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DICEMBRE 2007 

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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NOVEMBRE 2007

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SOMMARIO

Editoriale

Un modello di società più giusto e più equo è ancora possibile - di A. Foccillo
Il nostro obiettivo è la crescita del Paese e per fare ciò è necessario un aumento dei salari reali! Intervista a Luigi Angeletti - di A. Passaro

Sindacale

Il contributo di Fon.Coop allo sviluppo della Formazione continua nel Centro Sud - di P. Carcassi
Rappresentanza e rappresentatività femminile - di N. Nisi
Previdenza Complementare, un percorso da completare - di D. Proietti
La flessibilità del lavoro nel passato, nel presente ed in prospettiva – di M. Ricciardi
“Globalizzazione e mercato del lavoro” – di M. D’Orta
E’ solo cronaca: ma è un po’ anche Storia - di C. Benevento
Un contratto significativo per sostenere il lavoro del personale scolastico e migliorare la funzionalità dei servizi - di M. Di Menna

Economia

Le Cartolarizzazioni come si finanzia il settore dei prestiti - di L. Santini
La MiFID sulle macerie dei subprimes - di G. Paletta
Derivati e deriva della finanza locale: una pura formalità.- di A. Ponti

Società

Può l’Europa trarre profitto dalle migrazioni? - di G. Casucci

Internazionale

L’evoluzione dei negoziati per gli accordi tra Unione Europea e le organizzazioni regionali latino americane - di A. Carpentieri
Firma degli accordi fra progetto sud e il governo di Bahia

Agorà

Tanto paga pantalone! – di G. Salvarani
L’arte di comunicare la politica - di M. A. Lerario
“Ci sei punto tivù” - di S. Maggio

Cultura

Across the universe: Gli anni Sessanta raccontati dai Beatles – di S.Orazi
Leggere  è  rileggere: Guido Piovene - di G. Balella

Flash

Strage sul lavoro a Torino

Inserto

Il pianeta Ricerca - a cura di I. Ippoliti e P. Nenci
Intervista al seg. Gen. Uilpa Ur A. Civica

Separatore

EDITORIALE

Un modello di società più giusto e più equo è ancora possibile

Di Antonio Foccillo

Ancora una volta l’opinione pubblica è sconvolta da fatti di violenza che coinvolgono giovani. Ancora una volta si torna a parlare di crisi dei valori. Episodi diversi, crimini privati e crimini collettivi, sono comunque testimoni di una nuova ondata di tensione che sale nella società. Diversi osservatori lanciano allarmi (non ultimi tre presidi di tre Licei romani che denunciano il clima di tensione e di esasperazione che si sta vivendo nelle scuole) e si genera una sensazione di insicurezza pericolosa per i risvolti che può determinare. Proviamo ad analizzare alcuni aspetti di questi episodi di violenza. Non è possibile, ritengo, tracciare un quadro esaustivo su tutti i più recenti fatti di cronaca. È possibile, invece, affermare che tra i giovani italiani si diffonde da tempo una tendenza verso posizioni conflittuali con esasperazioni antidemocratiche, quando si attaccano le istituzioni con vere e propri atti di guerriglia.

Non si parla della maggioranza dei giovani, ma si parla comunque di settori ampli e dalla ben definita visibilità. Costoro sono, del resto, alla ricerca costante della visibilità e spesso, attraverso lo strumento calcistico, la ottengono a buon mercato. Le forze dell’ordine, da tempo, hanno studiato il fenomeno del tifo ultras ed hanno chiarito che migliaia di giovani sono spesso strumentalizzati da esponenti dell’estremismo, in più casi dei veri e propri leader eversivi. Il fatto che estremisti cerchino di reclutare giovani è normale. Il fatto che però lascia perplessi è che riescano a farlo abbastanza agevolmente. Come è stato possibile che la generazione che voleva cambiare il mondo, che voleva la fine della guerra del Vietnam e la pace nel mondo, abbia partorito la generazione degli ultras e del cinismo?

