Lavoro Italiano: il mensile della UIL.
Lavoro Italiano
Il mensile della UIL.
OTTOBRE 2018

JOB CIAK - II^ Edizione

I giovani riprendono il lavoro

In questo numero

Il Fatto

Le risposte del sindacato alla politica economica del Governo

di Antonio Foccillo


 

In questi anni si può tranquillamente affermare che puntualmente le questioni economiche sono state affrontate mettendole al primo posto dell’agenda politica. Ne abbiamo avuto conferma, anno dopo anno, ogni qualvolta si presentava lo stato dei conti pubblici attraverso il documento di programmazione finanziaria ed economica e poi attraverso l’elaborazione dei diversi provvedimenti di gestione con la presentazione della legge finanziaria. Il Governo, di qualsiasi colore sia stato, negli ultimi anni, ha fotografato la situazione sempre allo stesso modo e i mass-media hanno riportato una serie di titoli sull’urgenza della riduzione dei costi dello stato sociale, in particolare, sulla necessità di tagliare su pensioni e spesa sanitaria, oltre che ridimensionare la spesa pubblica, intervenendo con drastiche misure nel pubblico impiego.

Pur comprendendo le difficoltà che comporta stilare una legge Finanziaria, non è possibile che ad ogni presentazione che si sussegue si continui, come se nulla fosse, a mettere in discussione conquiste fondamentali che il mondo del lavoro aveva saputo costruire nel tempo. Purtroppo, ogni legge Finanziaria, si porta dietro problemi complessi, problemi che riguardano tutti i settori della nostra società. I commentatori del pensiero unico ripetono che le scelte di politica economica inserite nelle varie finanziarie devono essere rivolte a ridimensionare le spese pubbliche, a fare le riforme delle pensioni in tutta Europa e a imporre a tutti i cittadini europei un tenore di vita molto diversa dal canone tradizionale di welfare che ha contraddistinto gli Stati europei negli ultimi cento anni (Bismark 1933: i primi aneliti di stato sociale; le società di mutuo soccorso in Italia ai primi del 900). E allora la conseguenza scontata è che viene meno anche la sensibilità di chi dovrebbe riflettere sui vari tipi di occupazione che ciascun essere umano ha svolto nella sua vita, su quanto questi possano aver inciso sulla sua salute, fisica e psicologica.

Anche quest’anno con le modifiche all’integrazione al Def e alla prossima legge di bilancio del Governo Conte si ripete il solito ritornello da parte dei commentatori e soprattutto da parte dell’Unione Europa. Quest’ultima ha definito la manovra non in linea con i parametri europei e ha chiesto all’Italia di cambiarla. Noi abbiamo sempre ritenuto che in questo scenario di crisi e di difficoltà economica, prodotto del fallimento delle idee neoliberiste, bisognasse ridiscutere l’austerità che è alla base della costruzione europea dei giorni nostri, perché essa ha colpito duramente i salariati e i ceti medi e inferiori attraverso tagli degli stipendi, la riduzione delle prestazioni sociali, fino all’allungamento dell’età legale per la pensione. Per completare il tutto, in nome di una fantomatica ripresa, si sono smantellati sempre più i servizi pubblici e si è privatizzato ciò che ancora non è stato privatizzato, con una soppressione massiccia di posti di lavoro (nell’istruzione, nella sanità, ecc).

La ricetta è privatizzare ancora e mercificare le ultime riserve di vita sociale, facendo crescere il valore di una massa immutata – o in diminuzione – dei valori d’uso per prolungare solo di qualche anno l’illusione della crescita. Così il cittadino che prima ha pagato il salvataggio dei mercati, adesso è chiamato a pagare la destabilizzazione degli Stati, che devono obbedire all’odierna parola d’ordine: “tagliare la spesa pubblica”o per meglio dire quel poco che ancora resta. Spesa pubblica significa innanzitutto scuola pubblica, università pubblica. Significa strade, centri culturali, asili, ospedali, cure mediche. Significa, in ultima analisi, redistribuzione del reddito e diminuzione della sperequazione economica; significa offrire un servizio a chi non potrebbe permetterselo; significa garantire una vita dignitosa a tutti.

