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APRILE 2010

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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MARZO 2010

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SOMMARIO

Il Fatto
Una società delle regole, dei diritti e dei doveri - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segr. Generale UIL
1° Maggio a Rosarno: Lavoro, legalità e solidarietà - di A. Passaro

Attualità
Clima ed Energia: Possiamo ancora escludere il nucleare? - di P. Carcassi
Strategia 2020 della Commissione Europea - di N. Nisi

Sindacale
Contrattazione collettiva e Decreto 150/2009 - di G. Torluccio
Italo Viglianesi - di C. F. Canapa
Il disagio occupazionale nella Provincia di Caltanissetta - di S. Pasqualetto
Per conoscere l’ITAL - di G. Salvarani
Il contratto unico di ingresso - di F. Tarra

Congresso UIL
Riflessioni sul XV Congresso Nazionale UIL - di G. Cortese
Una grande Organizzazione Sindacale - di A. Pugliese
Un congresso bene organizzato - di C. Mor

Speciale Aquila
Aquila e l’Abruzzo un anno dopo – di R. Campo e P. Paolelli
L’Aquila 6 aprile 2010 ad un anno dal sisma - di M. Cattini
Da dove ricominciare? - di R. Marino
L’Aquila vuole rinascere - di M. C. Mastroeni
Servono “Case e lavoro” - di G. Parisse

Economia
BRIC e PIGS: Paesi in crescita e “maiali” che cadono - di G. Paletta
Se Atene piange Bruxelles non ride ovvero la relatività del concetto di Unione
Europea alla luce della crisi economica greca - di A. Ponti

Il Corsivo
Bisogna saper perdere - di Prometeo Tusco

Agorà
La riforma Brunetta: una valutazione asettica - di G. Grillo
Gli anziani una “piaga” nascosta per un paese che non parla dei suoi problemi -
di G. Lattanzi
Italia promossa. A pieni voti - di L. Pancalli
Censura o informazione libera? Per una notte la Rai cambia canale - di A. Scandura
Il nuovo volto dell’impresa sociale: The Hub - di G. Zuccarello

Cultura
Leggere è rileggere: Alan Bennet: La cerimonia del massaggio - di G. Balella

La Recensione
Il denaro sporco - Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio -
Autori: Castaldo A. R., Naddeo M.

Inserto
La plurisecolare fatica del lavoro e intervista a Paolo Pirani – di P. Nenci

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EDITORIALE

Una società delle regole, dei diritti e dei doveri

Di Antonio Foccillo

I giornali di questi giorni hanno dedicato ampi spazi al gesto di ribellione di un calciatore famoso Balotelli e sul suo gesto hanno fatto tanta sociologia e dibattito.

Non volendo sminuire, comunque, un fenomeno come il calcio, che appassiona tantissime persone e che fa vendere molte copie di giornali, ritengo utile sottolineare che, con altrettanto spazio ed enfasi, sarebbe giusto rimarcare fatti che pure sono altrettanto importanti sul piano della convivenza civile.

Negli stessi giorni, infatti, hanno perso la vita, durante una gita scolastica, due bambine di 13 e 14 anni, Sara e Francesca, in una giornata che da gioiosa è diventata tragica. Allora oltre ad essere vicini allo strazio dei parenti, bisogna anche uscire dalla retorica del giorno dopo ed evitare, come avviene sempre, di dimenticarsi quando viene meno il clamore del fatto. Al di là dell’illustrazione del gravissimo fatto e della retorica che si porta dietro, credo che fosse necessario analizzare nel dettaglio le cause che lo hanno determinato. La morte di queste due ragazze aveva bisogno di essere approfondita con lo stesso ampio dibattito della “vicenda Balotelli”. Innanzitutto perché un civile dibattito avrebbe evidenziato la necessità di studiare appropriate e necessarie misure perché non si possa più ripetere un’esperienza del genere e poi perché, in tal modo, si sarebbe interrotta quella negativa, ma diffusa prassi delle autorità politiche che, di fronte alle tragedie, dopo le parole di circostanza non fanno più niente. Quanta incuria c’è nella gestione del territorio di questo Paese. Quanti volti, spesso, si girano dall’altra parte per non vedere, salvo poi esser pronti immediatamente a piangere ipocritamente al verificarsi di tragedie che ineluttabili non sono. Non si può accettare questo stato di cose, come irrimediabile, frutto della furia della natura. Spesso la natura si ribella proprio perché è stata violentata dall’uomo e dal suo agire. Qualcuno potrebbe obiettare che è impossibile prevedere tutto ed attrezzarsi per evitare altre disgrazie. Certamente non è possibile, ma quello che sconvolge è la ripetitività di fatti luttuosi che avvengono perché chi è preposto non ha fatto nulla. Qualcuno potrebbe pensare nel leggere queste righe che esse sono fuori e lontane dagli aspetti che tradizionalmente appassionano il sindacato.

