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APRILE 2015

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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MARZO 2015

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SOMMARIO

Il Fatto
Sovranità popolare, diritti e riforme Istituzionali - di A. Foccillo

Intervista a Carmelo Barbagallo Segretario generale UIL
1° Maggio: un richiamo concreto ai valori di solidarietà universale e all’unità dei lavoratori per rivendicare migliori condizioni salariali e più tutele. - di A. Passaro

Sindacale
La storia dell’Ital può essere rappresentata da una linea di crescita costante, in tutti i settori di attività e in tutti i Paese in cui opera. Intervista al Presidente dell’Ital, Gilberto De Santis - di A. Passaro
Valorizzare il ruolo sociale ed economico delle persone anziane - di R. Bellissima
La riforma della scuola - di M. Di Menna
Elezioni RSU, la UIL FPL cresce di oltre 2,5 punti percentuali - di G. Torluccio
RSU 2015 - forte successo delle liste UIL RUA negli Enti di Ricerca, negli Atenei, nelle Accademie e Conservatori dell’Afam - di S. Ostrica
Dal successo delle elezioni RSU nuova linfa vitale, il consenso dei lavoratori legittima un’azione forte e determinata contro la politica del “non senso” - di N. Turco
Elezioni RSU 2015: in aumento i consensi. In forte crescita la Uil Scuola - di Pino Turi
RSU: è ancora il sindacato confederale lo strumento scelto dai lavoratori per la loro tutela, nonostante la crisi e i numerosi tentativi di delegittimazione - di R. Campo
Elezioni RSU nel pubblico impiego in Piemonte: la UIL avanza e rafforza i propri primati - di G. Cortese
Costruire il futuro della Calabria su solide basi - di S. Biondo
Dimensine partecipate - di G. C. Serafini

Economia
L’economia nelle relazioni congressuali dei Segretari generali: Viglianesi – Montecatini 29 febbraio 4 marzo 1964 - di P. Saija

XVI Congresso Uil
I commenti di alcuni delegati stranieri: Rachid Malaoui; Hassine Abassi; Begoña del Castillo

La Recensione
Una piccola grande storia - di P. Nenci

Il Ricordo
Ciao Marco

Cultura
Il sale della terra, di Wim Wenders - di S. Orazi

Inserto 1
Tutte le genti, che passeranno ti diranno che bel fior - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Sovranità popolare, diritti e riforme Istituzionali

di Antonio Foccillo

Si è aperto, da tempo, nel dibattito politico una riflessione sul come cambiare la legge elettorale e le istituzioni, modificando anche la Costituzione vigente. La riflessione, in particolare, riguardava la proposta del governo, il c.d. “Italicum”, oggetto di giudizi diversificati fra chi la demonizzava e chi chiedeva, in termini dogmatici, che doveva essere approvata così com’è, attraverso il voto segreto. Nella storia della Repubblica l’approvazione di una riforma elettorale a voto segreto è avvenuta solo in due casi, uno dei quali fu all’epoca della legge truffa e l’altro ai tempi di Mussolini. Dato che sono tematiche che riguardano tutti, anche io ho voluto soffermarmi sulla vicenda, senza nessuna presunzione e senza nessun pregiudizio ideologico. Quello che mi preme sottolineare è come questi disegni si rapportano al fondamento costituzionale della sovranità popolare. Oggi al termine sovranità corrisponde una quantità di interpretazioni e tante sfumature che giuristi, filosofi e politici, nel corso del tempo, le hanno dato senza definirne in modo certo il concetto.

La Costituzione (1) italiana recita “La sovranità appartiene al popolo” che può scegliere i suoi delegati all’amministrazione dello Stato. In sostanza solo i cittadini hanno il diritto di scegliere chi sarà delegato a rappresentarli. Questo diritto è stato carpito ai cittadini già con le precedenti riforme elettorali, l’ultima della quale è stata giudicata anticostituzionale dalla Corte Costituzionale.

L’Italicum fonda un sistema elettorale di cooptati, e rende impossibile sostanzialmente l’esercizio del potere sovrano del popolo non solo nell’effettuare una scelta, ma anche nel cambiarla qualora non soddisfi le aspettative. Secondo tale proposta quindi il popolo non deve avere alcun potere di controllo, il che sancisce la sua sostanziale perdita di sovranità, che consiste nella possibilità di scegliere, controllare e cambiare la rappresentanza politica.

