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DICEMBRE 2015

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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SOMMARIO

Il Fatto
- Il sindacalismo confederale oggi - di A. Foccillo
- Renzi è troppo ossessionato dai gufi: pensi a governare e, semmai, ascolti i pareri di chi vive la realtà del lavoro - Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale UIL - di Antonio Passaro

Sindacale
- La ripresa è donna - di T. Bocchi
- Bisogna tornare a diffondere la cultura della previdenza complementare nella piccola e piccolissima impresa, nei giovani e nelle donne - di D. Proietti
- Sindacalismo ed Associazionismo per tutelare valori e diritti: rappresentiamo la parte sana e viva della società - di S. Ostrica
- Rinnovato il contratto del cemento. Per l’edilizia avviata la discussione sulla piattaforma che verrà presentata a gennaio - di V. Panzarella
- Rinnovo del Ccnl Autoferrotranvieri - di C. Tarlazzi
- Lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi - della UILFPL, UILPA, UILRUA, UILSCUOLA
- Oggi più che mai è di fondamentale importanza dare corso al “Patto per la Calabria” - di S. Biondo

Agorà
- Lo slogan retorico (ed inutile) delle espulsioni facili - di G. Casucci
- Un avvenimento storico del 1981 - di P. N.

Approfondimento
- Questi fantasmi: il TTIP - di P. Scozzi

La Recensione
- La passione politica e i doveri familiari – di P. Nenci

Inserto
- Il mondo invitato all’appuntamento giubilare - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Il sindacalismo confederale oggi

di Antonio Foccillo

Alla fine di ogni anno si fa il punto su quello che è successo e su quello che si dovrebbe fare. Anche quest’anno è bene farlo.

Dopo qualche anno in cui i sindacati confederali marciavano ben divisi tra loro, questa crisi ha fatto rivedere sulle piazze italiane le tre bandiere insieme con i segretari generali sullo stesso palco ed hanno condiviso unitariamente le nuove regole della rappresentanza e rappresentatività e stanno elaborando una proposta per un nuovo modello di contrattazione. Al di là del dibattito sull’unità sindacale o sul modello di sindacato, sulla sua rappresentanza e rappresentatività, voglio concentrare la mia attenzione su che cosa può e deve fare oggi il sindacalismo confederale italiano, di fronte agli eventi socioeconomici che hanno travolto il sistema politico nazionale e stanno travolgendo l’Europa.

Penso che Uil, Cgil e Cisl abbiano un vissuto comune e che se riescono a limare le differenze che esistono, possano consentire al sindacato italiano di portare nella difficile partita che si sta giocando per recuperare i diritti dei lavoratori e del lavoro nel contesto sociale nazionale ed internazionale. Portarle in maniera seria e rispettando quei valori che sono alla base della storia del sindacalismo italiano, valori di democrazia e libertà, solidarietà e tolleranza.

Il sindacalismo deve essere in grado, su scala europea, di far sentire la voce del mondo del lavoro. In questi anni il diritto del lavoro è stato retrocesso indiscutibilmente, un modello sociale così moderno ed all’avanguardia come quello dello stato sociale è stato messo in discussione e demolito sotto i colpi di una crisi nata e sviluppatasi in un modello sociale arcaico e irregolare come quello neoliberista. è certo che si deve capovolgere l’impostazione dominante, impostazione ideologica e intollerante di chi vuole imporre un modello sociale per pochi, dove il mondo del lavoro assume un ruolo subordinato anche dal punto di vista politico, poiché la partita vera, in quel modello, non si gioca sul piano della democrazia ma su quello dell’economia e in particolare di una economia distorta perché senza regole e dominata dalla finanza.

Per avere nuove regole, per avere politiche di investimenti finalizzati alla crescita e allo sviluppo sono indispensabili allora nuovi modelli sociali, che se non possono essere recuperati integralmente dal passato anche recente, devono comunque individuare anche nel mondo del lavoro uno dei soggetti importanti, che hanno voce in capitolo e possono contribuire alla costruzione dell’edificio sociale più adeguato ai nostri giorni.

