Il nuovo libro di Antonio Foccillo. Il diario dello sblocco dei contratti del pubblico impiego
LUGLIO 2018
La Recensione
Il nuovo libro di Antonio Foccillo. Il diario dello sblocco dei contratti del pubblico impiego
di   Piero Nenci

 

Anche la Gazzetta dello Sport ne ha parlato, come un avvenimento sportivo di rilievo: “Dopo sette anni di stallo ieri a palazzo Vidoni è stato chiuso l’accordo tra sindacati e governo sul contratto della pubblica amministrazione. Un’intesa che sembra soddisfare tutti, in cui l’esecutivo si impegna nell’arco del triennio 2016/2018 a mettere nel piatto 5 miliardi di euro per i rinnovi contrattuali, con 85 euro di aumento medi per 3,2 milioni di dipendenti pubblici”. Quel ‘ieri’ era il 30 novembre 2016, appena quattro giorni prima del famoso referendum (4 dicembre) col quale gli elettori italiani hanno bocciato la gestione Renzi. Per cui non sono mancati i cronisti che hanno sottolineato anche “la valenza politica dell’accordo”. Al sindacato questa valenza importava meno: abbiamo raggiunto “un primo importante risultato che premia la mobilitazione dei lavoratori pubblici di questi anni e lascia alle spalle una stagione di legislazione punitiva del lavoro pubblico” (Cgil); “con questa firma abbiamo cambiato le regole del gioco: da qui in avanti, come nel privato, saranno le parti a decidere le materie da regolare con la contrattazione” (Cisl); “si apre una stagione nuova che riconosce il valore del lavoro pubblico e valorizza le professionalità” (Uil). Perché una “stagione nuova”? È quello che racconta questa Cronaca dei dieci anni più lunghi del sindacato nel pubblico impiego scritta da Antonio Foccillo, responsabile di questo settore per la Uil e docente di Diritto del lavoro pubblico. Una vicenda che ha del romanzesco perché “i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno sempre avuto una posizione di aggressione nei confronti dei lavoratori pubblici, convinti che l’opinione pubblica avrebbe apprezzato, anche in termini elettorali, questo atteggiamento di scontro”.

Situazione davvero paradossale: chi dirigeva lo Stato considerava i suoi dipendenti/collaboratori come persone inaffidabili, da tenere a distanza, guardare con sospetto. Dopo la piena contrattualizzazione raggiunta col governo Amato, il primo denigratore del pubblico impiego fu il ministro Renato Brunetta (governo Berlusconi) partito lancia in resta contro i nullafacenti, che non perdeva occasione per dare addosso ai nostri statali trattandoli da fannulloni e assenteisti. La cura che proponeva per risanare il settore era il licenziamento. Poi il governo Monti che continua sulla linea di non rinnovare i contratti e intende espellere tutto il personale precario: vara un codice di comportamento per i dipendenti pubblici addossando loro ogni responsabilità del cattivo funzionamento della macchina statale, quando i vari mali dell’amministrazione pubblica sono invece gli sperperi, le spese gonfiate, gli abusi, la corruzione. In seguito arriva il governo Letta: si fa un gran parlare sul fatto che le retribuzioni della P.A. sono cresciute più dell’inflazione, per cui la Uil ribatte con i dati sull’inflazione ormai ridotta ai minimi termini e sul calo del potere d’acquisto delle famiglie. Comunque il governo dice di non avere i fondi necessari per i rinnovi contrattuali che vengono di nuovo spediti al futuro.

Anche se l’allora ministro D’Alia afferma che i “pubblici fannulloni” sono calati di 300 mila unità e che “il settore pubblico sta contribuendo in maniera sensibile alle politiche di razionalizzazione della spesa per uscire dalla crisi”. Stanchi di tante manfrine i sindacati chiamano i lavoratori alla mobilitazione unitaria che avviene il 22 giugno 2014, manifestazione pienamente riuscita che però non ottiene risultati pratici per un avvio di trattative per i nuovi contratti. Nuove speranze quando a palazzo Chigi si insedia il governo Renzi e il ministero passa nelle mani di Marianna Madia la quale sostiene che la contrattazione deve essere sbloccata. Invece il governo decide altrimenti, prende tempo e taglia con mano pesante le prerogative sindacali (distacchi e permessi). “Si continua a parlare di riforma del settore ma che razza di riforma sarebbe – obietta la Uil – una manovra che si accanisce contro i lavoratori pubblici e determina aumenti nella tassazione? Si continuano a chiedere sacrifici e non si rispettano i diritti dei lavoratori”. Il governo Renzi procede per la sua strada sicuro di saper varare una riforma del settore pubblico che piacerà a tutti ma per farlo si guarda bene dal consultare i diretti interessati e nel frattempo i rinnovi contrattuali vengono di nuovo rinviati. Il segretario Uil Antonio Foccillo batte e ribatte che il rinnovo contrattuale è “obiettivo irrinunciabile” e che verranno messi in campo “tutti i mezzi di pressione disponibili” da parte delle organizzazioni confederali. Entra poi in gioco l’Avvocatura dello Stato con un parere scoraggiante: se gli statali volessero recuperare la perdita del potere d’acquisto causata dal blocco del rinnovo dei salari bisognerebbe trovare 35 miliardi di euro. Finalmente la sentenza della Corte Costituzionale del 24 giugno 2015 che conferma che il blocco dei contratti è una violazione della libertà sindacale. Tuttavia questa pronuncia non avrà valore retroattivo.

