Un’alleanza è necessaria per affrontare la preannunciata ed epocale trasformazione del settore automotive del prossimo decennio
GIUGNO 2019
Sindacale
Un’alleanza è necessaria per affrontare la preannunciata ed epocale trasformazione del settore automotive del prossimo decennio
di   Rocco Palombella

 

 

A pochi giorni dalla grandiosa manifestazione dei metalmeccanici siamo ancora più convinti che le ragioni portate in piazza il 14 giugno scorso debbano trovare ascolto da governo e imprese, perché occorre rilanciare al più presto un settore sempre più in crisi. Sono 150 i tavoli di crisi aziendali aperti al Ministero dello Sviluppo Economico e interessano oltre 280mila lavoratori, di cui almeno 90mila rischiano di essere licenziati. Emblematico il caso della Whirlpool che, venerdì 31 maggio, ha annunciato la decisione di chiudere lo storico stabilimento di lavatrici di Napoli, dove lavorano 450 dipendenti. Che a Napoli e più in generale negli stabilimenti italiani ci fossero gravi difficoltà produttive era noto, anzi evidente da tempo, ma solo pochi mesi fa, il 25 ottobre 2018, era stato firmato un accordo al ministero dello Sviluppo economico che quelle difficoltà doveva provare a superarle con nuove allocazioni. Più in particolare Napoli doveva diventare il polo unico per le lavatrici di alta gamma, beneficiando quindi di prodotti attualmente montati a Comunanza (Ascoli), a sua volta compensata con l’arrivo di lava asciuga dall’estero.
 
 
La reazione è stata forte, non solo a Napoli ma in tutte le fabbriche italiane, dove è partita una immediata mobilitazione con l’obiettivo di chiedere alla multinazionale americana il rispetto degli impegni precedentemente assunti. Naturalmente abbiamo chiamato in causa anche il governo, che pochi giorni dopo nella persona del ministro, Luigi Di Maio, ha convocato un tavolo e ha minacciato di chiedere la restituzione di alcuni benefici pubblici in passato ricevuti da Whirlpool. Il 13 giugno siamo finalmente riusciti a riaprire uno spiraglio di dialogo con Whirlpool, sulla base di un presupposto: che l’azienda non si disimpegni da Napoli. Tuttavia sappiamo che non sarà facile passare da una dichiarazione aziendale generica di disponibilità a trovare una soluzione alla risoluzione effettiva della vertenza. Noi abbiamo proposto di valutare l’impatto di un rifinanziamento della cosiddetta decontribuzione dei contratti di solidarietà, che in passato ha con tribuito a risolvere con successo vertenze analoghe, nonché di un abbattimento di quei balzelli che il Jobs Act ha posto a carico proprio delle imprese che, invece di licenziare, provano a evitare gli esuberi attraverso l’utilizzo temporaneo di ammortizzatori sociali.
 
 
Speriamo quindi che al prossimo incontro con Whirlpool, previsto per il 21 giugno alle 10, si possa ragionare su come salvare lo stabilimento di Napoli su queste premesse. La richiesta che facciamo alle istituzioni tutte è di schierarsi al fianco dei lavoratori: Governo, Regione e istituzioni locali possono e devono fare ciascuno la propria parte. Quando si difende il lavoro e il patrimonio industriale non devono esistere divisioni partitiche. I prossimi giorni saranno dunque decisivi: questa vicenda può costituire un precedente assai pericoloso, che dobbiamo provare a scongiurare con tutte le nostre forze. Un altro caso che ha fatto accendere i riflettori su di sé per diversi giorni è stato quello della papabile (e ancora non del tutto sfumata) fusione Fca-Renault. Che un’alleanza sia necessaria è indubbio, per affrontare la preannunciata ed epocale trasformazione del settore automotive del prossimo decennio. Lo impongono la necessità di ingenti investimenti, l’opportunità di penetrare nei mercati in cui oggi si è più deboli e, infine, l’esigenza di trovare un partner con cui creare sinergie nel campo della elettrificazione e magari anche della guida autonoma.
 
 
Tutto ciò sarebbe in effetti garantito da una fusione fra Fca e Renault, specie se anche Nissan alla fine decidesse di entrare attivamente nella partita. Nascerebbe allora il primo gruppo mondiale con ben 15,5 milioni di automobili vendute all’anno, ma anche senza i giapponesi si raggiungerebbero gli 8,7 milioni di vetture e il terzo posto fra i produttori mondiali. Peraltro sono abbastanza differenti i segmenti in cui Fca e Renault eccellono: la casa italoamericana è forte nelle city car e nei Suv, Renault invece nel segmento A e nelle elettriche; Fca ha marchi premium, Renault un marchio low cost; Fca presenta una migliore profittabilità, ma Renault possiede il 43% di Nissan, che a sua volta potrebbe per una serie di ragioni legali riacquisire il diritto di voto all’interno di Renault. Una buona notizia sarebbe anche quella della pariteticità della fusione, poiché smentirebbe le voci di possibile vendita di Fca o comunque di disimpegno da parte dell’azionista di controllo, che resterebbe tale anche dopo l’integrazione. Eppure dal punto di vista italiano e sindacale anche i rischi sono evidenti. Innanzitutto è chiaro che qualsiasi alleanza può comportare ricadute occupazionali negative, in seguito alle così dette sinergie, specie poi se l’alleato è già ben presente in Europa e se c’è una sovrabbondanza di capacità produttiva. Inoltre, lo Stato francese si è sempre dimostrato più attento alla salvaguardia del patrimonio industriale di quello italiano e, come noto, in Renault ha addirittura una grossa partecipazione azionaria. A oggi non sappiamo se e come questa partita ci sarà e come si concluderà. È chiaro però che se dovessero ripartire le trattative vere e proprie dovremo provare ad avere una interlocuzione efficace con i vertici aziendali per verificare che tutto ciò che è stato promesso ai lavoratori venga mantenuto, e non solo nel breve periodo. La fusione con Chrysler mise certamente fine al carattere prettamente italiano di Fiat, ma al contempo ne ha garantito la trasformazione in un grande player globale e si è dimostrata un successo. Probabilmente anche stavolta una alleanza è la migliore risposta a un futuro che nei fatti impone la crescita dimensionale, ma i rischi insiti in una integrazione con la casa francese sarebbero più facili da affrontare se anche l’Italia avesse una politica capace di difendere l’industria nazionale.
 
 
 
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