Il contratto è stato rinnovato avendo come principio ispiratore questo modello di scuola: una istituzione costituzionale
FEBBRAIO 2018
Sindacale
Il contratto è stato rinnovato avendo come principio ispiratore questo modello di scuola: una istituzione costituzionale
di   Pino Turi

 

 

Aver rinnovato i contratti del Pubblico Impiego delle Funzioni Centrali e del comparto Istruzione e Ricerca, è di per sé una buona notizia, mancano solo Enti Locali e Sanità, pronti per la sottoscrizione sulla scia dei contratti già sottoscritti. Se, infatti, quello delle funzioni centrali ha agito da apripista, quello del comparto Istruzione e Ricerca, per l’oggettiva complessità di avere messo insieme mondi diversi - scuola, università ricerca ed alta formazione artistica e musicale - per il numero di addetti (un terzo dei pubblici dipendenti) rappresenta l’elemento politico più importante di questa stagione contrattuale. 
 
La firma del contratto, bloccato per scelta politica da dieci anni, è un fatto non scontato, ribalta la logica politica che voleva l’eliminazione dell’intermediazione sindacale e il superamento della contrattazione. Il contratto appena sottoscritto offre, invece, una nuova prospettiva politica che dovrà trovare nuovi orizzonti strategici e riflessioni politiche nuove rispetto ai modelli neo liberisti che hanno ispirato le politiche di questi ultimi dieci anni. Dal contratto esce rafforzato il modello di scuola, quello democratico e partecipato, disegnato della costituzione e restituisce all’Istituzione scuola il ruolo che la società gli assegna.
 
È importante ricordare che nelle recenti rilevazioni Demos, la fiducia degli italiani nelle istituzioni, pone saldamente la scuola al terzo posto dopo il Papa e le forze dell’ordine; nella stessa rilevazione i sindacati salgono nella fiducia degli italiani e le forze politiche restano posizionati agli ultimi posti. Un fatto del quale la politica dovrà tenere conto. Proprio come è accaduto nel rinnovo del CCNL, si tratta di tradurre da questi avvenimenti la lezione politica per il Paese. Non si tratta solo di restituire al personale la dignità che loro spetta, e che solo il contratto può dare, ma significa rimettere al centro del dibattito le politiche di welfare per garantire diritti universali come salute ed istruzione a cui i cittadini non vogliono rinunciare in nome di un efficientismo di maniera che riporta ogni cosa al mercato e alle sue regole. 
 
Si sa, un mercato senza regole allarga le disuguaglianze, impoverisce larghi stati di popolazione, non dà prospettive per i giovani, criminalizza gli anziani, le scelte politiche decidono di denigrare i pubblici dipendenti trattati da fannulloni; poi si esprime meraviglia, quando il Censis rappresenta la società italiana rancorosa ed arrabbiata, una società che si divide, invece che unirsi, porta in sé i problemi sociali che ogni giorno viviamo e che incidono negativamente sulla percezione di una qualità della nostra vita, sempre peggiore. Il modello di scuola italiano che non ha nulla da invidiare a modelli europei se non per la scarsità delle risorse investite, rappresenta per gli italiani un modello che la identifica come la scuola della Repubblica, dello Stato, aperta a tutte e a tutti, un modello che come sindacato abbiamo voluto definire in un manifesto sottoscritto da migliaia di persone, già prima dell’apertura del contratto la scuola comunità educante, democratica e partecipata, lontana dal modello che ha ispirato la riforma della c.d. “buona scuola”.
 
Il contratto è stato rinnovato avendo come principio ispiratore questo modello di scuola: una istituzione costituzionale, così come la definì Piero Calamandrei. Non scuola di stato, ma dello Stato che con un meccanismo di pesi e contrappesi democratici e di partecipazione, deve garantirne la libertà e l’indipendenza per riconoscere il diritto all’istruzione dei cittadini. Bene, questo contratto, va in questa direzione, restituisce agli Organi Collegiali la centralità che meritano, alla funzione docente il ruolo di specificità che si riflette anche sulle altre professionalità della scuola ed assegna anche un ruolo di partecipazione ad alunni e famiglie. Riprende, in sostanza, il percorso indicato dalla Costituzione che ha fatto della scuola italiana un modello da esportare; molti sono stati, in questi anni di scambi culturali, i sindacati europei che sono venuti a studiare e conoscere il nostro modello di integrazione scolastica: un modello che ci riempie di orgoglio e che rappresenta un esempio da seguire per molti paesi in Europa e nel mondo. Un sistema di integrazione che ha considerato tutti, come persone, con le loro individualità.
 
