“Costruiamo il lavoro”
OTTOBRE 2018
Agorà
“Costruiamo il lavoro”
di   S. Pasqualetto

 

In Italia emigrano dal sud al nord, il 30% degli studenti che ogni anno dopo aver conseguito la laurea nelle università statali a carico della fiscalità generale, si spostano verso Nord o verso Paesi dell’Europa. L’ingresso di immigrati in Italia pertanto, non può gestirsi come fatto essenzialmente “politico”. In diversi modi coinvolge questioni che vanno considerate, ponderate, ragionate con coloro che pensano di dare un futuro al nostro Paese. Perché?

Occorono alcune riflessioni sui fatti e sugli avvenimenti che diedero vita alla Costituzione Repubblicana. Nel Meridione d’Italia il lavoro non c’è mai stato o meglio, non si è mai pensato di  realizzarlo delocalizzando le imprese dal nord verso il sud dell’Italia consentendo una normale e pacifica convivenza tra la popolazione, il territorio, le imprese, quale volano di sviluppo delle economie locali. Lo Stato a partire dalla fine degli anni ’50 ed inizio degli anni ’60, ha ‘donato’ alle regioni meridionali, a macchia di leopardo, alcune delle grandi aziende di Stato.

L’ANIC a Gela, il petrolchimico a Priolo Gargallo, la Raffineria a Milazzo e via dicendo. Industrie che avevano necessità di stabilirsi lungo la fascia costiera dell’Isola. In quegli anni, quelle industrie, assorbirono una consistente quantità di forza lavoro. Gli agricoltori abbandonarono le campagne, i pescatori conservarono le reti, i muratori lasciarono l’edilizia e i tanti che dopo la guerra erano riusciti a realizzare piccole attività commerciali, provarono ad entrare nella grande fabbrica per avere uno stipendio sicuro e mensilmente corrisposto. Anche la FIAT a Termini Imerese voluta dal primo Presidente di Sicindustria, fu un grande ‘regalo’ dello Stato verso quella fascia di territorio, assieme ad altre industrie nate attorno alle aree industriali del Palermitano.

Solo a Gela ad inizio degli anni ’60, l’ANIC occupò, tra diretto e indotto, circa 10 mila unità, tanto che il colosso petrolchimico realizzò un villaggio dove i suoi dirigenti abitavano con le loro famiglie e lo chiamò ”Macchitella”. Mise la vigilanza all’ingresso e curando il verde realizzato diede il senso del cambiamento. Per non parlare dell’EMS (Ente Minerario Siciliano), della miniera Pasquasia e della storia mineraria dell’Isola. Di quella storia dell’industrializzazione siciliana e degli uomini che l’avevano ideata, non è rimasto quasi niente, ad eccezione della RESAIS. Qualcuno come Graziano Verzotto affida le sue memorie a un racconto ”Dal Veneto alla Sicilia – Il sogno infranto: il metanodotto Algeria - Sicilia”.

Mentre Mimì La Cavera per affrontare il periodo del suo impegno, dal petrolio dell’ENI di Mattei, passando per l’operazione Milazzo, la SOFIS e la SICILFIAT, affida ad un volume “ Nuvola Rossa” il remember degli avvenimenti. La Raffineria di Gela ha fermi gli impianti, il petrolchimico dell’area siracusana manifesta difficoltà, la FIAT di Termini Imerese ha chiuso i cancelli, la Keller e parte delle imprese della zona industriale del Palermitano, dismesse o inesistenti, Pasquasia in stato di abbandono. In altre parole la Sicilia rischia il “default”, cioè la perdita del tessuto produttivo costruito negli anni che con fatica era riuscito a far conoscere ai Siciliani quel minimo di benessere economico e sociale, consentendo alle singole persone di vivere con la dignità del loro lavoro, la condizione sociale.

Si aggiunga che lo “stato sociale” costruito negli anni dai Governi nazionali e della Regione Sicilia, che aveva sollevato dalla povertà ampi strati della popolazione, ad oggi, è quasi inesistente, anzi le fasce di popolazione a rischio povertà sono in costante aumento. L’Italia non stampa più il denaro necessario alle esigenze del suo Popolo, e l’Europa richiama il nostro Paese al rigore economico e al rispetto dei parametri. Ne consegue che la significativa diminuzione dei trasferimenti dallo Stato alla Regione, alle Province e ai Comuni ha creato notevoli disagi, eliminando, di fatto, la maggior parte di quell’assistenza di cui le persone riuscivano ad avere benefici. Che fare?

Occorre incentivare l’iniziativa privata e l’investimento dei singoli che intendono intraprendere un’attività produttiva e per farlo occorre che lo Stato e le Istituzioni, favoriscano la realizzazione. È arrivato il tempo che ognuno sia dia “verso”. Bisogna partire da un’idea ed essere capaci di trasformarla in fatto concreto. Chiedere l’intervento del sistema bancario a partire dalle Casse Rurali che per fini statutari dovrebbero contribuire a far nascere, incentivare e sostenere iniziative produttive dei territori. Trovato il finanziamento, dar vita a tutte le attività propedeutiche compresa la ricerca di mercato e la verifica delle condizioni di compatibilità. In altre parole, “costruiamo il lavoro” e cerchiamo di realizzare l’idea- progetto che ciascuno coltiva dentro di sé, provando a renderla “concreta”.

Gran parte della popolazione meridionale possiede idee vincenti e se ben programmate, organizzate, supportate, possono diventare volano di sviluppo. Le Istituzioni, nel frattempo, a partire dai Comuni, predispongano uffici che possono contribuire a facilitare l’approccio imprenditoriale per coloro che intendono avviare un’attività e dia loro il giusto supporto per realizzare l’iniziativa. È necessario cooperare con gli altri, senza tanti “gargarismi psicologici” “virate intellettuali”, lasciando alla semplicità delle cose e al buon senso di ciascuno il risultato finale. Siamo in una fase di grande riorganizzazione dello Stato che dura da diverso tempo, facciamo in modo che l’efficienza e la funzionalità dei servizi, sia vicino alle persone. Il successo non è mai un fatto personale, appartiene ad un ‘gruppo’ che prova ad affermare un’idea e se arriva all’obiettivo, allora è certo che nascerà… un’altra Storia.

 

 

*Segretario Regionale Uil Sicilia

 

 

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