E’ no! Il sindacato non può tacere di fronte a fatti tragici che ripetono, nei commenti del giorno dopo, le stesse “ritualità” che accadono in identiche dolorose vicende sindacali. Succede la stessa cosa, quando muore un operaio sul lavoro. Tante frasi fatte, tanto stracciarsi le vesti o cospargersi il capo di cenere, ma poi tutto torna come prima. Invece, bisogna, ricreare una cultura del fare, che passa, attraverso: assunzioni di responsabilità, progettualità, anticipo degli eventi e rispetto della vita umana. Sostanzialmente bisogna rivendicare una società delle regole, dei diritti e dei doveri. Ad ognuno il suo compito, ad ognuno bisogna chiedere conto della sua gestione e della sua attività. Troppo poco tempo dedichiamo ai problemi degli altri e troppo poco ci facciamo guidare dall’indignazione. Tutto ci scorre addosso, sulla nostra indifferenza e molto rimane senza risposta. Noi dobbiamo indignarci, quando viene licenziato un lavoratore; dobbiamo indignarci, quando muore una persona sul lavoro; dobbiamo farlo, quando un anziano non sa come vivere; dobbiamo indignarci, quando un giovane non trova lavoro o lo trova, ma è sfruttato. Altrettanto dobbiamo fare, quando vengono sperperati i soldi pubblici, quando il malaffare prevale sulla politica, quando un amministratore non si preoccupa dei suoi concittadini, quando tutto viene lasciato al caso.

Qualcuno potrebbe osservare che questa proposta attua una dinamica che genera solo conflittualità, ma non è così. Il compito di una grande organizzazione confederale di massa è quello di contribuire a costruire una società più giusta e per questo noi, come sindacato confederale, abbiamo, anche, l’enorme compito di essere strumento di educazione, emancipazione e coesione per il cittadino-lavoratore e di garanzia di sicurezza, tutela e diritti. Siamo pienamente coscienti di quanto ciò sia difficile e come ciò dipenda principalmente dall’attuale contesto di estrema debolezza della considerazione sociale del lavoro. Infatti la realtà politica di questa seconda Repubblica Italiana dimostra che, i principi ispiratori del Costituente, scritti nell’art. 1 della Carta Costituzionale, già affievoliti e non pienamente realizzati nel corso della prima Repubblica, non solo non sono stati attuati ma sono stati messi addirittura in discussione nel corso di questi quindici anni di Seconda Repubblica. L’ultima vicenda sintomatica di questo stato di fatto è quella relativa alla volontà di aprire i negozi da parte di regioni, sia di centrodestra, che di centrosinistra, nella giornata del primo Maggio. Questa revisione, che è una vera e propria regressione culturale, dimostra chiaramente come si voglia abbandonare anche la memoria storica di un momento celebrativo cosi importante per una parte del paese, addirittura strumentalizzandolo a favore del profitto che ormai è diventato fondamento di questa nuova società. Il 1° maggio è la festa dei lavoratori ed è costata sangue, sacrifici e tante lotte sindacali e non può essere celebrato lavorando o costringendo a lavorare.

La convivenza civile è fatta di coesione, di rispetto dei valori e delle idee altrui come pure di solidarietà. Quella solidarietà che ha caratterizzato il Dna del sistema sindacale, la legislazione sociale e il diritto del lavoro che ne offre le coordinate normative. Essa appartiene da tempo alla cultura giuridica europea che ha avvertito come né solidarietà, nè coesione sociale possono praticarsi ove non siano sorrette da un modello di società radicato in una piattaforma robusta di diritti fondamentali e su criteri di convergenza sociale. Purtroppo oggi nei rapporti sociali e civili prevale l’intolleranza, che, comunque si manifesti non è accettabile e nel nostro paese c’è e la si vede in molte forme. Abbiamo assistito a forme di intolleranza verso calciatori stranieri di colore, verso comunità intere considerandole criminali, nella stessa celebrazione del 25 aprile di quest’anno. Se prevalesse questo sentimento la conseguenza sarebbe un peggioramento complessivo della qualità della vita, in modo particolare perché sarebbe scardinato il sistema di solidarietà. Inoltre la crisi della legislazione nazionale, la logica del mercato, il dominio delle multinazionali, la svalutazione sociale del lavoro potrebbero convincere dell’impossibilità di migliorare la legislazione del lavoro e soprattutto della qualità della vita. Come si governa questo complesso processo è il rebus che anche il sindacato, in quanto forza sociale, deve provare a risolvere e, per farlo, deve ripensare la propria strategia; individuare un percorso alternativo, dopo che per un ventennio si è imposta la rivincita conservatrice sulla socialdemocrazia. Non è semplice, ma rinunciare significherebbe accettare l’ineluttabilità di un possibile declino, così come auspicato dal disegno strategico neoliberista.

