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APRILE 2017

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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SOMMARIO

Il Fatto
- Corsi e ricorsi storici. La Storia si ripete - di A. Foccillo
Intervista a Carmelo Barbagallo Segretario Generale UIL. Occorrono stabilità e certezze, provvedimenti strutturali, investimenti. - di A. Passaro

Sindacale
- Piattaforma CES sul futuro dell’Europa (approvata alla riunione del Comitato esecutivo del 26-27 ottobre 2016)
- Organizziamo insieme il nostro futuro - di M. Librandi
- Lavoro, un futuro in sicurezza da costruire con passione - di V. Panzarella
- Lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadinanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud - di S. Biondo
- Una Capitale in balia di se stessa - di A. Civica

Approfondimento
- Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali: va ripensato? - di A. Fortuna

Attualità
- La mancanza di un apparato sanzionatorio nel pubblico impiego in caso di reiterato utilizzo di più rapporti di lavoro a tempo determinato - di M. De Sena

Agorà
- Donne e previdenza. Proposte per superare le disparità di genere - di F. Baiocchi
- Disparità di genere e non nel pubblico impiego - di L. Trotta
- Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua: perché acqua è vita - di A. Ceglia
- In difesa dei lavoratori. Contro i loro sfruttatori - di P. Nenci
- La gestione dei rifiuti tra ambiente e mercato - di M. Novelli

Inserto
- Lottare per una società che promuova tutti - di P. Nenci

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EDITORIALE

Corsi e ricorsi storici. La Storia si ripete

di Antonio Foccillo

Perchè si affannano tutti a sostenere che il sindacato è in crisi? Troppo gratuite sono le voci che si levano a decretare la povertà, il declino del movimento sindacale e della sua qualità rappresentativa e, poi, sono le stesse che, in questi anni, sono state fautrici di un neo liberismo che ha deregolarizzato l’intero sistema socio-economico. Ma sono le stesse che in questi anni, con una sorta di recrudescenza ostracistica, hanno investito partiti, istituzioni e anche personaggi singoli.

Si tratta di un qualunquismo esasperato, che si cela dietro grida iconoclastiche e allarmistiche, del quale sono espressione alcune autorevoli figure che hanno padronanza dei mezzi d’informazione e della politica del Paese. Vi è questa riviscenza distorta della pratica dell’ostracismo, un’ autocompiacenza nel sentirsi tutori di una pretesa morale pubblica che da altri sarebbe stata dimenticata. Per cui ecco l’abuso falsamente ingenuo di importanti canali di pensiero della società, attraverso i quali si offre una generalizzazione di tutto e di tutti e di conseguenza si crea sfiducia in tutti e in tutto.

Noi crediamo che sia fondamentale, proprio per sviluppare il contenuto di democrazia della società, che la critica, il confronto e quindi la conoscenza vengano affrancati da quegli accenti così massimalistici e manichei che ci ricordano lontane epoche di inquisizione, dove chi esercitava il dominio della conoscenza, ben poco giudicava giudicandosi, ma piuttosto perpetrava un’intolleranza che aveva le vesti della soppressione del vero.

Queste denunce che si paludano di un laicismo ideologico, questa esasperazione dello sfascio, determinano una tale sfiducia nei confronti del sistema politico e sindacale che spesso porta il cittadino a convincersi di poter esautorare le istituzioni, attraverso una propria giustizia privata e a difendersi da solo.

Nei confronti del sindacato, infatti, ogni giorno, con regolarità impressionante, qualche commentatore dei fatti economici e del lavoro, sui mass-media, non fa altro che parlare, con compiacenza, della presunta fine del sindacato confederale.

Un’ultima vicenda, cioè l’esito del referendum dei lavoratori di Alitalia, ha provocato un diluvio di analisi e commenti rivolti a sentenziare che ormai il sindacato non rappresenta più i lavoratori e la prova sarebbe proprio il ricorso al referendum. Il bello che sono gli stessi che avrebbero sostenuto la fine del sindacato anche se non si fosse verificata la volontà dei lavoratori, sostenendo che, non avendo fatto il referendum, si fosse avuto paura del giudizio dei lavoratori.

