Cento anni fa finiva la Prima Guerra mondiale: per l’interventista Nenni fu una lezione di marxismo
NOVEMBRE 2018
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Cento anni fa finiva la Prima Guerra mondiale: per l’interventista Nenni fu una lezione di marxismo
di   Antonio Tedesco

 

 

Nel 1965 il vice Presidente del Consiglio e storico leader socialista italiano Pietro Nenni, riceve da Bosio un manoscritto di Nazario Sauro Onofri sul periodo della Grande Guerra a Bologna. Un libro che lo vede protagonista e che gli offre l’opportunità di ripensare ad un periodo difficile e, come spesso accaduto nella sua lunga vita, di fare autocritica: “Caro Bosio, […] non ho giudizi da formulare. Il libro è amaro per me, data la parte che proprio a Bologna ho avuto nella polemica interventista, una polemica che ebbe, dall’una e dall’altra, la durezza spietata e fanatica di una delle epoche più irrazionali della nostra vita nazionale. Ma so per esperienza che i nostri errori ci seguono più dei nostri meriti, se ne abbiamo, e che non si è mai finito di pagare per essi”.

Nel 1914, quando il Vecchio continente stava per precipitare nella più brutale e mortifera guerra della sua storia, Pietro Nenni era un giovane repubblicano di ventitré anni e poteva vantare importanti esperienze nell’ambito politico e giornalistico e una vita molto movimentata alle spalle: arresti, denunce, scazzottate e comizi infuocati contro il re e la Chiesa. Dopo aver lasciato la direzione della Federazione giovanile repubblicana era stato nominato segretario della consociazione del Partito nelle Marche, la più attiva e numerosa del Paese, si era stabilito ad Ancona e dirigeva il giornale anticlericale Lucifero. Era amico del direttore dell’ Avanti!, il socialista Benito Mussolini: una specie di selvaggio dell’eloquenza nervosa e dallo stile originale che fra i socialisti faceva banda a parte, per le sue tendenze anarchicheggianti, per il forte accento anti–monarchico ed anti–statolatra della sua propaganda, per il contenuto spiritualista del suo socialismo e per la sua adesione risoluta all’azione diretta. Aveva condiviso con lui il carcere nel 1911 dopo gli scioperi contro l’impresa coloniale libica del governo Giolitti.

Il 28 giugno del 1914 Nenni seppe dell’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, colpito dalla pistola dello studente serbo Gavrilo Prinzip, dal carcere, arrestato per i fatti della Settimana Rossa ad Ancona. L’assassinio rappresentò il pretesto impiegato dall’impero austro–ungarico per dichiarare guerra alla Serbia, diventando il casus belli della Prima guerra mondiale. L’episodio si innestò in un clima di crescente conflittualità e rivalità tra le potenze economiche europee interessate ad accrescere la propria influenza e le proprie mire imperialiste nell’area del mediterraneo e dei Balcani. Già nella prima settimana di agosto tutte le maggiori potenze erano in guerra. Da una parte gli imperi centrali, Germania e Austria, dall’altra l’Intesa che vedeva alleati l’Inghilterra, la Francia e la Russia.

L’Italia unita agli imperi centrali dalla Triplice Alleanza, non intervenne, forte degli accordi diplomatici che prevedevano la partecipazione alla operazioni belliche solo in caso di aggressione ai danni di uno dei membri. Nenni si schierò convintamente per l’intervento italiano al fianco dell’Intesa, fin dal primo colpo di cannone, ed inviò tramite un secondino, un articolo al giornale Lucifero “Vogliamo la guerra perché odiamo la guerra”,firmato con lo pseudonimo Cavaignac. Alla fine del 1914 Nenni venne graziato dall’amnistia per i reati politici (dopo la nascita di Maria di Savoia) e per l’antimilitarista che si definiva repubblicano e rivoluzionario, nel 1915 la rivoluzione si chiamò con una parola terribile: guerra. L’impegno di Nenni pro guerra fu instancabile: fece decine di comizi in tutto il Paese, scrisse articoli infuocati contro il governo e il re, colpevoli di avere un atteggiamento ambiguo sulla guerra. Nenni vedeva nella guerra all’Austria il completamento dell’Unità nazionale con l’acquisizione di Trento e Trieste.