E’ fondamentalmente il rispetto di regole e diritti che sono i concetti guida per una strategia sindacale che punti a ridare il giusto ruolo al mondo del lavoro. Il capitale ha scommesso a ridimensionare diritti eliminando le regole. La deregulation è stata proposta come la nuova ventata libertaria, mentre in realtà ha prodotto insicurezza, prevaricazioni e spesso anche confusione. In effetti, in uno stato di diritto le regole servono proprio a dare certezze e giustizia. L’etica sociale, contrapposta sia al liberismo selvaggio, sia all’autoritarismo illiberale, prevede che una serie di regole descrivano i diritti ed i doveri per tutti i soggetti: qualcosa talmente semplice da apparire superato ad osservatori superficiali o, probabilmente, opportunamente distratti dalla sofisticata propaganda che sostiene il nuovo corso mondiale. La criticità di tale passaggio, se non risulta adeguatamente contrastata, porta al concreto rischio di involuzione democratica, per cui progressivamente s’innesta il pensiero secondo il quale le regole sono un ostacolo per la crescita e i diritti un modo per abbassare la produttività.

Ne consegue che il soggetto al centro dell’attenzione non è il cittadino, l’uomo con i suoi diritti, bensì l’economia con le sue logiche, il profitto e la competitività. Mettendo al centro dell’attenzione politica l’economia e non l’uomo, inevitabilmente, si spostano su essa e sui suoi organismi non solo gli interessi, ma anche le decisioni della politica stessa. Allora, rapidamente, una nuova rappresentanza politica non risponde più alle esigenze della cittadinanza, ma a quelle del capitale economico-finanziario, dovendosi oggettivamente confrontare a livello decisionale con soggetti come le multinazionali che, nei fatti, intervengono pesantemente nel panorama politico internazionale, ma anche le banche centrali, che seguono la logica del potere economico e che non sono espressione di rappresentanza popolare. La confusione tra libertà economica e libertà politica ha fatto sì che prevalesse solo la prima, facendo credere inoltre che le regole sono di impedimento alla crescita economica. Il sindacato deve quindi fare una opportuna riflessione, innanzitutto per respingere questa rappresentazione ideologica che rappresenta un vero e proprio sillogismo liberista. Un’energica presa d’atto della realtà deve comportare uno sforzo elaborativo per la riproposizione di una società delle regole, dei diritti e dei doveri, dove la libertà economica e politica si coniuga con la solidarietà e, ancor più, con l’etica della responsabilità sociale. Una società delle regole, dei diritti e dei doveri che possa garantire uno sviluppo equilibrato o, come si diceva giustamente una volta, sostenibile. Una società delle regole, dei diritti e dei doveri che, in definitiva, consenta alla maggioranza dei cittadini, di tutti i paesi, di vivere con l’obiettivo di migliorare le proprie condizioni di vita. Considerare questi obiettivi come utopie irrealizzabili significa, per il sindacato, rinunciare al ruolo che storicamente si è dato.

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1° Maggio a Rosarno: Lavoro, Legalità e Solidarietà. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, quest’anno il Primo Maggio si celebrerà a Rosarno. Come sempre, anche questa volta, una scelta coraggiosa e di grande valore simbolico?

Sì, quest’anno Cgil, Cisl e Uil hanno scelto di organizzare il Primo Maggio nella cittadina calabrese, tristemente nota per vicende di cronaca che hanno coinvolto immigrati e lavoratori. E ovviamente non è un caso che il titolo della manifestazione è “Lavoro, legalità e solidarietà”. Su questo fronte il Sindacato è sempre stato in prima linea e la Festa dei Lavoratori deve essere anche l’occasione per ribadire con forza questo impegno, soprattutto in realtà difficili come Rosarno.

E a proposito di lavoro, proprio in queste ore sta per essere approvato il ddl lavoro. Vuoi già dare una prima sintetica valutazione?

La Uil è favorevole all’equilibrio trovato in sede legislativa sul ddl lavoro con particolare riferimento al tema dell’arbitrato. Un equilibrio raggiunto anche grazie ad un positivo dialogo con il sindacato. In questo senso è stato decisivo anche l’avviso comune, siglato lo scorso mese di marzo, che esclude il licenziamento dalle materie oggetto di un eventuale arbitrato, malgrado più d’uno, per ignoranza o in cattiva fede, continui a sostenere il contrario. L’avviso comune, peraltro, garantisce la volontarietà nell’opzione tra il ricorso al magistrato o all’arbitro. Quella individuata, dunque, è la soluzione più efficace per una riforma che tuteli realmente gli interessi dei lavoratori.