In ordine di tempo, Luigi Covatta, su il Mattino del 30.4.2017, in un articolo dal titolo: “Il lavoro non muore, ma il sindacato si”, ebbene fa una lunga analisi sul lavoro che cambia, anche condivisibile, e conclude: “in Italia i sintomi della crisi finale (del sindacato n.d.a.) sono conclamati” ma per uscirne la ricetta che propone è molto banale e cioè: “in passato l’autorità del sindacato si è fondata sulla sua capacità di leggere correttamente l’evoluzìone del contesto economico-sociale: condizione indispensabile per andare oltre il coorporativismo e rappresentare il mondo del lavoro”. Totò diceva: “ma mi faccia il piacere”.

Tanto è! Prima di analizzare il perchè di tante critiche, vorrei ricordare una precedente esperienza degli anni 80, che testimonia la ripetitività delle analisi e dei giudizi di parte.

“Et voilà, signori si parte, nuovo giro nuova corsa, la giostra ricomincia, la giostra va su, la giostra va giù”.

è bastato il voto contrario dei lavoratori aeroportuali per ricominciare la classica tiritera sul sindacato in crisi che non rappresenta più i lavoratori.

Dove sono andati a finire i commenti positivi dopo la massiccia presenza dei lavoratori alle iniziative del sindacato? Suvvia signori un po’ di coerenza, un po’ più di obiettività nel giudicare il sindacato.

Anche nei giudizi vi è una dilatazione fra chi ha l’esigenza di interpretare a modo suo la società e, soprattutto, vendere copie in più di giornali, e chi valutando la “querelle” dal punto di vista del diritto afferma (Scognamiglio, diritto del lavoro alla Sapienza) che il contratto non debba essere ratificato dalla base ma che ciò è un semplice vezzo del sindacato, in quanto la rappresentanza dei lavoratori, il sindacato ce l’ha sempre e non è tenuto a dimostrarlo ogni volta...

Scriveva Tiziano Treu sul Giorno “inviterei alla cautela nel trarre conclusioni affrettate e generali su una crisi irreversibile del sindacalismo confederale, tanto più che per la vittoria dei no al referendum degli aeroportuali è stato decisivo il voto di Fiumicino, area tradizionalmente affetta da fenomeni di degrado manageriale e sindacale particolarmente accentuati e fortunatamente non comuni”.

Infatti, in questo settore l’intesa contrattuale è stata respinta per diversi motivi: dall’incapacità delle strutture intermedie del sindacato e dei suoi dirigenti, a quel livello, a saper governare e rappresentare i lavoratori, a chi in queste occasioni vuole contrapporsi al sindacato, tanto da considerare la vittoria dei no, una sconfitta di Uil, Cgil, Cisl, a chi ancora vuole dirottare l’interesse della gente e delle forze politiche verso particolari resistenze a danno di proposte unificanti come quelle su fisco, sulla sanità e sui trasporti.

Certamente vi son ancora problemi nei rapporti con i lavoratori da parte del sindacato, occorre ripensare il modo di fare sindacato sopratutto nelle politiche dei trasporti, della scuola e della sanità, non è più sufficiente la politica di ieri; occorrono maggiore democrazia e regole che valgono per tutti; una più ampia consultazione ed un più esteso collegamento con gli altri lavoratori che rappresentano l’utenza dei servizi pubblici.

Ma questo non può far dire, come scriveva la Mafai su la Repubblica, “che il sindacato oggi è meno credibile perchè ha sbagliato la sua politica da San Valentino ad oggi, perchè la battaglia sulla concertazione, sulla politica dei redditi, sulla riduzione dell’inflazione è fallita”....

Non discutiamo la legittimità di un’opinione, come quella espressa dalla Mafai, ma ci sembra che nel suo articolo ci sia troppa enfatizzazione del fenomeno Cobas e delle sue rivendicazioni, sottacendo che alcuni degli assunti che considera “nuovi” elementi del dibattito sindacale (riconoscimento del merito e della professionalità, nuove regole di democrazia interna al sindacato) sono anche tematiche introdotte da un sindacato, quale la Uil, che da sempre ha fatto una battaglia prima di tutto per il rinnovamento del modo di fare sindacato.

Cari signori va riletta – e nel vostro caso va anche riscritta – la storia sindacale di questi ultimi anni con maggiore obiettività e chiarezza.