Un vulnus alla sovranità popolare, negli ultimi anni, è stato già inferto all’Italia, con il Governo tecnico di Monti soprattutto perché si è ceduto ad una scelta imposta dai cosiddetti mercati, tuttavia, in quel frangente, la sovranità è rimasta in mano al Parlamento, che in primis ha accordato la fiducia a quel governo restando comunque libero di approvare o meno le leggi proposte dal governo dei tecnici. In realtà è avvenuto che mentre i tecnici salvavano l’Italia portandola in recessione, i cittadini erano assolutamente inermi di fronte ad un Parlamento che approvava quasi all’unanimità leggi ampiamente antipopolari, con inasprimenti fiscali al limite dell’esproprio. E’evidente che in questo caso il problema non consiste nella cessione della sovranità ad un governo, seppure tecnico, ma nella cessione della fiducia al sistema elettorale, che non permette al popolo di controllare l’operato dei propri rappresentanti. Poi con l’avvento dell’Europa Unita alcuni pezzi di sovranità nazionale sono stati ceduti agli organismi europei e non dal popolo del singolo Paese ma dallo Stato, perché oggi il sovrano è lo Stato, ovvero gli eletti. I cittadini sono tali solo di fronte alla Costituzione, ma sono sudditi di fronte allo Stato, agli eletti.

Infine gli ultimi tre Governi (Monti, Letta, Renzi), non hanno avuto nessuna legittimazione dai cittadini, tuttavia, come è statuito nella Costituzione, la legittimazione del Governo avviene attraverso il voto Parlamentare. Quindi formalmente sono in carica ma sostanzialmente non hanno avuto il gradimento degli elettori.

Per tutto ciò siamo oggi di fronte ad un sistema che neutralizza quasi del tutto ciò che resta del potere di scelta dei cittadini con un aggravio dovuto ad una legge elettorale che coopta i parlamentari e di fatto trasferisce quasi interamente la sovranità popolare ai segretari di partito. Questo sistema viene peggiorato ancora di più con la nuova legge del Governo Renzi che, così come è concepita, potrebbe indurre a pensare di provocare un mutamento dell’ordine costituzionale nella forma di una rottura violenta. Non crediamo che sia così, ma certamente, un mutamento netto dell’ordine costituzionale sta avvenendo nel contesto di una realtà ancora almeno formalmente democratica, ma successivamente negli anni non si può essere certi che il passaggio ad un altro assetto politico mantenga in vita ciò che rimane della prassi e dei caratteri democratici, per i troppi poteri che questa legge da alla maggioranza ed al premier.

Assistiamo con questi tentativi legislativi e di prassi di privatizzare e comprimere i soggetti della democrazia, bisogna reagire per ricostruirne l’autorevolezza e la legittimazione. Come pure bisogna mantenere, in un sistema che ancora voglia essere democratico, pesi e contrappesi, per evitare la dittatura della maggioranza. Scriveva Mill che: “il rischio maggiore per la democrazia era il dispotismo mentale. Per non contraddire il potere del conformismo, si diffonde una sorta di pacificazione delle menti che sacrifica il coraggio morale e intellettuale. Quando la paura dell’eresia conduce anche le menti più critiche al silenzio, la vita intellettuale del popolo muore perché la verità trae alimento dal dialogare libero e contraddittorio.”(2) Tutto questo fotografa quello che sta avvenendo oggi in Italia dove prevale il conformismo e viene meno la possibilità di dialogo e di dissenso.

E ancora Popper: “La mia convinzione è che ogni teoria della sovranità trascura di affrontare una più fondamentale questione: la questione, cioè, di sapere se non dobbiamo sforzarci di realizzare un controllo istituzionale dei governanti bilanciando i loro poteri mediante la contrapposizione di altri poteri. Questa teoria dei freni e dei contrappesi può almeno pretendere un’attenta considerazione”(3).

E’ proprio quello che chiedevamo al Parlamento e alle forze politiche, prima di approvare questa legge elettorale. Ma purtroppo non è andata così.

Oggi, più che modifiche elettorali andrebbero ristabilite le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nell’imbarbarimento. Viceversa le azioni di una parte rilevante del ceto politico italiano giustificano le ragioni dell’antipolitica e la qualità della rappresentanza risulta profondamente degradata e di fronte a questo ulteriore processo degenerativo nelle élite al potere non sono nati anticorpi adeguati, bensì spesso collusioni interessate. Tutti sintomi che sembrano preparare ad una riduzione del sistema democratico partecipativo. L’alternativa proposta a questa crisi di legittimità, che prescinde dall’analizzarne le ragioni strutturali e le conseguenze pericolose, è ridurre il peso della rappresentanza sostituendo alla politica partecipata la leaderschip della persona sola al comando, come se questa fosse neutra e di per sé legittima.