Insomma rinunciare a tutto questo significa tagliare il Welfare State, che è stato una delle più grandi conquiste sociali di sempre. Allora ci sembra evidente che prima il salvataggio dei mercati con i soldi pubblici e quindi a spese di tutti i cittadini che pagano le tasse, poi la riduzione, quasi l’annullamento, della spesa pubblica, soprattutto quella che qualifica il Welfare siano, in realtà, operazioni di drenaggio di risorse che dalla comunità passano agli speculatori finanziari. Questo dato dovrebbe spingere i governi ad intervenire per mitigare questa forte sperequazione economica e non tagliare le “spese pubbliche” aumentando il divario economico e sociale. Ma buona parte dei media ha insistito, prospettando scenari apocalittici, sulla necessità del taglio dei servizi pubblici o alle pensioni. Insomma la crisi doveva essere pagata dai ceti più poveri, dagli operai, dai lavoratori, dalle casalinghe e dai pensionati.

Rifiutare democraticamente questo diktat significa fare uscire l’Europa dalla dittatura dei mercati e costruire l’Europa della solidarietà, della convivialità, quel cemento del legame sociale che Aristotele chiamava «philia». Per questo il sindacato ha presentato una sua piattaforma, che andrà discussa in tutti i territori e in tutti i luoghi di lavoro, per verificare con i lavoratori le proprie idee, ma che deve servire, soprattutto, ad aprire un confronto con il governo. Nella piattaforma Uil, Cgil e Cisl hanno affermato “la necessità che lo sviluppo del Paese sia supportato da politiche espansive e - hanno sostenuto - in coerenza con le linee espresse dalla Confederazione Europea dei Sindacati, che [è] necessario il superamento delle politiche di austerity che, in Italia come in Europa, hanno determinato profonde disuguaglianze, aumento della povertà, crescita della disoccupazione in particolare giovanile e femminile”.

La manovra del Governo, quindi, per il sindacato confederale ha rappresentato in tal senso “una prima inversione di tendenza”,e nello stesso tempo ha considerato però “che il confronto con l’Europa sulla manovra dovrebbe essere caratterizzato più che da atteggiamenti strumentali spesso reciproci e da tensioni anti – europeiste, da una grande e seria battaglia per cambiare lo statuto economico europeo e le politiche economiche attraverso lo scomputo delle spese per investimenti materiali e sociali dal deficit, l’aumento delle risorse europee per gli investimenti; per la sostenibilità ambientale e per le politiche di coesione”.

Sull’intera manovra, comunque, il giudizio resta negativo perché “mostra elementi di inadeguatezza ed è carente di una visione del Paese e di un disegno strategico che sia capace di ricomporre e rilanciare le politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo sostenibile e al lavoro. L’utilizzo degli oltre 22 miliardi di spesa previsti in deficit dalla manovra deve essere finalizzato a nuove politiche che mettano al centro il lavoro e la sua qualità, in particolare per i giovani e le donne, che siano in grado di contrastare l’esclusione sociale e la povertà; che determinino processi redistributivi e di coesione nel Mezzogiorno; che prevedano investimenti in infrastrutture materiali e sociali; innovazione, scuola, formazione e ricerca, prevenzione e messa in sicurezza del territorio e che sostengano le politiche industriali. La manovra traccia, invece, un percorso diverso: mancano le risorse per gli investimenti poiché si privilegia invece la spesa corrente, si preannunciano ulteriori tagli e si introducono misure che non determinano creazione di lavoro ma rischiano di rappresentare mere politiche di assistenza.

