoluta garanzia per la continuità del confronto su questa materia. Noi ci fermeremo solo quando avremo reso il sistema previdenziale non solo sostenibile - come, di fatto, già è - ma anche più equo, equilibrato e giusto, oltreché più rispettoso delle esigenze dei pensionati che, seppur tartassati, continuano a svolgere un’insostituibile funzione di ammortizzatori sociali cosi preziosa per l’economia del nostro Paese.

Cambiamo argomento. Nel mese di dicembre, è stato sottoscritto, presso le sede nazionale della Uil, alla presenza della ministra Fedeli, l’intesa quadro nazionale tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la Uil per un progetto di alternanza etica scuola-lavoro. L’iniziativa è stata organizzata dalla Uil Scuola e dall’Irase, con l’obiettivo di rafforzare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro. Quali sono le ragioni di questo impegno?

Sono molto contento di aver firmato questa intesa: si è trattato di un primo protocollo del genere sottoscritto da un’Organizzazione sindacale. Bisogna offrire strumenti e opportunità ai giovani, diffondendo nella scuola la cultura del lavoro. Dobbiamo essere costruttori della modernità del lavoro e favorire il cambiamento, preparando gli studenti alle nuove professionalità e alle nuove competenze. Il mondo si sta trasformando e, tra qualche anno, molte delle attuali professioni non esisteranno più: la scuola deve capire quali sono le competenze che serviranno in futuro. Oggi, ci sono posti di lavoro vacanti per mancanza di professionalità e competenze: il futuro va costruito sulle basi della robotica, sapendo, però, che nel DNA dei nostri giovani ci sono 4 mila anni di cultura e di capacità che vanno valorizzati. Inoltre, serve anche una nuova cultura fondata sulla lotta alle mafje, alla violenza, al bullismo e sui diritti e doveri del lavoro. Infine, è vero che oggi si possono fare più soldi con le piattaforme digitali che con quelle petrolifere, ma se tutto ciò serve solo a creare una moderna forma di caporalato, allora non può essere questo il nostro futuro.

A cosa ti riferisci?

Negli ultimi tempi, alcuni imprenditori, utilizzando piattaforme digitali, stanno dando vita a forme di intermediazione parassitaria sul lavoro. Non è questa la strada da seguire.

La ricetta per far crescere l’occupazione in modo strutturale non cambia, è sempre la stessa…

Esatto: per far crescere l’occupazione servono infrastrutture, in particolare nel Mezzogiorno e, proprio a tal fine, occorre utilizzare al massimo tutte le risorse europee. Invece, purtroppo, aumentano i lavoretti. La verità è che non si crea occupazione per decreto ma, per l’appunto, con investimenti pubblici e privati in infrastrutture. Inoltre, bisogna fare in modo che il lavoro a termine costi di più, così da favorire il lavoro a tempo indeterminato.

A proposito di investimenti e infrastrutture, di recente, hai partecipato a un convegno organizzato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sul Codice degli appalti. A che punto siamo con l’applicazione di questo provvedimento?

Intanto, vorrei ricordare che noi abbiamo concorso a modificare il codice degli appalti perché era una vergogna internazionale avere gli appalti al massimo ribasso che finivano, poi, tutti al massimo rialzo, con episodi di corruzione che nel nostro Paese ammontano, complessivamente, a 60 miliardi di euro. Perché il provvedimento abbia completa attuazione, però, devono ancora essere realizzate alcune cose come, ad esempio, un decreto per le concessioni autostradali per modificare le percentuali dei lavori in house. Inoltre, è necessario sottoscrivere un protocollo tra Cgil, Cisl, Uil, Anci e Conferenza delle regioni, perché vanno garantiti l’ambiente, il territorio, l’occupazione, il rispetto dei contratti e la legalità. Quando arriveremo alla conclusione di questo percorso saremo più soddisfatti.

Hai più volte ribadito che il 2018 sarà l’anno di una grande vertenza fiscale. Siamo alla fine della legislatura. A marzo si tornerà alle urne e si dovrà affrontare questa nuova sfida con un nuovo Governo…

Qualunque segno avranno il prossimo Parlamento e il prossimo Esecutivo, per noi l’obiettivo resta sempre lo stesso: bisognerà ridurre il peso delle tasse sul lavoro e sulle pensioni. In Europa, siamo tra i paesi con il costo del lavoro più alto e con i salari più bassi, mentre la tassazione sulle pensioni è pari al doppio di quella europea. Così non si può continuare.

Il 2018 sarà l’anno del XVII Congresso della Uil: sono state varate anche le tesi. Inizia il percorso congressuale: su quali basi e con quali prospettive?

La stagione congressuale è l’espressione più alta di democrazia e partecipazione che un’associazione come la nostra, il cui valore e il cui ruolo sono sanciti da una norma costituzionale, è in grado di garantire a tutti i suoi iscritti. Questa fase, dunque, non ha solo una sua enorme rilevanza interna, ma rappresenta anche l’occasione per affermare la centralità della funzione di un Sindacato nelle dinamiche sociali ed economiche del nostro Paese. Il successivo impegno quotidiano di ogni singolo militante darà, ovviamente, continuità e sostanza a questo specifico momento, la cui dimensione istituzionale ha un senso proprio in ragione dell’azione concreta che viene realizzata a difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani.

Alla vigilia di questo importante Congresso, qual è lo stato di salute della nostra Organizzazione?

Il mondo del lavoro, in questi ultimi anni, ha continuato a fare i conti con le conseguenze di una crisi, che sembra aver allentato la sua morsa, ma che resta ancora troppo lontana dalla sua strutturale soluzione. I riverberi di questa condizione anche sugli assetti organizzativi dei singoli Sindacati non hanno tardato a manifestarsi. Si è assistito, così, a una prevedibile riduzione delle adesioni al movimento sindacale nel suo insieme. Ma a differenza di quel che si può immaginare, questo calo non ha coinvolto tutti le parti in campo. In un recente report del Censis, mentre si registra una perdita di iscritti per Cgil e Cisl, viene specificato che questo calo non ha riguardato la Uil che, anzi, oltre ad essere il Sindacato con il migliore rapporto iscritti attivi-pensionati, è anche l’unico in crescita. Questo risultato è tanto più entusiasmante se si pensa, per l’appunto, al complicato contesto sociale ed economico in cui è maturato. È evidente che il lavoro svolto in questi ultimi anni, dalla nostra Organizzazione, a tutti i suoi livelli, dai singoli delegati sino alle strutture nazionali, ha prodotto i suoi frutti. La nostra Uil, insomma, gode di ottima salute.

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