Fra tutte le possibili soluzioni quella pacifista e neutralista era quella che gli ispirava più orrore, ai suoi occhi “essa equivaleva ad una castrazione della nazione, ad una manifestazione di impotenza e di avvilimento”. Su queste posizioni si incontrarono diversi interventisti democratici come Giuseppe Gaudenzi ed intellettuali del calibro di Gaetano Salvemini e Piero Calamandrei. I socialisti erano in maggioranza contrari all’intervento italiano e indirizzarono la loro azione politica per la neutralità assoluta; poi con l’entrata in guerra dell’Italia l’atteggiamento del Partito passò alla formula voluta dal segretario Costantino Lazzari: ”Né aderire, né sabotare” ciò che voleva dire estraniarsi spiritualmente ma senza creare difficoltà pratiche.

Quando l’Italia dichiarò guerra all’Austria, tre giorni dopo (il 27 maggio del 1915), Nenni si presentò volontario nella caserma Ferretti di Ancona insieme a tanti giovani repubblicani, lasciando a casa l’anziana madre, la moglie e due figliole di quattro e tre anni. Affidò la direzione del Lucifero ad Enrico Sternini ma per Nenni l’esperienza militare iniziò con una grande delusione, la prima di una lunga serie: avendo obblighi di servizio da soddisfare ed essendo stato fissato, nel manifesto generale di mobilitazione, il richiamo della sua classe (1891) per il 1 giugno, gli capitò invece che il suo arruolamento volontario fu riconosciuto irregolare e annullato. Venne pertanto richiamato il 1 giugno e passò al 5° Reggimento da Fortezza, di stanza a Ravenna.

Questo significò che Pietro Nenni fece la guerra da richiamato e non da volontario, particolare non da poco conto per un interventista come lui. Il 17 giugno venne assegnato al 1° Reggimento artiglieria pesante Campale a Casale Monferrato dove ottenne di seguire un corso di osservatore bombardiere e goniometrista. Ma a causa dei suoi precedenti politici e del suo atteggiamento ostile alla monarchia (si rifiutò di giurare fedeltà al re), il suo desiderio di raggiungere il fronte di guerra non fu immediatamente appagato. Inoltre il suo eccessivo ardore patriottico veniva guardato con sospetto dai superiori. Dovette chiedere una raccomandazione al Ministro della guerra, il repubblicano Barzilai, non già per imboscarsi in un ufficio vicino alla sua vecchia madre e alla giovane moglie, che guadagnava il pane facendo la pantalonaia, ma al contrario per andare in prima linea. Il suo ardente desiderio fu appagato solo nel mese di ottobre quando raggiunse il fronte dell’Isonzo, davanti a Gorizia, e prestò servizio agli osservatori di Quota Pelata.

Dalla trincea gli giunse la notizia della nascita della terzogenita a cui fu dato il nome augurale “Vittoria Gorizia” (nata ad Ancona il 31 ottobre 1915), nome che non le porterà fortuna: morirà nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1943. L’impegno e la disciplina di Nenni in guerra fu esemplare mentre si rivelò complicato il rapporto con i superiori e con la rigida disciplina della gerar- chia militare. Segnalato per un corso di ufficiale a Rubignacco sul Cividale si impegnò con grande determinazione ma superato con profitto non ottenne la promozione per colpa dei suoi precedenti politici. Un’altra grande delusione (toccò una simile sorte a Mussolini). A giugno del 1916 grazie al Generale Cappello, che lo aveva preso in simpatia, ottenne la promozione a Sergente. Nell’agosto del 1916 Nenni partecipò alla conquista di Gorizia, nella sesta battaglia dell’Isonzo.