Il sindacato italiano ha proprio questa priorità: portare avanti, in Italia ma anche all’interno del sindacato europeo e internazionale, una posizione chiara a difesa dei diritti dei lavoratori, anche e soprattutto intesi come cittadini (e non a caso proprio noi della Uil individuammo prima degli altri queste problematiche che ormai sono di dominio pubblico).

Il mondo del lavoro va tutelato e difeso sia perché il lavoro sta perdendo troppi punti nella partita con il capitale, sia perché il lavoratore anche quando esce dal luogo di lavoro conta sempre meno e non si riconosce più quella dignità e quel ruolo di protagonista nella società che invece, in una logica democratica, gli deve essere riconosciuto e garantito.

Per riaffermare questi principi, a costo di essere ripetitivi, si deve ricercare un nuovo modello sociale, infatti, con il modello che ci stiamo dando, con il pareggio di bilancio in Costituzione e la finanza della deregulation a dettare i ritmi del mercato mondiale, al lavoratore non sarà riconosciuta e garantita nulla di più di una, al massimo, dignitosa esistenza ai margini però delle scelte politiche.

Con questo modello sociale in cui vale solo il rigore nella spesa pubblica, anche se poi la crisi la determina la finanza mondiale, le manovre economiche saranno sempre e solo lacrime e sangue per i soliti noti, vale a dire lavoratori e pensionati. Non ci sono alternative perché questo modello sociale prevede questo tipo di politica economica funzionale al gruppo di potere dominante. Il sindacato dei lavoratori deve assumere questo compito, andare a giocare la partita per i lavoratori, in modo democratico e trasparente, ma soprattutto consapevole del fatto che se non si ricerca questo cambiamento e dunque non si è disposti a giocare una dura lotta contro il sistema capitalista attualmente al potere nel mondo, allora sarà impossibile modificare realmente la sostanza delle cose e ottenere nulla di più che parzialissimi risultati.

La politica, italiana e non solo, non riesce a individuare oggi risposte moderne e alternative e allora credo sia possibile che il sindacato, come forza organizzata del mondo del lavoro, entri sulla scena sociale con maggiore determinazione e autonomia, ma ripeto su scala almeno europea, senza lasciare la protesta agli estremisti e ai populisti e senza accettare passivamente la minaccia della delocalizzazione da un lato e del default sociale dall’altro, rimettendo il lavoratore come tale al centro dell’attenzione e per prima cosa ridando valore al ruolo culturale del lavoratore nella società attuale.

Il sindacato italiano deve invece ridiventare soggetto politico e rivendicare quindi la costruzione di un edificio sociale solido e forte, dove ci sia spazio per tutti e rispetto delle regole e dei diritti in particolare dei più deboli che ora, invece, sono quelli che stanno finanziando la sopravvivenza dei più forti. E’, dunque, necessario un grande impegno culturale volto a ridare dignità al mondo del lavoro e a ripristinare una politica democratica dove gli antichi valori possano essere riletti da ciascuno secondo la propria ottica, con dialogo e tolleranza.

Fino ad ora, su sviluppo e risanamento c’è stato tanto dire e poco fare. Ogni intervento economico non deve dimenticare di mettere al centro la persona con i suoi bisogni e la sua dignità, come la nostra civiltà ci insegna. La mia opinione è che il nostro modello di civiltà è soprattutto quello dell’Europa occidentale, che ha sempre cercato di tenere insieme la parte più forte con la più debole del Paese, attraverso interventi diretti dello Stato, come in passato, o attraverso il welfare è ancora valido. Una caratteristica che dobbiamo mantenere: la persona con i suoi bisogni e la sua dignità devono essere al centro di ogni iniziativa. Non amo la società dei pochi, ma quella dei tutti: dove ci sono diversità economiche, sociali e culturali. Una società è forte quando è coesa e solidale, creando un mutuo soccorso che può essere attuato con il fisco, la redistribuzione della ricchezza e la salvaguardia di tutele garantite dalla Costituzione e anche dai diritti dell’uomo.