Tralasciando di fare discorsi sulla perdita dei valori, sul decadimento della morale sulla fine di quei sentimenti di collaborazione e di solidarietà sociale dobbiamo valutare come si sono formate le nuove esperienze circa la rappresentanza, che, è bene premetterlo, essendo uno strumento non è presentato né deve essere percepito come soluzione della crisi politica.

Nella realtà sociale che, senza essere succube degli addomesticamenti dei mass media, ancora si interessa di politica emerge la necessità di una profonda riscrittura del Patto Sociale e dunque dell’Alleanza Costituzionale, attraverso la più ampia partecipazione dei cittadini per individuare valori, strumenti, istituzioni e legislazione che possa essere il fondamento della nuova convivenza.

Oggi però le nostre società, proprio per l’assenza di partecipazione democratica vivono una realtà quotidiana in cui si è prodotto: distruzione di ricchezza, impoverimento, attacco al mondo del lavoro, tensioni sociali, crisi del debito, rischio di implosione dello spazio europeo. Sono gli effetti odierni della lunga crisi iniziata nel mondo nel 2007 e sull’altare dell’emergenza si è rischiato di immolare la democrazia europea, dove l’imposizione da parte dei burocrati europei della chiusura dello spazio per una vera democrazia compiuto con la costituzionalizzazione dell’austerità, blocca qualunque proposizione di modelli economici, sociali e politici alternativi. Così tutti noi siamo diventati spettatori inermi di una rivoluzione dall’alto che, facendo svanire concretamente la sovranità del popolo, ha innestato la crisi della democrazia che stiamo vivendo. Possiamo dire che, concretamente, la sovranità popolare viene meno quando il risultato di un referendum viene disatteso o quando la definizione e la formazione della realtà economica e politica viene spostata in spazi inaccessibili al controllo della cittadinanza.

In un Paese in cui “le disuguaglianze sono divenute ormai insopportabili”, abbiamo vissuto una regressione politica e culturale molto forte in materia di diritti e il dilatarsi della distanza tra ceto politico e società. Negli Anni Settanta ci fu una grande affermazione dei diritti civili e la legislazione italiana era la più avanzata d’Europa. Ora siamo non solo fanalino di coda, ma lontani culturalmente dai paesi che esercitano la loro leadership in Europa. La mancanza di credibilità della nostra classe politica, fondata sulla diffusa avversione che sta riscuotendo, ma soprattutto la mancanza di capacità di decidere per il bene comune dovrebbero spingere a ridefinire le regole del gioco nella piena partecipazione e dopo un confronto molto ampio, senza farsi prendere dalle fregole della velocità, proprio perché tali regole devono essere accettate da tutti.

Per finire Sovrano è colui che decide. Carl Schmitt nella sua opera conferma ciò (4). Il cittadino, allora, è davvero sovrano solamente quando può partecipare direttamente alle scelte fondamentali della Città alla quale appartiene. Se al suo posto sono altri a decidere, magari istituzioni bancarie, compagnie assicurative, proprietà di giornali a queste fortemente intrecciate, lobby economiche-politiche, consorterie finanziarie transnazionali poco palesi, è evidente che dire che sovrano è il popolo è un artifizio retorico e mistificante.

_________________

1 L’art. 1 della Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica, fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione

2 John Stuart Mill, Saggio sulle libertà, Milano, il Saggiatore, 1981

3 Karl Raimund Popper, la società aperta e i suoi nemici. Platone totalitario, Roma, Armando editore, 1973

4 C. Schmitt - La Dittatura, Laterza, 1975

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1° Maggio: un richiamo concreto ai valori di solidarietà universale e all’unità dei lavoratori per rivendicare migliori condizioni salariali e più tutele Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Barbagallo, sei stato proprio tu a volere che questo Primo Maggio si celebrasse a Pozzallo. Purtroppo, l’ultima tragedia nelle acque del Mediterraneo ha confermato, semmai ce ne fosse stato bisogno, che con questa realtà tutti noi dobbiamo fare i conti...