Per il caso particolare di Fiumicino vanno allora previste delle verifiche, per definire nuovi ambiti di trattativa, ma questo non può significare nuovi disagi, né continuare a dividere i lavoratori fra chi ha condiviso la chiusura del contratto e chi la ritiene ancora aperta.

In generale sul sindacato e sul suo futuro va fatta un’analisi al proprio interno, molto più ampia, per dargli soprattutto una strategia unitaria, che dopo gli anni della concertazione non ha più avuto. Vanno, inoltre, approfonditi i criteri per formare gruppi dirigenti, puntando di più sulla professionalità; vanno trovati nuovi modelli organizzativi, ma soprattutto vanno privilegiati i caratteri di una solidarietà vera che da sempre è l’essenza del mondo del lavoro...

Pensate era l’editoriale dal titolo: “La Giostra” per la rivista Polis della Uil Lombardia del maggio 1988.

Quanta analogia con oggi, con le analisi e con le attuali critiche, ma anche con la situazione dei lavoratori del comparto aereoportuale.

Bisognerebbe analizzare con più attenzione le situazioni e non fare solo una critica impietosa senza valutarne con obiettività le cause della crisi.

Il sindacato in questi anni di crisi economica ed occupazionale, oltre che produttiva, in questi anni di grandissima austerity è stato l’unico soggetto che ha dovuto, purtroppo, in difesa, mantenere il rapporto con i lavoratori cercando di limitare i danni.

La inconsistenza della politica che ha influito sui governi e sulle scelte economiche, tutte regressive e penalizzanti per i lavoratori e i cittadini, che non hanno certo dato una mano a risolvere le questioni sociali e con discutibili interventi, in qualche caso addirittura con decisioni simili ad un colpo di stato, hanno sostituito la politica, rimasta con tecnici e governi eletti con persone dell’establisment economico. Intellettuali che si sono caratterizzati per essere in un assordante silenzio.

Economisti che vantavano la globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia e la politica di austerity come le uniche panacee per rilanciare l’economia. E allora si sono determinate condizioni di crisi profonda: destabilizzazione del lavoro a tempo determinato, licenziamenti e interventi economici assurdi, come l’inserimento del fiscal compact nella Costituzione, oppure i tagli allo stato sociale che hanno allargato di più la povertà in Italia.

Dove erano questi commentatori pronti a vedere la pagliuzza del sindacato e non vedere la loro trave di un tacere o assecondare ricette deleterie e dirompenti? Allora addosso al sindacato. Ma a chi giova? Chi ne usufruirà del declino sindacale? Non certo i lavoratori.

Separatore

Occorrono stabilità e certezze, provvedimenti strutturali, investimenti. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Barbagallo, aprile è stato il mese di Alitalia. La vicenda ha riempito le pagine dei quotidiani italiani e persino europei, oltre a occupare gli spazi dei telegiornali e delle trasmissioni di approfondimento economico e politico. I fatti, dunque, sono noti a tutti, ma ripercorriamo, sinteticamente, quello che è accaduto nella notte tra il 13 e il 14 aprile.

Voglio innanzitutto ribadire che quella notte, alla presenza dei ministri Calenda, Del Rio e Poletti, non è stato firmato alcun accordo, ma solo un verbale di confronto da tutte le sigle sindacali e dall’Alitalia per il piano di riorganizzazione aziendale. Noi abbiamo espressamente chiesto di subordinare l’efficacia dell’intesa all’esito positivo del referendum che, nei giorni successivi, avrebbe coinvolto tutti i lavoratori della compagnia di trasporto aereo. È stata una trattativa lunghissima e complessa, condotta sotto la scure pendente del default e di termini ultimativi incombenti. Nonostante le eccezionali difficoltà e le pressioni di ogni tipo, siamo comunque riusciti a ridimensionare le iniziali pesantissime richieste avanzate dai vertici del Gruppo. Siamo riusciti a ottenere la riduzione dei molti sacrifici occupazionali ed economici chiesti ai lavoratori, anche se il peso da sopportare restava ancora significativo. Ecco perché abbiamo deciso che fossero i lavoratori, con un referendum, a dire l’ultima parola. Non è stato un confronto facile, non si è trattato di un’ordinaria contrattazione: era in ballo il destino e il futuro di migliaia di famiglie. Noi abbiamo fatto e ottenuto il massimo possibile in quel momento dato e in quelle condizioni, ma non potevamo imporre il risultato raggiunto: serviva anche un pronunciamento dei lavoratori.