Le misure degli ultimi governi fin qui sono state finalizzate essenzialmente al risanamento, con sacrifici però disuguali: la maggior parte è toccata a pensionandi e lavoratori. E stiamo ancora aspettando che si vada a incidere sull’evasione, il vero cancro del Paese, come ha testimoniato il Presidente della Repubblica Mattarella nel suo intervento di fine d’anno.

In Italia, in questi ultimi anni è aumentata la cassa integrazione, e molto significativamente questo incide sul piano occupazionale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Piuttosto che incidere su aspetti sociali, è comunque meglio tagliare aspetti burocratici per velocizzare la possibilità di garantire investimenti.

Come si esce da questa fase? Si esce con più Europa, purché l’Europa adegui le sue strutture, attraverso tre cambiamenti: l’avvio di un processo di maggior politicizzazione che porti ad un governo eletto da cittadini; una banca centrale che non controlli solo l’inflazione, ma emetta anche moneta, e diventi quindi una banca sovrana in grado di compensare gli squilibri; una modifica dei trattati, che tolga dalla tagliola del rapporto deficit-Pil gli investimenti che possano rilanciare lo sviluppo. Abbiamo ceduto sovranità all’Europa, ma questa non ha una sovranità compiuta.

Purtroppo non sarà quindi facile, né tantomeno rapido, quel processo di generale recupero globale dell’intera economia se si continueranno a proporre soluzioni temporanee, incerte e non vincolanti per combattere la speculazione che avviene sui mercati non regolati. È necessario coinvolgere, anche a livello internazionale, l’intero contesto economico, finanziario e produttivo, iniziando dal continente europeo. Così come bisognerebbe anche, e soprattutto, individuare politiche rivolte allo sviluppo che ridiano prospettive ai settori produttivi e di conseguenza all’occupazione e all’aumento del potere di acquisto per lavoratori e pensionati. Quindi politiche non solo rivolte alla riduzione del debito e al controllo dell’inflazione, ma che essenzialmente, anche attraverso la leva fiscale, aiutino la ripresa dell’intera economia.

A mio giudizio il sindacato può essere la guida per nuovo movimento dei lavoratori che combatta le politiche recessive, ispirato alle idee riformiste e laiche che possono e devono essere riattualizzate, molto ma molto più semplicemente di tante altre idee che invece ci vogliono dogmaticamente imporre.

Separatore

Renzi è troppo ossessionato dai gufi: pensi a governare e, semmai, ascolti i pareri di chi vive la realtà del lavoro. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, chiudiamo l’ultimo numero di Lavoro Italiano del 2015 con un riferimento al tradizionale discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Qual è il tuo giudizio sull’intervento di Mattarella?

Quello di Mattarella è stato un discorso da statista, da garante della Costituzione e di sano realismo. Lo abbiamo condiviso totalmente: le sue preoccupazioni e le sue sollecitazioni sono le nostre. Abbiamo apprezzato, in particolare, il richiamo ai valori del lavoro e ai persistenti problemi della disoccupazione giovanile, femminile e nel Sud, espresso proprio in apertura del suo intervento, a sottolineare la centralità e gravità dell’argomento e in linea con le priorità fissate nella nostra Carta fondamentale. Ci ha trovato pienamente concordi, inoltre, l’immediato successivo riferimento all’evasione fiscale quale ostacolo alle prospettive di crescita.

...Anche la seconda parte dell’intervento ha suscitato il tuo plauso...

Certo, sono da condividere anche le altre questioni affrontate, a partire dalla necessità di ridurre le diseguaglianze, di affermare la legalità, di salvaguardare l’ambiente, di rispondere con intelligente umanità e maggiore efficacia al fenomeno dell’immigrazione, di attribuire un adeguato riconoscimento al ruolo delle donne nella società. Il Presidente della Repubblica ha espresso il comune sentire del popolo italiano e ha dato voce ai timori e alle richieste che vengono dai lavoratori, dai pensionati e dai giovani. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. L’auspicio è che il Governo e le forze politiche, al di là della formale condivisione prontamente manifestata, vogliano tradurre questi richiami in decisioni concrete.