Ecco che torna il discorso sulla crisi dei valori. Proviamo a vedere da dove viene questa crisi. La nostra società credeva di aver raggiunto il suo scopo: essere la società perfetta, la democrazia occidentale che rispetta le libertà e sconfigge storicamente il dispotismo orientale, incarnato dall’ex Urss. A quel punto l’Europa, non solo l’Italia, è stata oggetto di una ventata di riforme economiche. Ormai lo spauracchio rosso non c’era più. Ormai la storia era finita e la globalizzazione avanzava. Ormai i lavoratori dovevano cominciare a cedere, pian piano, tutte quelle conquiste che non erano più compatibili nel nuovo scenario internazionale. Flessibilità! Efficienza! Privatizzazioni! Che c’entrano? C’entrano eccome. I nostri giovani sono stati investiti da una quantità di messaggi che li mettevano costantemente in competizione tra loro, peraltro senza dotarli dei reali strumenti per poter al limite effettivamente competere ad armi pari. Mi riferisco a strumenti culturali. Si è verificato un insieme tragico di circostanze e volontà anche diverse tra loro, che però alla fine hanno prodotto l’unico risultato possibile: il tradimento di una generazione. I nostri giovani, lo ripeto, per fortuna non tutti, sono stati portati a fare i conti con un sistema ultracompetitivo, selettivo, che non da certezze e che crea sfiducia e rassegnazione. Le immagini proposte dalla pubblicità e dai mass media in generale danno l’illusione di una vita senza problemi e piena di ricchezza e felicità, mentre poi la realtà è molto più dura e allora, non essendo preparati non resta loro che trovare rifugio in altri valori più distruttivi. È triste doverlo dire, ma autorevoli pensatori queste le cose le hanno affermate mentre e forse anche un momento prima che si verificassero in forma evidente. Le critiche alla società capitalista sono state lette, infatti, come arcaici residui di marxismo da cancellare. In realtà dei principi sono da salvare, anzi da recuperare proprio nell’ottica di una nuova società, che senza scivolare nel passato che non ci appartiene (e non ci interessa) sappia, però disegnare una possibile alternativa che attragga innanzitutto i giovani. Come vogliamo, altrimenti, distoglierli da questa alienante realtà che vivono? Non è il caso di articolare eccessivamente le critiche alla società dei consumi e alle inevitabili conseguenze sociali che comporta, poiché tutti le abbiamo lette. Il problema è che tutti le abbiamo lette e, poi, abbiamo fatto finta di nulla. Ci siamo cioè lasciati cullare dall’illusione della libertà, di poter scegliere tutto, quando non possiamo più scegliere niente. Il neoliberismo è riuscito nella sua missione. Ha fatto sì che l’economia di mercato sostituisse la politica nelle decisioni collettive, riducendo quasi al minimo (per non dire annullando) i livelli di partecipazione democratica dei cittadini. Su tutti i livelli abbiamo assistito a questo processo. È questa la globalizzazione e il mondo del lavoro risulta essere la parte più debole della società. Il capitale è tornato ad essere l’unico valore, il lavoro, anzi il lavoratore, deve competere. Con chi? Con l’altro lavoratore, e quale lavoratore può competere meglio se non con quello senza diritti a poco professionalizzato che a volte è anche l’immigrato? Ecco allora che sfruttando il potenziale umano dei paesi in via di sviluppo è favorita una crescente immigrazione clandestina. Due sono gli obiettivi di questa politica della migrazione clandestina: addomesticare il mercato del lavoro e, contemporaneamente, favorire l’introduzione di politiche neoautoritarie che mettono in discussione tutti i livelli di garanzie conquistate negli anni. La realtà dei fatti ci dice che, effettivamente, molti cittadini stranieri sono protagonisti di efferati delitti. Ciò spinge una consistente parte di cittadini italiani, spesso i più giovani, verso posizioni estremiste e razziste, magari anche perchè messi fuori gioco dalla competizione sul mercato del lavoro per opera di altri cittadini