Il contrasto alla povertà è senza dubbio una priorità per il Paese, ma la povertà non si combatte se non c’è lavoro e non si rafforzano le grandi reti pubbliche del Paese: sanità, istruzione e servizi all’infanzia e assistenza. Del tutto assenti sono i riferimenti all’innovazione nella Pubblica Amministrazione e al rinnovo di contratti in essere e di quelli futuri”. Altro elemento che in concomitanza con le Finanziarie risorge è la solita “enfatica” polemica sul lavoratore pubblico considerato il solo lavoratore italiano sfaticato e improduttivo. Sorvolando su ciò che merita poca attenzione, si deve precisare invece Il vero obiettivo di questa campagna: il sistema pubblico che, dal secondo dopoguerra in poi, ha garantito sviluppo e pari opportunità a questo Paese. Senza la sanità pubblica, l’istruzione pubblica, l’assistenza e la previdenza cosa ne sarebbe oggi dell’Italia? Se il nostro Paese è riuscito ad uscire dalla povertà e dalla distruzione in cui versava dopo anni di dittatura e di guerra, se ha saputo crescere democraticamente, sviluppando gli anticorpi sociali e culturali contro qualsiasi tipo di involuzione sul piano della democrazia e della tolleranza, se ha visto crescere gli indici della qualità della vita, a partire dall’allungamento della vita stessa, tutto ciò è anche merito di un sistema pubblico che ha permesso a tutti i cittadini, su tutto il territorio nazionale, di usufruire dei servizi pubblici. Oltretutto queste impostazioni di solidarietà e garantiste nei confronti del benessere collettivo sono sancite nella Costituzione. Non è possibile continuare a demolire un sistema che ha tutelato coesione e democrazia, per raccattare qualche miliardo a fine anno. Si rischia di risparmiare all’inizio per dover poi ritrovarsi senza un capitale, umano e strutturale, fondamentale per il futuro democratico del Paese. Infatti, se venisse meno il sistema pubblico, i cittadini sarebbero penalizzati in maniera differenziata e la fascia più debole, per disponibilità economica, localizzazione geografica o per qualsiasi altra variabile, sarebbe quella colpita duramente. Si tornerebbe, rapidamente, a un passato remoto, fatto di ingiustizia e discriminazione, che non potrebbe comunque essere accettato da una società che ha già conosciuto livelli qualitativamente più soddisfacenti di tenore di vita.

In una logica diversa da quella che punta al settore pubblico come fondamentale per lo sviluppo, anche alla scuola pubblica vengono, ogni volta, ridotti i finanziamenti e ciò produce una realtà scolastica che rischia di diventare marginale e riservata alla fascia della popolazione che, nei fatti, vive emarginata ed esclusa. Invece bisogna sostenere la scuola pubblica affinché migliori sempre di più, perché, in una società evoluta, bisogna dare pari opportunità di accesso al sapere e alla conoscenza per ridurre di molto l’emarginazione e l’esclusione. Queste sono problematiche ben note nel mondo, ad altre latitudini sono il pane quotidiano dei sindacalisti. Purtroppo l’Italia si trova ancora nella situazione di dover affrontare questa strategia di attacco che punta ad uniformare i modelli, con l’obiettivo di creare un mercato mondiale che può essere visto come libero, oppure senza regole. Anche qui dipende dai punti di vista. La battaglia a difesa dei criteri di solidarietà che si svolge ogni anno sull’impostazione della legge Finanziaria deve essere inserita proprio in questo contesto, altrimenti rischia di non essere capita.