Fu tra i primi soldati ad entrare in città. Dopo un anno di guerra un grave problema all’occhio lo costrinse ad una delicata operazione e a quattro mesi di licenza (che poi sarà prorogata). Durante il periodo di forzato risposo si prese cura della moglie malata e per sbarcare il lunario iniziò a collaborare con Pontremoli e Mussolini nelle redazioni del Giornale del Mattino e del Popolo d’Italia. Tornato al fronte nonostante la sua ferma convinzione interventista provato dalla macabra esperienza che lo mise a tu per tu con l’orrore della guerra e con la morte – indivisibile compagna di quei giorni-, colpito dal dramma della vita in trincea, dal contatto con soldati logorati da mesi di guerra, dalle ingiustizie in seno all’esercito e affranto per la condizione di estrema povertà in cui viveva la famiglia, cominciò a dubitare della fatalità dell’intervento italiano nel conflitto.

Nel novembre del 1917 gli capitò un brutto incidente: un barile di polvere da sparo esplose all’ingresso del suo osservatorio provocandogli forti disturbi nervosi e una forte otite. I medici gli prorogarono diverse volte la convalescenza ma Nenni ardeva dal desiderio di tornare al fronte per dare il suo contributo alla vittoria (e di vendicare la disfatta di Caporetto del 1917) e nel luglio del 1918 rinunciò alla licenza e tornò sulla breccia. La vittoria era vicina ma Nenni improvvisamente il 2 novembre dovette recarsi a Faenza dove la moglie lottava fra la vita e la morte per un pesante attacco di spagnola (che supererà miracolosamente). Appresa la notizia della fine della guerra, il 4 novembre, si recò in fretta a Bologna dove tenne un comizio davanti a migliaia di cittadini festanti.

Nenni era euforico e ardeva ancora di sentimenti patriottici ma dietro l’angolo si celavano amarezze, dubbi e delusioni. Aveva combattuto per diversi mesi, rischiato la vita come milioni di italiani. Aveva visto morire migliaia di soldati e altrettanti feriti o mutilati. Aveva sofferto la fame e il freddo convinto che alla fine della guerra sarebbe sorto dalle ceneri, un mondo migliore. Invece la smobilitazione fu una grande delusione. Il trattamento che ebbero i soldati, alla fine di una lunga e massacrante guerra lasciò l’amaro in bocca: «Un pacco vestiario, una polizza d’assicurazione a venti anni data, un ordine del giorno con la firma del re, furono il viatico col quale soldati caporali sottufficiali di complemento furono rinviati alle loro case, con l’espresso consiglio di parlare il meno possibile della guerra, delle promesse a cui aveva dato luogo, dei diritti della generazione del fuoco che erano serviti di tema per tante inutili chiacchiere».

Il Paese nel dopoguerra era allo sfascio e la povertà dilagava. Tra coloro che avevano sostenuto la “fatalità dell’intervento” per ragioni diverse, ben presto crearono molte amarezze e disillusioni. Quella guerra che per alcuni avrebbe dovuto sconfiggere l’imperialismo si rivelò una “spartizione del bottino” tra imperi. Tanti interventisti avevano visto nella guerra, come Nenni, il completamento delle guerre risorgimentali o la maturazione delle lotte rivoluzionarie condotte all’inizio del secolo ma divenne chiaro ben presto che l’interventismo era stato monopolizzato dalla destra nazionalista per fini di politica interna, di lotta contro il movimento operaio. Il ripensamento critico dall’interventismo fu per Pietro Nenni e per molti giovani un processo “lento, tormentato e tormentoso, pieno di contraddizioni, di un passo avanti e di due indietro”. Nel caos del dopoguerra Nenni si era immischiato anche nella creazione del fascio di combattimento di Bologna - che però non era amato da Mussolini perché a “tinte socialiste e repubblicane” - ma dopo poco comprese la natura reazionaria del nuovo movimento dell’amico di Predappio e ne prese le distanze. Nenni aveva intuito che l’ideale economico delle classi dirigenti si era sovrapposto ad ogni altro ideale di libertà, di uguaglianza, di giustizia in cui gli interventisti tanto avevano creduto.