Purtroppo, è così. Avevamo deciso di celebrare il Primo Maggio a Pozzallo prima che si consumasse l’ultima tragedia nel Mediterraneo, perché la morte di tante vittime innocenti che tentano di sfuggire alla miseria e alle persecuzioni richiama tutti a un’assunzione di responsabilità. Ciò che accade nei nostri mari non è dissimile, nei suoi effetti, da un vero e proprio evento bellico. Bisogna neutralizzare la ferocia degli scafisti, dunque, ma occorre mettere in piedi, altresì, un’azione coordinata che chiami in causa l’Europa e l’Onu. Serve, infatti, creare un corridoio umanitario, da un lato, e definire un piano di aiuti alle popolazioni coinvolte, dall’altro, perché è prioritario intervenire lì dove si generano le cause di questo esodo, creando opportunità per coloro che restano nei paesi di origine.

Insomma, una Festa dei lavoratori all’insegna della solidarietà, ma anche per ricordare che questo valore non può essere disgiunto dalla necessità di far crescere salari e pensioni nel nostro Paese?

La Festa dei lavoratori è tale quando diminuiscono gli squilibri tra ricchi e poveri, aumenta l’occupazione e si incrementa la ricchezza da distribuire anche in solidarietà. Non solo; la Festa dei lavoratori ha un senso anche se ci si apre ai problemi del mondo che ci circonda. E questo i lavoratori e i pensionati lo sanno fare bene perché conoscono e vivono il significato profondo della solidarietà, avendo subito anch’essi, seppur in forme e dimensioni molto diverse, un impoverimento e un ridimensionamento dei propri diritti. Abbiamo voluto fare, dunque, un richiamo concreto ai valori di solidarietà universale e all’unità dei lavoratori per rivendicare migliori condizioni salariali e più tutele, in un Paese in cui l’articolo 1 della Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Mentre a Pozzallo si celebrava il Primo Maggio, a Milano andava in scena la cerimonia di apertura dell’Expo, un evento eccezionale che è stato macchiato da incidenti causati dai soliti “Black blok”. Cosa pensi di quel che è accaduto?

I fatti di Milano sono gravissimi e inquietanti. Bisogna isolare i violenti che vanno condannati senza “se” e senza “ma”: siamo vicini ai cittadini milanesi e a tutti coloro che hanno subito le conseguenze di questi atti scellerati. La Uil, inoltre, esprime piena solidarietà alle forze dell’ordine: ancora una volta, nell’esercizio del loro dovere, questi lavoratori hanno messo a rischio la propria incolumità personale e hanno gestito una situazione esplosiva, con intelligenza e freddezza.

Alla vigilia del Primo Maggio è giunta la notizia di un nuovo peggioramento dei dati sull’occupazione. Qual è la tua opinione?

Purtroppo, eravamo stati facili profeti: L’Istat e l’Eurostat ci dicono che la disoccupazione torna a salire, mentre in Europa si mantiene stabile. Restiamo, dunque, tra i paesi con il più alto tasso di disoccupazione, compresa quella giovanile. Ma noi non siamo interessati al balletto delle cifre: desideriamo solo che si inverta questa rotta e che la crisi finisca davvero. Oggi, ci sono i malati di ottimismo e di pessimismo: noi, realisticamente, chiediamo investimenti per lo sviluppo. Chi pensa che possa essere sufficiente una legge per ottenere questo risultato, si illude. Lo ribadiamo da sempre: servono investimenti produttivi in infrastrutture, innovazione e ricerca, da un lato, e serve accrescere il potere di acquisto di lavoratori e pensionati, dall’altro. Su questa strada però non troviamo il Governo, troppo impegnato nelle alchimie della “democratica” legge elettorale e poco attento al futuro di lavoratori dipendenti e pensionati.

Il punto è che non c’è una politica di investimenti in Europa, né tantomeno nel nostro Paese, in grado di generare lo sviluppo necessario a lasciarci definitivamente la crisi alle nostre spalle....

È vero, siamo come ossessionati dalla tenuta dei conti pubblici e frustrati dall’incapacità di nutrire fiducia nelle nostre potenzialità di ripresa. Lo vado ripetendo ormai da mesi: mentre negli Usa, Obama ha investito mille miliardi di dollari l’anno per sei anni, e altri ancora ne investirà per i prossimi quattro anni, portando il PIL a livelli che a noi appaiono irraggiungibili, in Europa ci limitiamo a uno striminzito piano Junker che vuole investire, in tre anni, poco più di 300 miliardi, la gran parte, peraltro, solo virtuali e dipendenti, cioè, da un effetto moltiplicatore tutto da verificare. Per quel che riguarda specificamente il nostro Paese, poi, su questo fronte è meglio stendere un velo pietoso. Anzi, quel che è più grave è che abbiamo l’abilità di non spendere nemmeno tutte le risorse che provengono dall’Europa e lasciamo che siano gli altri Paesi a utilizzare i fondi che abbiamo perso per strada: quasi il 40 % del totale a noi riservato. Un delitto economico che dovrebbe farci indignare tutti. Se non aggrediamo questi problemi e non li risolviamo in modo strutturale, rischiamo di non avere futuro.