Negli ultimi giorni di dicembre, si è svolto al Ministero delle politiche agricole un incontro sulle attività di contrasto al caporalato. Cosa bisogna fare per combattere questa piaga?

C’è bisogno di intensificare i controlli perché ci sono molte aziende che ancora non si sono iscritte alla rete della legalità. Noi proponiamo di premiare chi si iscrive, con la concessione del marchio etico e con sgravi fiscali e contributivi. Bisogna, poi, concentrare i controlli sulle aziende che assumono comportamenti illegali. Inoltre, è necessario mettere in rete anche il sistema locale, perché dal centro è difficile verificare quel che accade, ad esempio, in Puglia o in Sicilia, nella stagione della raccolta dei pomodori.

Il Governo ha messo in campo un provvedimento. Cosa ne pensi?

C’è la tentazione di trasformare questo provvedimento in un’altra modifica al mercato del lavoro: non va bene perché l’obiettivo è un altro, quello di sconfiggere l’illegalità. Da questo punto di vista, è importante aver esteso il codice antimafia nel disegno di legge in questione. Vorremmo, ora, che si giungesse rapidamente alla conclusione dell’iter, perché bisogna evitare altre morti causate dal fenomeno del caporalato. Peraltro, c’è chi propone l’estensione dei voucher: noi siamo totalmente contrari. Ci sono ancora alcune forme contrattuali “opinabili”: occorrono limiti applicativi.

Cambiamo argomento e parliamo di contrattazione e contratti: gennaio potrebbe riservarci sorprese?

Entro la metà di gennaio, faremo gli Esecutivi unitari per varare il nuovo modello contrattuale e da lì partiremo per il confronto con le controparti: l’appuntamento ormai è prossimo. In occasione degli Esecutivi potremmo anche discutere di iniziative da approntare per sollecitare il rinnovo dei contratti non ancora rinnovati. Avevamo detto che il 2015 avrebbe dovuto essere l’anno dei contratti. Abbiamo ottenuto buoni risultati per alcune importanti categorie, ma occorre proseguire sulla strada dei rinnovi negli altri settori: nell’agroalimentare, nel metalmeccanico, nella grande distribuzione e nel pubblico impiego, tanto per citare quelli che sono alla ribalta della cronaca da molto tempo. Noi chiediamo di restituire potere d’acquisto ai lavoratori, altrimenti non ripartono i consumi né l’economia né l’occupazione. Su quest’ultimo aspetto abbiamo toccato il fondo: il Governatore della BCE ha detto che stiamo peggio della Grecia. In particolare, il Governo ha fallito proprio sul fronte dell’occupazione giovanile.

Il Jobs Act, dunque, non è stato in grado di dare risposte adeguate?

Dopo un anno di applicazione del Jobs Act i giovani non hanno ancora lavoro e non hanno diritti. Si è determinato semplicemente un “riciclaggio” dei posti di lavoro: il risultato auspicato non c’è stato. C’è il rischio che i giovani, oggi, vengano pagati con i voucher e poi, domani, abbiano una pensione da fame: proprio dall’Inps fanno sapere che saranno più basse del 25% rispetto a quelle dei loro genitori e che andranno anche in pensione più tardi. Peraltro, mentre la disoccupazione giovanile è a livelli altissimi, i nostri giovani ricercatori continuano a emigrare all’estero. Un ricercatore costa 800mila euro alla collettività e, poi, però, quando va bene, lo regaliamo ad altri Paesi europei. Non solo: non c’è raccordo tra scuola, università, imprese e Paese. Abbiamo bisogno, ad esempio, di 100.000 periti, ma gli iscritti agli Istituti tecnici sono solo 3.900. Bisogna indirizzare meglio gli studenti verso il lavoro. E non si pensi che possano bastare 500 euro ai diciottenni per risolvere i loro problemi occupazionali. Serve un patto con gli imprenditori per fare lavorare i giovani. Serve un migliore rapporto tra scuola e mondo del lavoro.