stranieri, venuti qua a lavorare onestamente, ma sotto costo, sfruttati da cittadini italiani che puntano alla competitività e non possono perdere tempo con i diritti del lavoro. I nostri giovani hanno studiato in scuole dove prima si è voluto far passare l’idea che lo studio fosse qualcosa di non faticoso (chi non ricorda il 6 politico), poi sono stati messi in competizione e hanno ascoltato una nuova parola: meritocrazia. Sul merito il discorso è complesso. Chi non è a favore di premiare il meritevole? Nessuno, lo dice anche la Costituzione. Il problema è che il merito deriva dalla possibilità di costruirsi un proprio bagaglio culturale e per far sì che tutti se lo possano costruire sono necessarie le famose pari opportunità. Quanto sono lontani i tempi della riforma della scuola media, dove furono unificati l’avviamento e la scuola media, proprio per dare pari opportunità a tutti e non continuare a dividere in due ceti la società. Era una società che diventava inclusiva in quanto non permetteva più che il figlio dell’operaio fosse destinato automaticamente all’avviamento professionale ed il figlio del manager o dell’impiegato fosse indirizzato alla scuola umanistica. Oggi invece si propongono addirittura tagli alla scuola pubblica! Proprio per far diminuire le pari opportunità e premiare il merito di pochi, ben selezionati giovani, lasciando gli altri per strada, emarginati poiché non meritevoli e poiché non essendo immigrati non possono neanche competere per occupare l’ultima fascia del mondo del lavoro, quella che secondo alcuni non esiste più. Invece esiste ancora e continua a produrre tanta ricchezza, accumulata sempre da chi invoca la flessibilità e l’efficienza, che poi significano – nella loro testa – assenza di diritti del lavoro. (Basta leggere l’ultimo libro di Gallino “Il lavoro non è una merce- contro la flessibilità”, per rendersene conto. Egli, infatti “si pone contro l’onda montante del pensiero unico che spinge verso la flessibilizzazione del lavoro, ma denunciando anche i costi oggi individuali e domani sociali, di una precarizzazione cosi diffusa... che può determinare una società disarticolata esposta anche sul versante della tenuta delle istituzioni democratiche…” 1). A questi giovani lasciati per strada, senza una sufficiente costruzione culturale e senza una possibile alternativa di società, si rivolgono gli estremisti. Lo fanno nelle curve degli stadi, ma non solo. Sfruttano la guerra tra poveri e gli episodi di cronaca nera. Armano così un potenziale esercito antidemocratico che ripete slogan ben noti, senza conoscere neanche i fatti cui si riferiscono. La crisi dei valori, dunque, appare funzionale allo sviluppo di un modello di società, quello neoliberista, che non ha bisogno di cittadini dallo spirito critico, ma di cittadini illusi. Illusi di essere liberi e meritevoli, anche quando non lo sono, che individuano il nemico sempre in chi è il suo competitore. Cosa fare per provare a cambiare le cose? Non si deve assolutamente accettare la logica neoliberista come la verità assoluta, anche perché non esiste mai una verità assoluta, ma solo relativa. Oggi la politica neoliberista è alla base di tutto. Se i giovani invece di lottare per una nuova società, più giusta e democratica, sono involuti come abbiamo visto è perché, in gran parte, non vedono la possibilità di cambiarla la società. E non è colpa dei giovani. È colpa di chi non sa pensare ad un modello di società differente ed accetta supinamente questo modello, anche quando non appartiene alla propria cultura. Mi riferisco ovviamente anche a larga parte della sinistra, non solo italiana. È la sinistra che ha accettato i principi del neoliberismo che è una vera e propria ideologia, di destra. Far finta che non sia così vuol dire continuare ad illudersi e ad illudere anche i giovani. Ma poi non ci si può meravigliare della crisi dei valori. Il mercato, se lasciato libero, determina sempre vincitori e sconfitti. E vince sempre il più forte, mentre perde il più debole.