Prese di posizione e contraddizioni del nostro sistema di welfare complicano ancora di più la situazione relazionale in un’Italia in cui, ogni giorno che passa, si sfaldano coesione e solidarietà. Un fenomeno che emerge nel dibattito è la divisione intergenerazionale e quindi il venir meno del patto proprio fra generazioni. Tale contrapposizione fra giovani e anziani, alimentata strumentalmente, è sintomatica di un tempo che cerca di ridurre il peso delle rappresentanze sociali per influenzare le scelte economiche in una logica ultraliberista. Come si può pensare di rifiutare questa campagna denigrando invece che confrontandosi. Se è vero che si è rotto il patto generazionale, allora la domanda è: come lo si rivive se non si accetta il dialogo ma si mette tutti uno contro l’altro, con l’unico scopo di indebolire le due generazioni? In tal senso, bisogna recuperare una forma di dialogo dove i giovani, se vogliono contribuire alle scelte strategiche economiche e sociali, hanno un modo molto più forte che è quello di entrare e partecipare direttamente alle scelte e alla vita politica e sindacale, in modo da confrontarsi così anche con le altre generazioni. I giovani d’oggi sono dipinti come soggetti avulsi dalle problematiche collettive e sempre più chiusi nelle proprie individualità e in competizione continua, fino all’esasperazione del concetto che li raffigura refrattari alla solidarietà e alla coesione. Ma ci siamo mai chiesti se è proprio così? Chi frequenta i giovani vede in essi persone sempre più smarrite, perché manca loro un punto di riferimento; persone a cui, in molti casi, è stata tolta la possibilità di programmare la propria vita e che al contrario vorrebbero avere uno scopo che li faccia sentire parte attiva della società e delle scelte che essa fa. Sono quindi interessati a capire e a confrontarsi, ma dove lo possono fare? Il problema vero è che dobbiamo, almeno noi che abbiamo fatto della nostra vita una battaglia di libertà, democrazia e impegno civile e sociale, individuare e ricostruire strutture e sedi dove ci si possa confrontare sulle problematiche politico-sociali ed economiche emergenti per ritornare ad essere un soggetto protagonista e partecipe della vita sociale e civile di questo Paese. Ma tornando alle manovre finanziarie, purtroppo, la mancanza di chiarezza all’interno del Governo ci rende difficile individuare un percorso virtuoso sul piano economico e occupazionale in questa complessa fase. A complicare le cose è arrivata la presa di posizione di Bruxelles su queste problematiche. Le nostre perplessità sul merito debbono trovare una sede di confronto con il Governo, ma tutte le proposte di modifica rischiano di affievolirsi di fronte alle esternazioni europee. Credo che il punto sia proprio questo: in questo Paese, purtroppo anche grazie al contesto europeo, non si riesce a discutere per fare le riforme, poiché interessi molteplici e consistenti spingono per proseguire una vera e propria politica di demolizione dello stato sociale e di un modello di società che è stato. Pertanto, bisogna avviare una riflessione per opporsi a questa politica e fare di tutto per raggiungere intese soddisfacenti e adeguate a ridare fiducia nel futuro a questo Paese.

 

 

Antonio Foccillo

Antonio Foccillo

Segretario confederale UIL

Intervista a Carmelo Barbagallo

Per uscire dalla crisi economica bisogna restituire potere d’acquisto a lavoratori dipendenti e pensionati e dare lavoro stabile ai giovani

di Antonio Passaro


 

Segretario, cominciamo da una vicenda non propriamente sindacale, ma che ha visto impegnata la nostra Organizzazione soprattutto dal punto di vista formativo e umano. La Uil ha organizzato un viaggio nella memoria e, insieme a un superstite della Shoah, Sami Modiano, ha accompagnato 100 ragazzi ad Auschwitz e Birkenau. Tu sei stato insieme a loro…

Sì, ed è stata un’esperienza molto importante per tutti coloro che vi hanno partecipato. Trasformare il dolore in amore è il gesto più potente che un uomo possa fare. Ebbene, Sami Modiano ha deciso di fare dono della sua tragica testimonianza ai giovani, affinché quell’orrore non si ripeta mai più. Gli siamo profondamente grati per averci reso partecipi del suo vissuto, così carico di sofferenza e di umanità. Quell’orrore non può né deve essere mai dimenticato ed ecco perché alla tragedia della Storia bisogna contrapporre il dovere della memoria. Noi dobbiamo aiutare i giovani a costruire un futuro di pace, giustizia e sviluppo.

 

Sempre per restare su temi, per così dire, “parasindacali”, anche quest’anno la Uil è stata in prima fila nella marcia per la pace Perugia-Assisi. Qual è il messaggio che la nostra Organizzazione ha voluto dare con la sua partecipazione?