E il pronunciamento è stato negativo: i lavoratori, in larga maggioranza, non hanno accolto quel verbale...

Sì, lo avevamo messo nel conto. La Uil si è assunta una responsabilità, ma in omaggio alle regole democratiche aveva deciso che a decidere fossero i lavoratori i quali, evidentemente, non hanno creduto all’ennesimo progetto di ristrutturazione proposto da Alitalia. Bisogna vedere, ora, se si può cambiare il piano industriale per salvaguardare il lavoro e il futuro di 20mila famiglie. Cercheremo di capire, anche insieme al Governo, se si possono percorrere altre strade. L’Italia non può permettersi di perdere l’Alitalia.

Eppure hanno cercato di scaricare le responsabilità sul Sindacato e sui lavoratori...

Esatto: questo è uno dei casi in cui le imprese fanno i danni, le imprese fanno sprechi e cattiva gestione, e poi il conto vorrebbero farlo pagare ai lavoratori e le colpe addossarle al Sindacato. Le vere responsabilità sono state eclissate da polemiche pretestuose persino su un presunto eccesso di democrazia da parte nostra. È inaccettabile. Le colpe sono del passato management che è stato incapace e arrogante. Quello che ci è stato presentato da Alitalia è il terzo piano industriale che fallisce nel giro degli ultimi anni e poi, ripeto, si scaricano sui lavoratori e sul Sindacato le responsabilità dell’impresa, come se a gestirla fossimo stati noi.

In più di un’occasione hai evidenziato le contraddizioni e le disfunzioni che hanno messo al tappeto Alitalia. Vuoi ricordare questi aspetti?

Abbiamo potuto riscontrare che ci sono stati sovraccosti per 750 milioni, mentre lo scorso anno il deficit di Alitalia è stato di 450 milioni: teoricamente, poteva esserci un attivo. Il problema non è il costo del lavoro che, proprio con gli accordi degli ultimi anni, è stato ridotto sino ad arrivare a incidere solo per il 17,3% e a risultare, così, più basso della media di quello dei competitor europei. In realtà, rispetto ad altre compagnie comparabili, si pagano di più il carburante, il leasing, la biglietteria e altro. Questa azienda, poi, ha dovuto subire un accordo capestro che, di fatto, ha permesso a Klm, Air France e Delta di decidere sulle rotte intercontinentali di Alitalia. Non solo, si dice che non sono possibili gli ‘aiuti di Stato’. E gli aiuti regionali per altre compagnie non sono forse la stessa cosa? Qualcuno, insomma, mi deve spiegare perché non si sono accertate le responsabilità di questi ultimi anni. Per me la partita non è chiusa. Noi speriamo di riaprire la discussione sul piano industriale, a partire proprio dalla riduzione dei sovraccosti e dall’eliminazione degli sprechi, altrimenti questa Compagnia, a pezzi o tutta intera, rischia comunque di essere svenduta con enormi costi sociali.

Il Segretario del PD, Matteo Renzi, si appresta a lanciare una proposta per salvare Alitalia...

...e io rilancio: lo ripeto, sono disponibile a discutere per rimettere in sesto una società che dà lavoro, direttamente o indirettamente, a 20mila famiglie.

Intanto, notizia proprio di questi minuti, il Governo ha nominato i commissari deputati a risanare l’Alitalia. Qual è il tuo primo giudizio, a caldo?

Vogliamo dare fiducia a questi commissari. Ognuno cerchi di fare la propria parte: l’Alitalia va salvata. Bisogna trovare una soluzione definitiva ai problemi e occorre fare di tutto per renderla possibile.

Cambiamo argomento. Siamo già nei primissimi giorni di maggio e si è appena celebrata a Portella delle Ginestre la Festa dei lavoratori. C’è stata un’enorme partecipazione. È così?