Il sindacato deve continuare a contrastare questa logica, anzi deve rilanciare un modello di società differente: inclusiva e non esclusiva, solidale fra le generazioni e fra i diversi soggetti, che premi il merito, ma dopo aver dato a tutti pari opportunità, dove si salvaguardino i diritti e le tutele dove il valore lavoro ritorni ad essere il vero valore della Repubblica o almeno alla pari all’importanza del valore capitale. I lavoratori devono diventare sempre più consapevoli di questa realtà, anche perché la politica continua a giocare sulle illusioni e non affronta il discorso sul modello di società. È una sfida ambiziosa, ma è anche l’unica possibilità per disegnarsi un futuro di sviluppo e di crescita anche democratica e non scivolare nell’arroccamento, a difesa di qualcosa che di giorno in giorno viene meno, per ridare spazio alla militanza e soprattutto attraverso la partecipazione democratica riappropriarsi del loro futuro e di quello dei loro figli.

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Note:

1. Massimo Riva “Sulla flessibilità si gioca la democrazia” su La Repubblica del 20 novembre 2007

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Il nostro obiettivo è la crescita del Paese e per fare ciò è necessario un aumento dei salari reali! Intervista al segretario generale della UIL, Luigi Angeletti

di Antonio Passaro

Angeletti, lo scorso 24 Novembre a Milano si è tenuta l’assemblea dei delegati e dei quadri di Cgil, Cisl e Uil riuniti per il varo di una piattaforma sui salari con la quale avviare il confronto con il Governo. Un commento.

Con la manifestazione dello scorso 24 Novembre abbiamo voluto dare un segnale forte e tangibile da parte del mondo che rappresentiamo. Ormai sono chiare le difficoltà in cui versa il nostro Paese. L’Italia soffre di bassa produttività e bassi salari. Non si crea più ricchezza né la si distribuisce: esattamente il contrario di ciò che avviene nel mondo, ormai da alcuni anni a questa parte. I lavoratori chiedono un fisco più equo e la chiusura dei contratti ancora aperti da mesi e anni. Sono stati fatti molti scioperi e ci sono ancora poche settimane, quelle che restano nel 2007, per chiudere i contratti. Se questo non accadrà, a gennaio, saremo costretti a proclamare uno sciopero generale.

A questo proposito, nei giorni scorsi, al termine di una segreteria unitaria, Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato un ultimatum a Governo e imprese. Quali sono le rivendicazioni alla base della protesta?

Oggi c’è un dato indiscutibile: i redditi dei lavoratori che noi rappresentiamo si sono notevolmente ridotti. E la ragione di ciò è chiara: non si rinnovano i contratti, i prezzi e le tariffe aumentano senza controllo, il fisco si accanisce contro il lavoro dipendente. Noi vogliamo risolvere tutti e tre questi problemi. Per il prossimo 15 gennaio, Cgil, Cisl e Uil hanno convocato gli Esecutivi. Valuteremo se, su questi argomenti, ci saranno state risposte significative. In caso contrario, lo sciopero generale sarà inevitabile.

Sul fronte fiscale, però, sembra muoversi qualcosa. La soluzione prospettata potrebbe essere quella di destinare l’extragettito alla riduzione delle tasse. Sarebbe una risposta adeguata?

Al momento siamo ancora nell’ambito delle promesse. Le previsioni economiche dicono che nel 2008 le cose andranno meno bene di quest’anno. E se non c’è un’adeguata ripartizione del reddito, avremo ancora scarsa crescita. Se si aggiunge il contemporaneo aumento dei prezzi e delle tariffe la situazione rischia di essere drammatica.

Hai sempre sostenuto che il sistema fiscale va ripensato, e che il nostro Paese ha bisogno di una vera riforma, che sia efficace e che determini una redistribuzione della ricchezza. Come mai non si riesce ad ottenere questo risultato?

Per ottenere una redistribuzione della ricchezza facendo leva sul fisco, non si può agire sull’ Irpef perché il meccanismo su cui è basata questa imposta non è un misuratore dell’effettiva ricchezza delle persone e, pertanto, non è rappresentativo della realtà. Stando alle dichiarazione dei redditi, la media dei lavoratori guadagnerebbe meno della media degli imprenditori e i gioiellieri sarebbero più poveri delle maestre delle elementari. Quel sistema, dunque, non può diventare punto di riferimento delle analisi e delle scelte per la redistribuzione della ricchezza del Paese.