Noi vogliamo dire a gran voce: basta con le guerre, che in questi ultimi venti anni sono aumentate e non siamo ancora riusciti a fermarle. Basta con le guerre tra i poveri, perché continuano a farci credere che il nostro nemico è chi sta peggio di noi, piuttosto che colui che si è arricchito. Quando i popoli si impoveriscono, aumenta l’intolleranza e anche la richiesta di sicurezza che, tuttavia, dovrebbe essere scissa dalla questione immigrazione. L’Europa non sta dando un esempio di come si gestiscono queste vicende, ma i singoli Stati fanno anche peggio. È necessario che si comprenda che la sicurezza è un problema di tutti e che in sicurezza bisogna accogliere gli immigrati.

 

Veniamo alle questioni sindacali in senso stretto. Lo scorso 8 ottobre, presso la saletta unitaria di via Lucullo si è svolta la riunione delle Segreterie di Cgil, Cisl, Uil, convocata per una valutazione sulla manovra economica del Governo. Cosa si è deciso in quella sede?

È stato costituito un gruppo di lavoro formato da sei Segretari confederali che, in tempi brevi, hanno redatto un documento unitario con proposte specifiche in materia di fisco, previdenza, investimenti in infrastrutture, Mezzogiorno, pubblico impiego, scuola e sanità e altri capitoli ancora. Questa piattaforma è stata poi sottoposta al varo degli Esecutivi unitari che si sono svolti il successivo 22 ottobre.

 

E dagli Esecutivi cosa è emerso?

Si è discusso sui contenuti di quel documento ed è stata varata la piattaforma che, ora, nel mese di novembre, verrà illustrata ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani in centinaia di attivi unitari che si terranno nei territori e in alcune assemblee nei luoghi di lavoro. Poi, stiamo chiedendo un confronto nelle sedi istituzionali per ottenere le necessarie modifiche, in vista del varo definitivo della legge finanziaria.

 

Qual è il giudizio sulla manovra?

Non ci scandalizza lo sforamento del rapporto debito Pil. Guardiamo con attenzione al tentativo del Governo di uscire dall’austerità anche perché, da anni, sosteniamo che questa politica genera solo povertà e non sviluppo. Ci meraviglia, dunque, che non si capisca che per uscire dalla crisi economica bisogna restituire potere d’acquisto a lavoratori dipendenti e pensionati e dare lavoro stabile ai giovani. Nel DEF mancano le risorse per questi obiettivi. Noi vorremmo sostenere l’iniziativa del Governo rispetto all’austerità, ma senza contratti e senza riduzione delle tasse ai lavoratori dipendenti e pensionati l’economia del Paese non riprende.

 

Proprio mentre scriviamo, ci sono importanti novità: si parla di importanti risorse inserite in manovra per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Cosa ne pensi?

Penso che se la notizia fosse confermata, avremmo una base utile da cui far partire il confronto con il Governo su questo capitolo molto importante. Al momento, non c’è alcuna conferma. Da tempo, abbiamo chiesto alla ministra Bongiorno di convocarci. Noi aspettiamo.

 

Sul fisco, invece, sembra non esserci nulla di specifico per lavoratori e pensionati…

Questo è il punto più critico: non ci sono riduzioni di tasse per lavoratori dipendenti e per pensionati. Il Governo deve comprendere che il Paese non esce dalla crisi senza il recupero del potere d’acquisto per lavoratori e pensionati e perciò serve una riduzione delle tasse. Se i lavoratori e i pensionati non comprano i beni che si producono, l’economia non si riprende.

 

E sulla previdenza? Qual è la tua opinione su quota 100?

Per alcune categorie quota 100 può andare bene; per altre, invece, può essere una trappola. Noi vorremmo che si proseguisse nell’opera di modifica della legge Fornero, a cominciare dall’effettivo insediamento delle due Commissioni, l’una per l’individuazione di altri lavori gravosi, l’altra per la separazione della previdenza dall’assistenza.

 

Su tutti questi temi, cosa chiedete al Governo?

Vorremmo offrire le nostre proposte e discutere. Non chiediamo cambiamenti di maggioranza, ma confronto.

 

E all’Europa?

Quando ci sono, le regole vanno sempre rispettate, ma va rispettata anche la necessità di crescita del Paese e quindi dovrebbero essere cambiate le regole europee che ci hanno portato all’austerità.