Cambiamo argomento. La discussione sulla modifica del sistema contrattuale stenta ad avviarsi. La Uil ha fatto la sua proposta, l’unica in campo al momento, e dalla Confindustria è giunto un segnale di disponibilità al dialogo. Può essere un segnale di svolta?

Cogliamo con favore la disponibilità manifestata da Confindustria a rinnovare il modello contrattuale, così come apprezziamo l’intento di procedere unitariamente in questo percorso. La proposta della Uil, che vuole essere solo un punto di partenza per agevolare il confronto, pone al centro del nuovo modello l’obiettivo della crescita. Noi invitiamo le parti sociali a esercitare il proprio ruolo di soggetti contrattuali e a riformare, nell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione, l’attuale e ormai sorpassato sistema di relazioni. Questo è l’unico modo per scongiurare invasioni di campo da parte della politica e del Governo che non hanno certo la competenza specifica per approntare una riforma del sistema contrattuale e dei meccanismi salariali in grado di garantire un effettivo miglioramento del mondo del lavoro.

Nel mese di aprile si è svolta una grande manifestazione della scuola in preparazione dello sciopero generale del 5 maggio, che è in pieno svolgimento proprio mentre stiamo andando in stampa. Quella prospettata dal Governo è davvero la Buona Scuola?

I lavoratori della scuola hanno espresso la loro contrarietà al disegno di legge del Governo: se non si investono risorse, altro che Buona Scuola. Siamo diventati fanalino di coda in Europa per la spesa per la pubblica istruzione. Bisogna rinnovare i contratti e restituire, così, dignità ai lavoratori. È necessario un decreto per assumere i centomila precari del settore. Occorre mettere in sicurezza gli edifici scolastici, altrimenti insegnanti e alunni sono costretti a indossare i caschi protettivi prima di entrare nelle loro aule. Non si può dare il comando alla burocrazia scolastica, che ha già fatto danni nel passato, né si possono creare “padroni” nei vari plessi. Il Governo sappia che si deve cambiare davvero e che la scuola appartiene agli studenti, alle famiglie, agli insegnanti e ai lavoratori del settore.

Whirlpool e Auchan sono solo due dei casi più eclatanti di multinazionali che, in alcune realtà, hanno deciso di chiudere i battenti. Cosa si può fare per evitare che si verifichino queste situazioni?

Effettivamente, alcune multinazionali, come Whirlpool e Auchan, sono venute in Italia a fare shopping e poi vorrebbero chiudere alcuni stabilimenti: va contrastato questo andazzo. I lavoratori dell’ex Indesit - ora Whirpool - ad esempio, dopo le promesse e dopo gli accordi, si ritrovano ad affrontare un’altra stagione di crisi non prevista. Il Governo deve intervenire subito affinché siano garantiti i lavoratori e i siti produttivi. Il Presidente del consiglio aveva parlato, a suo tempo, di un’operazione fantastica: non vorremmo che, ora, si rivelasse un’operazione fantasiosa. Le nostre categorie sono impegnate direttamente per sollecitare una soluzione e per scongiurare questo nuovo grave rischio per l’occupazione.

Situazione diversa, fortunatamente, si è venuta a determinare per Fiat: dopo l’ultimo incontro con Marchionne le prospettive sembrano davvero più rosee. Che ne pensi?

Finalmente, la Fiat ha parlato di nuove relazioni industriali con il coinvolgimento del mondo del lavoro nei risultati d’impresa: è ciò che come Uil chiediamo da molti anni e questa decisione ci soddisfa particolarmente. Poi, ci sono 15 miliardi di investimenti, non ci sono esuberi e c’è un rilancio significativo dell’azione del gruppo in Italia che fa ben sperare per il futuro. Le risorse per il contratto - 600 milioni in 4 anni- sono consistenti. La prospettiva è finalmente quella di una maggiore tranquillità e della messa in sicurezza di tutti gli stabilimenti, rispetto alla produzione e rispetto all’occupazione. Riteniamo che sia stata fatta un’operazione da valutare positivamente. Noi parteciperemo affinché tutto ciò si realizzi, anche perché il contributo dei sindacati firmatari e i sacrifici dei lavoratori sono stati fondamentali per il raggiungimento dei risultati positivi fatti registrare dal Gruppo.

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