Un’alta marea solleva tutte le barche?
NOVEMBRE 2018
Attualità
Un’alta marea solleva tutte le barche?
di   Michele Campanaro

 

 

La povertà in Italia ha raggiunto livelli “mai così alti” dal 2005. Secondo dati Istat, la condizione di povertà assoluta riguarda 5 milioni e 58 mila persone, ovvero 1 milione e 778 mila famiglie. L’Istituto Nazionale di Statistica, inoltre, nel dettagliare l’incidenza della povertà assoluta delle famiglie italiane su base geografica, riporta un dato sconcertante: questa interessa soprattutto il Mezzogiorno, dove la percentuale delle famiglie che versano in condizioni di povertà assoluta è il doppio rispetto al resto della penisola.

A questo dato si affianca quello relativo la povertà giovanile, per la quale l’Italia registra i livelli più elevati rispetto a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea. Se da una parte il costo per la presenza dei c.d. neet - acronimo anglosassone di “not engadged in education, employment or training”1 - ha gravi ripercussioni sull’economia del Paese, l’elevato numero di giovani arenati in un limbo di inattività cronica ed il crescente livello di povertà delle famiglie italiane rappresentano soprattutto un dramma sociale, per il quale è doveroso ricercare le cause scatenanti.

Innanzitutto, nell’epoca in cui la ricchezza patrimoniale delle famiglie aumenta, parlare di povertà in termini generici può essere fuorviante. A questo proposito, ed in netta contrapposizione ai dati Istat sopra citati, l’Italia registra una crescita della ricchezza privata delle famiglie che si traduce in circa €5 mila miliardi totali a fine 2017, che raggiungerà quota €7 mila miliardi entro il 2022: cioè, più del triplo del totale debito pubblico che costringe il Paese in una condizione economica stagnante, ovvero il quadruplo del PIL reale annuo.

Se la povertà dilaga in Italia, quindi, è a causa delle crescenti disuguaglianze con riferimento alla distribuzione e gestione della ricchezza, ma non ad una diminuzione di quest’ultima.È pronosticabile, infatti, che il numero di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta raggiunga livelli ancora più elevati dell’attuale 8,3% nel caso in cui non si intervenga, con mezzi leciti e che rispondano al principio di equità sociale, sulla redistribuzione della ricchezza.

A tale fine, in linea con quanto affermato da studiosi del calibro di A. Atkinson, T. Piketty ed il premio Nobel J. Stiglitz, sono necessarie politiche economiche e fiscali che invertano il trend degli ultimi trent’anni: vale a dire, dalla gestione privata, i capitali dovrebbero fluire in direzione del servizio pubblico.

D’altro canto, la teoria utilitaristica per cui la realizzazione di obiettivi di interesse sociale, e quindi comune, passi attraverso la gestione privata delle risorse, è facilmente confutabile attraverso i moderni modelli econometrici. L’implementazione di politiche economiche e fiscali che seguono la logica dello “sgocciolamento” (c.d. trickle down economics), secondo cui l’incentivo all’accumulazione di ricchezza privata produce benefici sull’intera società, attraverso lo sgocciolamento della ricchezza prodotta in eccesso verso i ceti più poveri, è stato dimostrato essere inefficace e controproducente. Tale flusso verticale di capitali implica, infatti, che la proporzione dei benefici che ricade sui ceti meno abbienti sia sempre inferiore rispetto l’ammontare a disposizione dei più ricchi.

In pratica, non è vero che  “un’alta marea solleva tutte le barche”2. Piuttosto, affonda le più deboli. A dimostrazione di quanto sopra, in termini retributivi il mancato sgocciolamento di ricchezza privata si traduce nel gap salariale dei dipendenti di azienda, tra cui risulta quello del direttore commerciale, in media pari a €125.880, e quello dell’elettricista, in media pari a €23.543, con il primo che guadagna cinque volte tanto il secondo, ovvero il 534% in più.

Certamente i compiti, le mansioni e le responsabilità sono ben diversi, ma le crescenti disuguaglianze economiche tra individui (c.d. verticali), hanno avuto implicazioni anche sull’incremento delle disuguaglianze sociali all’interno della collettività (c.d. orizzontali), con quest’ultime che si fondano su distinzioni “culturalmente definite” o “socialmente costituite”: fondate cioè su genere, razza, etnia, religione, sessualità.

Un così elevato gap salariale, infatti, si riproduce tanto nella differenza dei livelli di ricchezza media tra le famiglie del Nord Italia rispetto alle famiglie del Mezzogiorno, quanto nella differenza del futuro trattamento pensionistico per classi di lavoratori e nel gap retributivo di genere, con un divario del 20% tra le retribuzioni degli uomini e quelle delle donne a parità di ruoli. L’aumento delle disuguaglianze è una questione di forte rilevanza a cui solamente una gestione pubblica efficiente può trovare soluzioni efficaci. Quest’ultima, infatti, si dovrebbe assumere l’ònere ed onòre di pianificare ed implementare politiche positive atte a redistribuire equamente tale ricchezza, continuare a crearne nuova, e ostacolare il riprodursi di atteggiamenti discriminatori.

A tal fine, considerando anche la negligenza dimostrata spesso dai governi nella gestione dei fondi pubblici, risulta necessaria la maggiore partecipazione possibile della società civile, quindi dei corpi intermedi che ne rappresentano e sostengono gli interessi comuni. Infatti, rientra nei compiti del sindacato, in qualità di ente riformatore e progressista, quello di sostenere il Governo nella definizione, da una parte, di politiche volte a migliorare la qualità e la stabilità dell’occupazione, attraverso una più equa definizione dei trattamenti retributivi, e conseguentemente pensionistici, ed il superamento delle disuguaglianze di genere, al pari delle discriminazioni di razza, etnia e religione, a partire dal luogo di lavoro. D’altra parte, rientra nei compiti del sindacato sostenere la realizzazione di politiche fiscali il cui obiettivo sia redistribuire più efficientemente la ricchezza tra le classi lavoratrici, ovvero tutti i cittadini.

Il movimento sindacale, quindi, si riappropria oggi della sua originale funzione promotrice di valori comunitari e principi civici a sostegno dei cittadini che vivono l’epoca della “nuova modernità”, della quale le disuguaglianze sono la più importante e distintiva sfida morale ed il lavoro rappresenta la più concreta forma di realizzazione del principio di equità sociale.

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1 Traduzione italiana: “non impegnato/ a in istruzione, lavoro o formazione”.

2 Celebre frase attribuita a J.F. Kennedy, che la impiegò in un discorso tenuto nel 1963. Versione inglese: “A rising tide lifts all boats”.

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