 

A tutto ciò si lega il grande tema delle infrastrutture. È una questione che tu richiami sistematicamente, ma che di recente è stata al centro della due giorni dedicata a Genova. Lì ti sei confrontato con tutti i nostri delegati e con alcuni lavoratori di quei settori particolarmente colpiti dalle conseguenze della tragedia del Ponte Morandi. Che clima hai trovato in quella realtà?

Ho partecipato personalmente a queste iniziative e ho riscontrato, innanzitutto, un pò di sfiducia poiché alle promesse non sono ancora seguiti i fatti. Noi riteniamo che il cosiddetto decreto Genova non faccia ancora abbastanza per questa città. Tuttavia, chiediamo che non si perda più tempo e che si parta subito con quel che intanto già c’è: in corso d’opera, poi, si vedrà cosa mettere ulteriormente in campo. La verità è che molte delle infrastrutture realizzate in Italia negli anni Sessanta e Settanta sono ‘scadute’: in particolare i ponti erano stati progettati per una tipologia di traffico differente. Ebbene, bisogna far ripartire i cantieri: progetti e risorse ci sono e così si potrà dare occupazione e creare sviluppo.

 

Bisogna mettere in sicurezza tutto il nostro territorio?

Giusto. Ecco perché occorre programmare gli investimenti necessari a realizzare opere che prevengano le conseguenze di questi eventi: si eviterebbero disastri e, soprattutto, perdita di vite umane e si risparmierebbe dal punto di vista economico. Le conseguenze della tragedia del Ponte Morandi non sono solo un problema di Genova o della Liguria, ma riguardano il Paese. Dobbiamo ripartire da qui per un piano di rilancio complessivo dell’economia. Troppa burocrazia e troppe norme frenano lo sviluppo. Noi, invece, abbiamo bisogno di infrastrutture, a cominciare dal completamento del Terzo valico e dalla ripresa degli altri cantieri bloccati su tutto il territorio nazionale. In questo quadro, considero una buona notizia la decisione annunciata dal premier Conte di procedere nella realizzazione del gasdotto Tap e ritengo che occorra andare nella stessa direzione anche per risolvere l’altra annosa questione e cioè quella della Tav. Cgil, Cisl, Uil hanno già dimostrato di essere in grado, unitariamente, di avanzare proposte concrete e di fare la propria parte per lo sviluppo del nostro Paese. Gli incontri che ho avuto a Genova con i delegati della mia Organizzazione e con i lavoratori, i pensionati e i giovani mi confermano che abbiamo imboccato la direzione giusta. Proseguiamo insieme, dunque, su questa strada e, insieme, otterremo risultati importanti ed efficaci per i nostri rappresentati e per tutti i cittadini.

 

Chiudiamo con una bella notizia. Agostino Siciliano, Segretario nazionale della Uil pensionati, è stato eletto Segretario generale della Ferpa, il Sindacato europeo dei pensionati. È una grande soddisfazione….

Non era mai successo che, contemporaneamente, ai vertici europei sia della Ces sia della Ferpa ci fossero due rappresentanti della Uil. Siamo molto orgogliosi e fieri di questo riconoscimento: è un successo per il Sindacato italiano, per la Uil e la Uil pensionati e per lo stesso Siciliano. È stato possibile raggiungere questo traguardo anche grazie a una rinnovata unità d’azione sindacale: un valore aggiunto che ha consentito e che potrà consentire di trasformare i progetti e gli intenti in risultati concreti. Ormai, molte delle decisioni che si ripercuotono sulla vita dei nostri lavoratori e dei nostri pensionati vengono assunte al di fuori dei confini nazionali e, segnatamente, proprio a livello europeo. Ed è a quel livello che occorrerà far sentire la nostra voce e avanzare le nostre rivendicazioni. Siciliano ha esperienza e professionalità per onorare questo difficile e importante impegno e noi non gli faremo mancare il nostro sostegno.

 

 

Antonio Passaro

Carmelo Barbagallo

Segretario generale UIL




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