A fine settembre Cgil, Cisl e Uil premono per l’apertura formale della contrattazione ma passa ancora del tempo e a metà dell’anno successivo continuano solo le schermaglie e le fasi preliminari. Finalmente il 23 giugno 2016 la ministra Madia annuncia che convocherà i sindacati per l’apertura della contrattazione vera e propria. Il 30 novembre – scrive l’autore – si riesce a raggiungere, dopo una faticosa ed estenuante trattativa, un accordo che ripristina il ruolo del sindacato, riconosce il valore del lavoro pubblico e ne valorizza le professionalità. È stato riconosciuto, per la prima volta da parte di questo governo, la partecipazione del sindacato ai lavori del nuovo Testo unico. Finalmente si è tornati a parlare dei lavoratori pubblici come “il motore del buon funzionamento della pubblica amministrazione”. Non solo: finalmente l’esecutivo “ha abbandonato l’autoreferenzialità che lo aveva caratterizzato per intraprendere la via del confronto fra le parti”. Questa “svolta” è stata colta nel suo pieno significato da tutto il mondo dei media e l’autore ne dà un’ampia informativa ragionata, una specie di diario che attualizza l’avvenimento. Ci siamo dilungati soprattutto sulla lunga e difficile fase del blocco della contrattazione dei pubblici dipendenti e sui molteplici tentativi delle organizzazioni sindacali per superarlo perché davvero ha del romanzesco e Antonio Foccillo ne ripropone le varie fasi, con una specie di diario che ha l’efficacia di un racconto giallo. Che sta anche a dimostrare quanto sia arduo far riconoscere dalla mastodontica macchina dello Stato, troppo spesso inceppata da fitti legami di prerogative e sottogoverno o fuorviata da pregiudizi di carattere ideologico e politico, i più semplici diritti delle persone.

Dopo lo sblocco la contrattazione procedette lungo le linee di una sperimentata procedura. Questo libro racconta insomma la lunga maratona dei contratti dei quattro nuovi comparti del pubblico impiego rimasti fermi dal 2008. Dopo la positiva conclusione, la ministra Madia si dichiarò soddisfatta e le organizzazioni sindacali espressero la soddisfazione per aver terminato un buon lavoro. “Ha vinto il senso di responsabilità di tutti – dice l’autore –. Si chiudono i dieci anni peggiori dell’attività sindacale nel pubblico impiego, mettendo fine alla riforma Brunetta che aveva riportato le materie della contrattazione sotto la legge e capovolgendo l’impostazione dello stesso governo Renzi intenzionato a modificare il Testo Unico del pubblico impiego con misure penalizzanti nei confronti dei lavoratori pubblici”. Nella prefazione al volume il professor Mario Ricci-ardi (università di Bologna), dice che questo libro offre, “un’analisi che, oltre al merito di riportare alla memoria una serie di passaggi spesso dimenticati, aiuta a capire a che punto si è arrivati e perché.

Comincia infatti alla metà dello scorso decennio un’attività di delegittimazione del lavoro pubblico, della riforma che lo riguarda, dei sindacati, le cui origini e le cui ragioni non sono – ovviamente – causali ma prendono spunto da qualche episodio e da alcune oggettive contraddizioni per gettare discredito su tutta la costruzione riformatrice. L’opera di delegittimazione di cui lo scomposto vociare sui fannulloni è stata la manifestazione più populista nasce in realtà da una ideologia che demonizza tutto ciò che è pubblico”. La vera svolta restauratrice della pubblica amministrazione “sarebbe derivata dal rozzo ed efficace blocco della contrattazione intimato dal ministro dell’economia”. E la Corte Costituzionale, se ha giustificato il blocco contrattuale per motivi di equilibrio economico, l’ha poi definito illegittimo perché il suo protrarsi finiva per colpire il principio di libertà sindaca-le. L’accordo poi raggiunto il 30 novembre 2016 ha quindi riaperto la strada alle relazioni industriali.

 

 

 

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