La questione fiscale, dunque, resta ancora del tutto aperta?

Per noi, ciò che conta è che si riducano le tasse sul lavoro. Abbiamo individuato una soluzione che sembra la più efficace, la più rapida nella sua applicazione e, per i guardiani delle sostenibilità finanziarie, anche la più razionale in termini di costi. Noi pensiamo che si debbano detassare gli incrementi contrattuali, a partire da quelli derivanti dalla contrattazione nazionale. Pertanto, in attesa di una riforma del sistema fiscale equo ed efficace, vogliamo che siano “contrattate” le tasse anche per i lavoratori dipendenti e che, per i prossimi aumenti contrattuali, l’aliquota da applicare sia pari allo zero o, tutt’al più, solo simbolica. Questa sarebbe una misura dall’efficacia immediata e non particolarmente onerosa.

La quantità di evasione fiscale è impressionante e gli sforzi recenti hanno recuperato ancora troppo poco rispetto all’enorme massa evasa che, secondo alcuni studi sfiorerebbe i 100 miliardi di euro. Qual è la tua opinione in merito?

Purtroppo, per sconfiggere l’evasione fiscale o quanto meno per ridurla ad una sua dimensione fisiologicamente accettabile, compatibile con il quadro europeo, occorre realizzare scelte politiche a forte rischio di impopolarità. Piuttosto che accettare questa sfida, gli uomini politici che si sono succeduti nel corso degli anni, hanno preferito fare buon viso a cattivo gioco, non investendo né impegnandosi su questo terreno, come sarebbe stato invece necessario per stanare chi dell’evasione ha fatto una pratica costante a danno della collettività. La verità è che gli evasori sono in tanti e sono nascosti tra le pieghe dei veri poveri, e cioè i lavoratori dipendenti e i pensionati. Questi ultimi sono soggetti facili da intercettare e da cui è fin troppo facile ottenere fino all’ultimo euro di tassa. Ecco perché bisogna mettere in campo elementi di novità che costringano lo Stato esattore a rivolgersi agli evasori “abituali”. L’equilibrio finanziario dello Stato non può più essere sopportato solo da lavoratori dipendenti e pensionati. Oggi, il reddito nazionale disponibile è appannaggio dei lavoratori dipendenti per il 50%; ma questa categoria contribuisce per il 70% a sostenere fiscalmente lo Stato. Così non può più funzionare. Ecco perché insistiamo sulla riduzione delle tasse per il lavoro dipendente.

Finalmente anche Confindustria ha riconosciuto che i salari dei lavoratori italiani sono tra i più bassi d’Europa, e che è giusto che si riducano le tasse a partire dal lavoro dipendente e dagli aumenti contrattuali…

Ora tutti si accorgono che i salari dei lavoratori italiani sono i più bassi. Uomini di governo, vertici della finanza pubblica e dell’impresa, sembra che tutti, finalmente, abbiano individuato la principale ragione delle sofferenze di un’economia asfittica. Sembra che tutti abbiano acquisito la consapevolezza che milioni di lavoratori dipendenti e pensionati non arrivano alla quarta settimana e molti altri neanche alla terza. Cgil, Cisl e Uil sanno perfettamente che per valorizzare il lavoro dipendente, per far crescere i salari, ci sono solo due strade da percorrere: quella che conduce ad una nuova politica contrattuale e quella che porta ad un rinnovamento della politica fiscale. Il nostro obiettivo è la crescita del Paese, e per fare ciò è necessario un aumento dei salari reali. Peccato però che chi – imprese e Governo – dovrebbe attivarsi per dare soluzione a questi problemi, fino ad oggi si sia limitato solo a denunciarli. Bisogna che siano rinnovati subito i contratti ancora aperti sia nel pubblico che nel privato. Questo è il punto. Altrimenti di cosa parliamo?

Come commenti il voto favorevole della Camera sul pacchetto Welfare?

Credo che il Parlamento abbia fatto solo il proprio dovere. Ora la parola spetta al Senato. Se il pacchetto sul Welfare non fosse approvato sarebbe davvero grave.

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