È vero, il piazzale era colmo di lavoratori, pensionati, giovani, famiglie: davvero una bella giornata. Tuttavia, purtroppo, non c’è molto da festeggiare. Io non parlerei di Festa del Lavoro, ma di una giornata di impegno e mobilitazione. Portella della Ginestra è un luogo simbolo. Fu lì che, settanta anni fa, si consumò una strage di lavoratori, contadini e persino bambini. Tutte vittime innocenti di una banda di mafiosi, ma anche di un disegno politico ed economico di contrapposizione al valore del lavoro, al progresso, alla libertà e alla giustizia sociale. In situazioni e condizioni del tutto diverse, oggi, si continua a morire a causa del lavoro: sono ancora troppi gli infortuni e gli incidenti in cui tanti hanno perso la loro vita. E, purtroppo, si può morire anche per mancanza di lavoro. L’occupazione giovanile continua a ristagnare, ovunque, con punte drammatiche proprio nel nostro Mezzogiorno. E poi parliamo di futuro, ma senza lavoro per i giovani non c’è alcun futuro. Non vogliamo più bonus che oggi ci sono e domani spariscono. Ci vogliono stabilità e certezze e, inoltre, provvedimenti strutturali e politiche di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, ovunque, ma soprattutto nel nostro Sud. Il Paese riparte se riparte il Mezzogiorno.

Anche il Presidente della Repubblica, nell’ambito delle celebrazioni per il Primo Maggio svoltesi a Roma, ha voluto ricordare Portella della Ginestra e l’impegno di Cgil, Cisl, Uil, ribadendo la centralità del lavoro. Cosa pensi di queste dichiarazioni?

A Mattarella va il nostro sentito ringraziamento per la sua costante attenzione e sensibilità al mondo del lavoro e per aver riportato questo tema alla ribalta del dibattito politico. Il valore del lavoro come fattore di dignità, di crescita e di coesione rappresenta davvero l’architrave su cui è fondata la nostra Costituzione e, dunque, il nostro Paese. Il richiamo del Presidente della Repubblica alla centralità e alla priorità del lavoro deve rappresentare, perciò, un invito, a ciascuno per la propria parte, a un impegno per fare crescere l’occupazione e i salari. Ecco perché, a nostro avviso, servono, da un lato, investimenti strutturali e, dall’altro, politiche contrattuali e fiscali adeguate al raggiungimento di quegli obiettivi.

Intanto l’economia continua il suo andamento lento. L’Istat ha certificato il permanere di un’alta percentuale di poveri nel nostro Paese. Qual è il tuo giudizio?

Sono gli effetti collaterali delle politiche economiche messe in atto dai Governi succedutisi nel corso degli anni. Bisogna superare le politiche di austerità, altrimenti prima si determinano le condizioni che causano l’aumento dei poveri e poi si è costretti a trovare le risorse per contrastare la povertà. Si deve ripartire dagli investimenti pubblici e privati e occorre accrescere il potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati: ecco perché serve anche una riforma fiscale strutturale.

A questo proposito qual è il segnale che giunge dalla manovra economica?

Occorreva più coraggio: speriamo che ci sia nella Legge di bilancio. Basta austerità: lo dicono tutti, ma nessuno dà seguito a questa affermazione. Lo ribadisco: a noi interessa una riduzione strutturale del cuneo fiscale su lavoro e impresa. Certo, di positivo c’è stato lo stanziamento delle risorse per il rinnovo contrattuale del personale del pubblico impiego, anche se permangono e vanno sciolte alcune ambiguità. Ci sono, insomma alcuni interventi positivi, ma manca ancora il coraggio di invertire le dinamiche economiche e sociali. In audizione alla Commissione competente del Senato, abbiamo fatto le nostre proposte e le abbiamo argomentate: abbiamo suscitato attenzione. L´auspicio è che le scelte del legislatore siano conseguenti.

Un’ultima domanda. Il 25 aprile hai parlato dal palco di Piazza del Duomo a Milano, in occasione della Festa della Liberazione. Qual è stato, in estrema sintesi, il tuo messaggio?

Tra Costituzione e Liberazione c’e un nesso inscindibile. Libertà, giustizia sociale, solidarietà, pace e progresso rappresentano l’eredità consegnata a tutti noi. Ecco perché, pur dicendo di no agli odi, non possiamo e non vogliamo dimenticare. Quei valori e quegli ideali sono patrimonio dell’umanità e ancora oggi abbiamo il dovere di difenderli per tramandarli ai nostri figli e ai nostri nipoti. Il 25 aprile, dunque, non abbia solo un valore storico, fondamentale e irrinunciabile, ma diventi anche impegno attuale per liberarci dalle catene del bisogno e per affermare i valori dell’accoglienza e della pace.

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