La conferenza si Versailles era stata iniqua ed aveva svelato il vero volto dell’imperialismo, che celato dietro ai veli menzogneri della difesa della patria, della libertà e della democrazia produceva miseria, disuguaglianze, ingiustizie sociali e guerra. Nenni comprese che il capitalismo aveva un’intima natura brigantesca e che i conflitti armati fossero inevitabili in un regime capitalista: “Oggi non sono più possibili dubbi; il militarismo moderno, questo insaziabile sterminatore d’uomini e di ricchezze, è come l’ombra della grande industria, ne è il baluardo, esso s’accampa potente ai margini del capitalismo e quando la lotta di concorrenza per la conquista dei mercati e il monopolio delle materie prime non è più risolvibile nelle Borse, ecco rombano i cannoni e milioni di uomini sono condotti alla morte. Il capitalismo raccoglie i frutti. Il proletariato paga le spese. Tale l’insegnamento recente” .

Per questo per Nenni la guerra era stata una lezione di marxismo, una lezione che contribuì al suo travaglio interiore che lentamente lo portò ad abbandonare le idee repubblicane tanto a lungo professate. Nenni riconobbe che il suo giudizio sulla guerra era stato provinciale e sbagliato, che non s’era trattato né di una guerra risorgimentale e neppur d’una guerra rivoluzionaria, ma dell’urto di imperialismi eguali e contrari. Gli scioperi agrari di Molinella nell’estate del 1919 gli fecero scoprire la sua intima vocazione: stare dalla parte dei lavoratori. Prese le distanze dal futuro duce Mussolini – con il quale non aveva più nulla da spartire – lasciò il partito repubblicano dopo tanti anni di militanza, avvicinandosi alla lotta di classe e al Partito socialista (si iscrisse nel 1921) divenendo tra i principali protagonisti dell’opposizione al regime fascista.

 

PER APPROFONDIRE:

 

• Tedesco Antonio, Pietro Nenni e la Grande Guerra, Bibliotheka Edizioni, 2018 Fonti bibliografiche:

• Coltrinari Massimo, Le Marche e la Prima guerra mondiale: il 1915. Vol. 1: Sotto attacco: tanto indifese quanto interventiste, Editore Nuova coltura, 2016

• Gerosa, Guido, Pietro Nenni, Longanesi, Milano, 1972

• Nalis Franca, La giovinezza politica di Pietro Nenni, Franco Angeli, Milano, 1983

• Nazario Sauro Onofri, La Grande Guerra nella città rossa. Socialismo e reazione a Bologna dal ‘14 al ‘18, Edizioni del Gallo, Milano, 1966

• Pietro Nenni, Intervista sul socialismo italiano, a cura di Giuseppe Tamburrano, Laterza, 1977

• Nenni Pietro, Lo Spettro del comunismo 1914-1921, Casa Editrice Modernissima, Milano, 1921

• Nenni Pietro, Storia di quattro anni, SugarCo Edizioni, Milano, 1976

• Santarelli Enzo, Nenni, Utet, Torino, 1988

• Tamburrano Giuseppe, Pietro Nenni, G. Laterza Editore, Bari, 1986

• Tedesco Antonio, Vivà la figlia di Pietro Nenni dalla Resistenza ad Auschwitz, Bibliotheka Edizioni, Roma, 2017

• Tedesco Antonio, Pietro Nenni e la Grande Guerra, Bibliotheka Edizioni, 2018

 

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