Insomma, il tuo giudizio su questo 2015 mi sembra piuttosto critico....

La crisi è ancora in atto e i timidi segnali di ripresa sono dovuti, soprattutto, a congiunture internazionali o alle decisioni della BCE. Vediamo se il Governo riesce a trasformare in fatti concreti la contrarietà espressa sulla politica di austerità europea. E per far ciò occorrono investimenti pubblici e privati. Bisogna, inoltre, attuare la semplificazione e fare innovazione tecnologica, piuttosto che vendere i gioielli di famiglia. Noi siamo pronti a fare la nostra parte per agevolare insediamenti produttivi e creare così nuova occupazione: siamo disponibili a fare accordi, a tempo determinato, di flessibilità in entrata su salario, orario e condizioni di lavoro.

Dai giovani ai pensionati: un altro argomento delicato, sempre all’attenzione della Uil e, lo scorso 17 dicembre, al centro delle tre grandi manifestazioni di Cgil, Cisl, Uil a Torino, Firenze e Bari. Puoi ribadire la nostra posizione?

Abbiamo chiesto, unitariamente, al Governo di introdurre il criterio della flessibilità verso il pensionamento perché non tutti i lavori sono tra loro uguali e, dunque, non si può pretendere che tutti i lavoratori vadano in pensione alla stessa età. Come è noto, noi proponiamo un range di uscita tra i 63 e i 70 anni. Peraltro, la flessibilità sarebbe importante sia per consentire di sbloccare il turn over e facilitare così l’accesso di nuove leve nel mondo del lavoro sia per introdurre, in contemporanea, l’altro criterio e cioè quello della stabilità per i giovani. Per troppo tempo, abbiamo affidato i cosiddetti lavori socialmente utili ai ragazzi: è una logica sbagliata che va completamente invertita. Bisogna attribuire questi impegni proprio agli anziani che, una volta usciti dai processi produttivi, lasciando il loro posto ai più giovani, possono continuare ad essere attivi svolgendo piccoli lavori a beneficio della collettività. Insomma noi riteniamo che sia necessaria una trasformazione radicale del sistema e dei rapporti intergenerazionali. Una riforma che avesse questo segno sarebbe giusta ed anche economicamente efficace: esattamente l’opposto di quanto accaduto con la legge Fornero che ha solo fatto cassa a danno dei lavoratori e dei pensionati, che ha generato l’aberrazione degli esodati e che, perciò, deve essere profondamente modificata.

Nel 2015 la Uil e la Uil Pensionati, proprio per la corretta rivalutazione delle pensioni, hanno avviato delle cause pilota alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Come sta procedendo questa iniziativa?

Riteniamo che questa nostra azione possa avere buon esito, perché il Governo non ha dato compiuta attuazione a una sentenza della Consulta in materia. Bisogna che se ne facciano una ragione: ai pensionati va restituito il maltolto.

Un’ultima domanda, Segretario, a proposito dei rapporti con il Governo. Nella consueta conferenza stampa di fine anno, per illustrare gli obiettivi conseguiti, il Premier Renzi ha utilizzato delle slides con il richiamo a un gufetto. Che ne pensi?

Renzi è troppo ossessionato dai gufi: pensi a governare e, semmai, ascolti i pareri di chi vive la realtà del lavoro. Noi facciamo il tifo per il nostro Paese e per questo non siamo contro chi governa, se governa bene: ma, purtroppo, al di là della propaganda, non è stato sempre così. Ci sono degli obiettivi che bisogna raggiungere, insieme, per vincere una sfida che è la stessa per tutti. Se il Governo ha intenzione di andare in questa direzione e di far cambiare politica economica all’Europa, il Sindacato è pronto a dare una mano e a fare la propria parte.

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