Facciamo un passo indietro. Il 19 e 20 aprile si è svolto a Washington il G20 del lavoro. Oltre alle riunioni intersindacali, ha avuto luogo anche la consultazione con i Ministri del lavoro del G20. Tu sei stato l’unico Segretario generale di un sindacato europeo a prendere parte all’incontro. Quale posizione hai espresso?

Abbiamo chiesto ai Governi del G20 di dare continuità ai piani di stimolo fino a quando i tassi occupazionali non ritorneranno ai livelli precedenti alla crisi. Inoltre, i Sindacati chiedono che sia istituita un’imposta sulle transazioni finanziarie perchè i costi per la ripresa non possono essere scaricati sui lavoratori ne’ attraverso un aumento delle imposte sul lavoro ne’ con una riduzione delle tutele sociali. Con i Ministri del Lavoro del G20 dobbiamo realizzare un rapporto costruttivo che duri nel tempo. Bisogna sostenere quei Governi che cercano di introdurre nuove regole sui mercati finanziari e i Sindacati devono assumere il ruolo di partner di questi Governi affinché le politiche sociali e per l’occupazione abbiano successo. Va anche detto che il ministro Sacconi ci ha manifestato la disponibilita’ del Governo italiano a lavorare, all’interno dei Paesi del G20, affinche’, nei prossimi mesi, prosegua con le Organizzazioni sindacali, il confronto sulla crisi occupazionale. L’idea e’ quella di coinvolgere, in via istituzionale e di concerto con il Fondo Monetario Internazionale, anche l’OIL, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Indicazioni, queste, molto apprezzate dai Sindacati.

La crisi internazionale non è finita: i gravi problemi finanziari della Grecia sono lì a testimoniarlo. Cosa sta succedendo in quella parte dell’Europa a noi così vicina?

La Grecia sta vivendo una situazione dominata da una crisi di liquidità e da un alto debito e sono arrivati al punto da aver bisogno di finanziamenti per pagare stipendi e pensioni. Probabilmente hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità ma quel che è certo è che hanno perso un 30% in termini di competitività. La Grecia è un piccolo Paese ma, ormai, l’economia mondiale è integrata e le conseguenze si fanno sentire anche sugli altri Paesi. Gli andamenti negativi delle borse europee di questi giorni sono uno dei termometri di questa preoccupante situazione.

Quali possono essere le ripercussioni per la nostra economia?

Il nostro Paese non corre i rischi della Grecia. Ma proprio per questo motivo, io credo che, nell’immediato, non possiamo aspettarci politiche diverse da quelle che abbiamo conosciuto negli ultimi tempi. Continueremo, dunque, ad avere politiche che tendono a stabilizzare il bilancio dello Stato e a limitare le spese ed avremo, così, un Paese a crescita mediamente bassa e differenziata.

Se grazie a questa politica abbiamo scongiurato i rischi che sta correndo la Grecia, è pur vero che ora bisogna cominciare a puntare anche sulla crescita...

Non c’è dubbio: se non mettiamo in campo ogni sforzo necessario a realizzare alcune riforme, saremo destinati per lungo tempo ad avere una crescita bassa e differenziata, con tutte le conseguenze politiche, economiche e sociali del caso.

A quali riforme pensi?

Innanzitutto alla riforma fiscale. Ne abbiamo ampiamente parlato già in altre circostanze: in Italia risulta povero solo chi si dichiara tale. Ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, invece, prima fanno pagare tutte le tasse e poi erogano il corrispettivo reddito. Perciò, il sistema fiscale è iniquo oltre ad essere inefficace anche dal punto di vista economico: dunque, va cambiato. Ma è assolutamente necessaria anche una riforma per ridurre i costi della politica. Per condurre in porto queste battaglie, occorre trovare alleati e noi li troveremo. Dobbiamo preparare una vera e propria campagna su questi due aspetti.

In conclusione e brevemente parliamo di Fiat. Cosa pensi del recente cambio al vertice?

Con la decisione di affidare la Presidenza della Fiat a John Elkann si è conclusa la fase di transizione generazionale e la proprietà è tornata ai vertici dell’Azienda. Al nuovo Presidente facciamo i nostri migliori auguri.

E qual è la tua opinione, invece, per quel che riguarda la trattativa in corso sul piano industriale?

Prevedo che il confronto con Fiat sarà breve e si concluderà positivamente. A noi interessa che Fiat accresca la produzione negli stabilimenti italiani. Questo è esattamente ciò che chiederemo nel corso degli incontri.

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