Questo per tutti: da chi è diversamente abile per problemi fisici, psichici, chi ha altra etnia o cultura. La scuola italiana non ha mai messo fuori nessuno, li ha integrati, li ha messi in condizione di sentirsi parte di una comunità. Probabilmente, è il motivo per cui in Italia non si sono visti i fenomeni terroristici che, invece, hanno caratterizzato altri stati europei che avevano sposato altri modelli, più ispirati alle regole di mercato che tendono ad emarginare e non ad integrare. Bisogna, insomma tornare alla scuola funzione dello Stato e non a quella di servizio a domanda individualizzata che induce ad una competizione ingiusta e precoce che crea divisioni e blocca l’ascensore sociale che ne aveva caratterizzato l’Italia negli anni del boom economico. Purtroppo però la nostra classe politica ed imprenditoriale è più propensa alla omologazione che ad elaborazioni profonde che affondano nel tessuto sociale della nostra scuola, della nostra cultura. Come si può immaginare, è stato questo lo scontro più duro nel rinnovo contrattuale, proprio per questo non ci potevamo permettere il lusso di non firmare questo contatto e presentarci al nuovo Governo e Parlamento senza alcun risultato politico.
 
Sarebbe stato irresponsabile assecondare gli umori, la rabbia piuttosto che considerare le ragioni e gli interessi della Scuola. Certamente, e ne siamo pienamente consapevoli, le risorse disponibili sono insufficienti per compensare un lavoro che diventa sempre più difficile per le profonde trasformazioni sociali, che normalmente entrano nel vissuto delle comunità scolastiche che sono lo spaccato fedele della società, con i suoi mali e con le sue eccellenze. Vogliamo però registrare positivamente che, ancora prima dei riconoscimenti economici e normativo che sono stati coerenti con l’accordo del 30 novembre 2016 tra governo e sindacati, il ruolo del sindacato diviene nuovamente centrale per la gestione e per le scelte politiche, che prima ancora che sindacali, sono di natura culturale. Si tratta di diritti universali che erano stati messi in discussione dalle politiche di questi dieci anni e che con questo contratto ridiventano patrimonio politico dei lavoratori. Ne consegue che per l’importanza dei settori dell’Istruzione e Ricerca di questo nuovo comparto, rivestono per lo sviluppo del paese - che certamente meritano ancora impegni per la valorizzazione - servono modelli condivisi e non calati dall’alto come imitazione di quelli di altri paesi. Cosa che ha comportato la conferma dei diritti e delle prerogative coerenti con l’autogoverno e con l’autonomia delle singole Istituzioni scolastiche, ben presenti nel contratto. Questo contratto pone un’ipoteca forte sulle politiche che, a sentire la compagna elettorale attuale, non sembra siano cambiate, si vuole riproporre la solita ricetta tagli alle spese e si sa sono scuola, sanità e pensioni, in cambio di una riduzione di tasse che serve solo ai benestanti che si potranno pagare istruzione e sanità e magri pensioni integrative. Un ritorno ad un medioevo sociale di una società divisa e disgregata in cui si allargheranno le disuguaglianze… ma questo è compito che lasciamo ai partiti e ai cittadini che li dovranno scegliere per la guida del paese; il nostro lavoro lo abbiamo fatto indicando con questo contratto la strada da seguire. Vediamo gli aspetti politici principali dell’accordo: 1) il contratto rispetta i principi dell’accordo del 30 novembre 2016 e ristabilisce gli equilibri tra contrattazione e leggi, recuperando garanzie che interventi legislativi unilaterali avevano cancellato; 2) ripristina concrete e nuove relazioni sindacali; 3) rinvia il nodo delle sanzioni di sciplinari per i docenti esposti ai rischi di condizionamento con la possibilità di limitare la libertà di insegnamento, ad una successiva sequenza contrattuale. Per noi della Uil Scuola si tratta di una vittoria sindacale di grandissimo peso politico. Il testo firmato prevede: • l’utilizzo di quota parte delle risorse dedicate alla cosiddetta “valorizzazione” per gli aumenti contrattuali. La rimanente parte sarà oggetto di contrattazione a livello di Istituto;
 
• non vi è alcun aumento né di orario, né di carichi di lavoro, né vi è una destrutturazione dell’orario di servizio. Permane la suddivisione delle attività funzionali all’insegnamento, tra le ore “fino a 40 ore” per Collegi e attività collegiali e le altre “fino a 40 ore” per i Consigli di Classe ed interclasse;
• regolata definitivamente la mobilità sia su scuola, sia quella annuale, considerando solo quella su scuola idonea a garantire la continuità didattica; • ripristina nuove e piene relazioni sindacali, sia a livello centrale sia a livello d’Istituzione scolastica. Al contratto di Istituto, saranno inseriti i criteri generali di disconnessione dal lavoro in orario diverso da quello di servizio:
• nelle nuove relazioni sindacali, c’è un concetto nuovo di partecipazione che con il confronto e la contrattazione vera e propria, vuole introdurre e favorire modelli partecipativi in una visone culturale diversa da quella dalla contrapposizione, introdotta dalla legge 107/2015, in estrema sintesi un sistema che vede nella partecipazione quel modello di scuola che abbiamo ampiamento descritto: un passo culturale, non da poco, ma da fare tutti insieme;
• un aumento medio di 96 euro    distribuito tra le fasce di anzianità che sono confermate; • l’indennità di vacanza contrattuale che si aggiunge all’aumento mensile e non si assorbe:
• un sistema perequativo consente alle fasce più basse della scala retributiva, di conservare il beneficio degli 80 euro del Bonus Renzi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Potrebbe anche interessarti: