La tutela delle condizioni di lavoro al tempo del coronavirus
MAGGIO 2020
Attualitą
La tutela delle condizioni di lavoro al tempo del coronavirus
di   Grazia Maria Delicio

 

”Grazie ai sacrifici fin qui fatti stiamo riuscendo a contenere la diffusione della pandemia e questo è un grande risultato se consideriamo che nella fase più acuta addirittura ci sono stati dei momenti in cui l’epidemia sembrava sfuggire a ogni controllo. Avete manifestato tutti forza, coraggio, senso di responsabilità, di comunità. Adesso inizia per tutti la fase di convivenza con il virus e dobbiamo essere consapevoli che in questa nuova fase, la fase due, la curva del contagio potrà risalire in alcune aree del Paese. Dobbiamo dircelo chiaramente, questo rischio c’è. Nella fase due quindi sarà ancora più importante mantenere le distanze di sicurezza”.

 

Questo è quanto ha dichiarato il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di domenica sera, annunciando in conferenza stampa1 le misure per il contenimento dell’emergenza Covid-19 nella cosiddetta “fase 2”, a partire dal 4 maggio e per le successive due settimane.

In sintesi:

- oltre alla distanza sociale sarà importante, in questa seconda fase, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale. Proprio su questo fronte, il Presidente ha annunciato la firma da parte del Commissario Arcuri dell’ordinanza che fissa a un massimo di 0,50 euro il prezzo delle cosiddette mascherine chirurgiche;

- gli spostamenti saranno possibili all’interno di una stessa regione per motivi di lavoro, di salute, necessità o visita ai parenti; quelli fuori regione, invece, saranno consentiti per motivi di lavoro, di salute, di urgenza e per il rientro presso propria abitazione;

- sarà obbligatorio l’utilizzo delle mascherine sui mezzi pubblici;

- sarà consentito l’accesso ai parchi pubblici rispettando la distanza e regolando gli ingressi alle aree gioco per bambini, fermo restando la possibilità da parte dei sindaci di precludere l’ingresso qualora non sia possibile far rispettare le norme di sicurezza;

- per quanto riguarda le cerimonie religiose, saranno consentiti i funerali, cui potranno partecipare i parenti di primo e secondo grado per un massimo 15 persone. Inoltre, si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza;

- sono, poi, previste regole più stringenti per chi ha febbre sopra i 37.5 gradi e sintomatologie respiratoria: obbligo di restare a casa e avvertire il proprio medico;

- per quanto riguarda le attività di ristorazione, oltre alla consegna a domicilio, sarà consentito il ritiro del pasto da consumare a casa o in ufficio;

- ci sarà il via libera elle attività manifatturiere, di costruzioni, intermediazione immobiliare e commercio all’ingrosso.

Suddette misure, ad una prima lettura del DPCM2 e all’ascolto della stessa conferenza stampa, appaiono meno strutturate e razionali di quanto non apparissero nella presentazione che lo stesso Presidente del Consiglio aveva fatto il 21 aprile in Senato3.

In quella occasione, il piano presentato appariva una sorta di “staffetta” di riapertura - definita “scientifica” e “strutturata” – da monitorare costantemente, tenendo in considerazione sia l’andamento della curva epidemiologica sia la “capacità” degli ospedali e tenendo conto del rischio di una nuova impennata dei contagi, che potrebbe essere più impegnativa della prima ondata. “La pandemia ha costretto ad adottare misure di estrema urgenza”, questo aveva asserito il Presidente del Consiglio in Senato, presentando il piano del governo per la Fase 2, sotto forma di un programma basato su 5 punti.

Vale a dire:

- mantenere e fare rispettare il distanziamento sociale, promuovere l’utilizzo di mascherine e Dpi fino al vaccino;

- rafforzare le reti sanitarie sul territorio, come arma più efficace per la lotta al virus, con particolare attenzione alle case di cura;

- intensificare la presenza di Covid-hospital per la gestione dei pazienti infetti e ridurre i rischi di contagio nelle strutture sanitarie;

- uso corretto dei test, sia tamponi che test sierologici;

- rafforzamento della strategia di mappatura dei contatti sospetti con l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Ora: a prescindere da quale delle due presentazioni della azione di Governo prediligiamo, non v’è chi non veda, che la Fase 2 non è un “quando” quanto, piuttosto, un “come”.

Si prospetta, perciò, la continuazione di una fase complessa per la generalità dei cittadini, nella consapevolezza - però - che si debba giungere ad un allentamento delle restrizioni, onde fare il possibile per preservare (ma, dovremmo dire, per “recuperare”) il tessuto produttivo rimasto fermo a lungo. Il Paese, cioè, deve riavviarsi e rimettere in moto la produzione e l’economia, per evitare ulteriori e incontrollati effetti sociali, ma deve farlo - senza ombra di dubbio - non facendo pagare alle lavoratrici salute.

Sicché, la ripresa economica dovrà fare riferimento ad alcune condizioni di sicurezza, che non esiterei a definire un “minimo sindacale”, recuperabili:

- nel protocollo già siglato dalle Parti Sociali - su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, condiviso con i Ministeri dello Sviluppo Economico, della Salute, del Lavoro - il 14 marzo, poi integrato con il documento del 24 aprile (tenuto conto dei vari provvedimenti del Governo e, da ultimo, del DPCM 10 aprile 2020, nonché di quanto emanato dal Ministero della Salute), ovverosia il “Protocollo di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID 19 negli ambienti di lavoro” 4

- nel documento predisposto da parte dell’Inail, pubblicato il 23 aprile (Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione) 5;

 - e, con particolare riferimento ai trasporti, nel documento realizzato da Inail in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e approvato dal Comitato tecnico scientifico (Cts) istituito presso la Protezione Civile, pubblicato il 27 aprile (Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive in relazione al trasporto pubblico collettivo terrestre, nell’ottica della ripresa del pendolarismo, nel contesto dell’emergenza da SARS-CoV-2)6

Le “raccomandazioni” contenute nei documenti e protocolli tutti, è appena il caso di precisarlo, lungi dall’essere semplici indicazioni comportamentali per i datori di lavoro, devono essere considerate veri e propri presupposti e prerequisiti per poter tenere in attività una azienda e le stesse - questo sono in pochi ad averlo sottolineato - non potranno che affiancarsi (a volte comprendendole, altre inserendosi in esse) alle regole generali già valevoli in tema di salute e sicurezza del lavoro; tra tutte: l’art. 2087 del c.c., le varie disposizioni del c.d. “Testo Unico Sicurezza” di cui al D. Lgs. 81/2008 e s.m.i., nonché tutte le disposizioni - legislative e non – delle fonti nazionali e internazionali ivi richiamate.

A tal proposito, nella nuova versione del “protocollo delle Parti sociali” si premette anzitutto che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Certo, questa previsione di “sospensione dell’attività” ha una valenza di forte impatto declaratorio ma, dobbiamo essere onesti, richiede strumenti concreti di attuazione per produrre la sua efficacia; strumenti, che - ad una prima interpretazione - rintraccerei:

  1. in uno strumento privatistico e cioè nell’esercizio dell’autotutela: come noto il dovere di tutela di carattere preventivo nell’ambito del contratto di lavoro subordinato è regolato, in via generale, dall’art. 2087 del codice civile che, in combinato disposto con l’art. 1334 c.c. e si traduce in un pregnante obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro. Obbligo, quest’ultimo, dal quale discende un corrispondente diritto soggettivo del lavoratore ad essere impiegato in ambienti di lavoro sani ed esenti da rischi per la sua salute e sicurezza. Il naturale corollario di tale premessa – seppur sinteticamente esposta - è rappresentato dal diritto del dipendente di astenersi dalla prestazione lavorativa senza perciò dover rinunciare alla normale retribuzione o correre il rischio di essere sottoposto a procedimento disciplinare7. Applicata alla eventuale mancata adozione di misure anti-covid, potremmo ipotizzare un esercizio di autotutela collettivo che, di fatto, bloccherebbe/sospenderebbe la produzione;
  2. in uno strumento pubblicistico e cioè nell’intervento della autorità amministrativa, disciplinato dall’art. 14 del D. Lgs 81/2008 e s.m.i.8, che prevede la sospensione nei casi di 1. contrasto al lavoro irregolare e 2. per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in caso di “gravi e reiterate violazioni”9. Sebbene, con altrettanta onestà va detto, ci sarebbe da chiarire la questione della “reiterazione”, posto che la norma la testualizza e parrebbe escluderla, in astratto, in questa ipotesi.

Entrambi gli aspetti meriterebbero un approfondimento, che non posso svolgere in questo contesto di analisi più generale.

Andando, perciò, a valutare il primo documento Inail (Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione) si osserva che lo stesso è diviso in due parti: la prima riguarda la predisposizione di una metodologia innovativa di valutazione integrata, che tiene in considerazione il rischio di venire a contatto con fonti di contagio in occasione di lavoro, di prossimità connessa ai processi lavorativi, nonché l’impatto connesso al rischio di aggregazione sociale anche verso “terzi” (pp. 9-11); la seconda, che si concentra sulle misure organizzative, di prevenzione e protezione, nonché di lotta all’insorgenza di focolai epidemici, che l’imprenditore è chiamato ad adottare onde garantire per quanto possibile un ambiente di lavoro salubre (pp. 11-16).

Questo documento, come tutto il bagaglio conoscitivo e scientifico prodotto in questo periodo di grande fermento, non può che rappresentare una di quelle “misure” che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa” e che “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, ai sensi del 2087 c.c. Peraltro, anche a non voler considerare questi documenti come fonti documentali tecniche (ma così non è), alla luce della sua formulazione aperta, dottrina e giurisprudenza consolidate ormai attribuisco all’art. 2087 c.c. il ruolo di norma di chiusura del sistema prevenzionale e, quindi, operante anche e addirittura in assenza di specifiche regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate. Conseguentemente, risulterebbe in ogni caso la valenza vincolante “minima” di quelle indicazioni.

Sicché, nell’attendere di approfondire i vari documenti, con particolare riguardo al documento dell’ Inail, in questa sede dobbiamo ricordare, che la c.d. “Fase 2” riguarderà sia le attività già aperte sia le attività che dovranno riaprire; in più, si dovranno applicare anche a tutte quelle imprese, che nel frattempo, in deroga ai codici Ateco autorizzati, hanno comunque riaperto con il “via libera” delle Prefetture, a volte solo anche grazie al silenzio-assenso, spesso causato proprio dalle numerose richieste in deroga.

Volendosi cimentare, in un minimo di previsione sui contenuti base, per parlare della futura riapertura delle attività nei luoghi di lavoro, va fatto un cenno alle tre variabili utili, secondo il documento Inail, per la determinazione del rischio da contagio da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro:

  1. l’esposizione, cioè la probabilità di venire in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle specifiche attività lavorative (es. settore sanitario, gestione dei rifiuti speciali, laboratori di ricerca, ecc.);
  2. la prossimità, vale a dire le caratteristiche intrinseche di svolgimento del lavoro che non permettono un sufficiente distanziamento sociale (es. specifici compiti in catene di montaggio) per una parte del tempo di lavoro o per la quasi totalità dello stesso;
  3. l’aggregazione, da intendersi la tipologia di lavoro che per propria specificità prevede il contatto con altri soggetti oltre ai lavoratori dell’azienda (es. ristorazione, commercio al dettaglio,ecc).

Da questi pochi elementi, emerge la fondamentale esigenza di ripensare alla stessa organizzazione del lavoro, perché è incidendo e intervenendo anche sul modo (e non solo sul luogo) in cui si svolge una data prestazione, che possono essere garantite le condizioni minime di sicurezza, basandosi su un approccio sistemico e sistematico, che coinvolga vari aspetti: gli orari, le modalità di ingresso/uscita, le modalità di spostamento e trasporti, ricorrendo - per quanto possibile - allo smart working (che, di fatto, date le limitazioni alla circolazione, in questa fase è un vero e proprio telelavoro dal domicilio) per quelle attività dove non è necessaria la presenza.

Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, che tanto torna utile in termini protettivi della salute dal rischio contagio, va posta particolate attenzione a tutte le questioni collegate, che attengono alla segregazione, allo stress lavoro correlato e alle note questioni delle differenze di genere che, innegabilmente, ancora pervadono la nostra “cultura” sociale e familiare e che vedono - in questi contesti - la donna sempre più gravata dal doppio carico (familiare e di lavoro).

Partendo da questi presupposti, dovremmo ritenere, perciò, che l’approccio non possa che essere triplice:

  1. nuove regole e comportamenti da adottare (interni/ esterni/e dei terzi);
  2. un patto di responsabilità per la sicurezza, che coinvolga anche eventuali imprese terze che entrano in contatto con una data realtà produttiva (es. fornitori, imprese pulizie, spedizionieri, manutentori, ecc) e che consenta di derogare anche ad una serie di norme “protettive” del lavoratore (che allo stato attuale risultano anacronistiche o comunque distorsive);
  3. la ripresa gestita attraverso un percorso condiviso tra datori di lavoro e parti sociali, anche a livello aziendale (per garantire la specificità) e tra tutte le figure del sistema di sicurezza aziendale.

I principali punti da tenere in considerazione, per fare un ragionamento serio, senza con ciò essendo esaustivi, ritengo che siano:

- i trasporti: un esempio, potrebbe essere l’obbligo di guanti monouso e mascherine sui mezzi pubblici e pulizia delle mani prima e dopo l’utilizzo; consigliare - dove possibile - l’uso di bicicletta; o raccomandare la mascherina nell’auto propria, quando vi siano almeno due persone a bordo; ecc. In particolare, si rinvia al “Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive in relazione al trasporto pubblico collettivo terrestre, nell’ottica della ripresa del pendolarismo, nel contesto dell’emergenza da SARS-CoV-2” Inail-ISS;

- la distanza sociale in azienda; che sia fabbrica, laboratorio artigianale o ufficio e se nella riorganizzazione dei processi produttivi questa distanza non potrà essere garantita, l’ipotesi di altre forme di “confinamento” delle persone tra loro, come ad esempio elementi di separazione tra le persone, uso di mascherine FFP2 senza valvola (o due mascherine chirurgiche contemporaneamente) per chi lavora all’interno di uno stesso ambiente. Ove ancora neanche queste forme di confinamento non fossero sufficienti, dovrebbe ipotizzarsi una diversa articolazione dell’orario di lavoro e di produzione, ecc;

- regole ancora più stringenti per i negozi: obbligo di accessi regolamentati e scaglionati con percorsi diversi, se possibile, di entrata e uscita, pannelli di separazione tra lavoratori e clienti alle casse e sui banchi, ingressi per non più di una persona a famiglia (salvo casi di bambini e persone non autosufficienti), obbligo per tutti di mascherine, guanti monouso o comunque pulizia delle mani; la distanza di un metro e ottanta centimetri tra le persone dovrà essere garantita anche nei mercati all’aperto;

- l’obbligo di utilizzo delle mascherine chirurgiche sempre (negli spazi chiusi in presenza di più persone, ma anche negli spazi aperti quando non è garantito il mantenimento della distanza personale), ovviamente fornite dal datore di lavoro;

- la frequente e minuziosa pulizia delle mani, che dovrà essere raccomandata in più momenti dell’attività lavorativa e non solo a inizio turno; gli ambienti dovranno essere sanificati almeno una volta al giorno, pulendo con candeggina o altri prodotti simili porte, maniglie, tavoli e servizi igienici e annotando il tutto su appositi registri;

- dovrà essere garantito, per quanto possibile, anche il ricambio di aria e la sanificazione periodica degli impianti di aerazione, che altrimenti dovranno rimanere spenti; particolare attenzione, poi, dovrà essere garantita alla riorganizzazione del servizio mensa, dove si dovrà prevedere la distanza tra le persone e le sanificazioni dei tavoli dopo ogni pasto;

- l’attenzione particolare alla sfera dello stato di salute dei lavoratori, in particolar modo in presenza di sintomi influenzali: non solo l’obbligo per gli stessi di non recarsi a lavoro, ma anche ulteriori “poteri di controllo” da parte del datore di lavoro, che potrà misurare la temperatura ai dipendenti all’ingresso oppure raccogliere una loro dichiarazione anche riguardo eventuali familiari conviventi.

In particolare, quest’ultimo punto mostra tutta la sua “novità”: per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, si dovrà (e non potrà!) derogare a una serie di norme protettive finora considerate dei totem del diritto del lavoro: le limitazioni poste al potere di controllo e di “indagine” nella sfera personale e di salute del lavoratore, impattando anche questioni attinenti alla privacy. È evidente che si tratta di individuare l’interesse maggiormente meritevole di tutela, che non può che essere la salute del singolo lavoratore e dell’intera comunità di lavoratrici e lavoratori di una data azienda. È chiaro, allo stesso modo, che questa maggiore meritevolezza del diritto-dovere alla salute non potrà mai consentire una illimitata espansione del potere datoriale, necessitando di essere esercitata secondo parametri di ragionevolezza e adeguatezza.

Resta inteso che il lavoratore dovrà essere informato e formato, dovrà essere consapevolizzato, che quel minus in termini di privacy è strumentale alla gestione dei rischi, alla riduzione al minimo delle possibilità che all’interno della unità produttiva (intesa in senso lato) possa entrare un soggetto (in ipotesi, egli stesso) potenzialmente contagioso, con ciò mettendo a repentaglio la salute di tutti. E già: perché il luogo di lavoro deve essere sicuro all’interno ma deve garantire sicurezza anche verso l’esterno. Non può divenire focolaio di contagi. E quindi, per concludere, direi, che nella fase che ci accingiamo a vivere, sarà maggiormente rinforzata la responsabilizzazione individuale (dei cittadini/lavoratori); andrà maggiormente valutata la professionalità e responsabilità datoriale; e dovrà essere fortemente incentivata la collaborazione tra le diverse figure (“attori” li definiscono gli addetti ai lavori) che si occupano della sicurezza sul lavoro. Sarà la fase in cui ci sarà bisogno di investimenti e di risorse, anche economiche, da destinare alla prevenzione. Sarà la fase in cui dovrà emergere la struttura del nostro sistema Paese e la responsabilità politica e di governo. Si tratterà di attingere alle competenze, alle conoscenze, all’esperienza. Si tratterà di recuperare l’etica del lavoro, mettendo la persona al centro. Perché - non dobbiamo avere pudore di apparire nostalgici - “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”

 

1http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglio-VideoNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=multimedia& p=video&id=2157

2DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 26 aprile 2020 Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale. (20A02352) (GU Serie Generale n.108 del 27-04-2020) https://www.gazzettaufficiale.it/ eli/id/2020/04/27/20A02352/sg

3http://www.governo.it/it/articolo/covid-19-informativa-del-presidente- conte-al-senato/14500

4https://www.uil.it/documents/DOC_prot_SICUREZZA2404.pdf

5https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-rimodulazione- contenimento-covid19-sicurezza-lavoro.pdf

6https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-documento-tecnico- trasporto-pubblico-covid-2_6443146338089.pdf

7Tale comportamento, ovviamente in circostanze ben definite e che non siano contrarie alla buona fede del lavoratore, trova la sua legittimazione nella c.d. eccezione di inadempimento espressamente prevista dall’art. 1460 c.c.

8D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - Testo coordinato con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, versione aggiornata a gennaio 2020. https://www.dropbox.com/s/6k31tqw5h3chpx6/TU%2081-08%20 -%20Ed.%20Gennaio%202020.pdf?dl=0

9Al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l’esecuzione dei lavori di cui all’articolo 92,comma 1, lettera e), gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni … in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, adottato sentito il Ministero dell’interno e la Conferenza permanente peri rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale sono quelle individuate nell’Allegato I. Si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell’organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole. una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole. Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate, in attesa della adozione del decreto di cui al precedente periodo, nell’Allegato I.

 

 

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