Un meridione che rinasce, per l’Italia che vogliamo
OTTOBRE 2018
Sindacale
Un meridione che rinasce, per l’Italia che vogliamo
di   Ivana Veronese

 

Pensare al Sud dell’Italia è un pò come pensare all’intero Paese. Ragionare sulle difficoltà, sui limiti al suo sviluppo, sulle incrostazioni di decenni di politiche di annuncio puntualmente disattese, vuol dire ragionare su quello che è diventata, o corre il rischio di diventare, l’intera Italia. Dibattere come invertire le condizioni e che politiche adottare per far ripartire il Mezzogiorno è indispensabile per rimettere in moto l’economia, l’occupazione, lo sviluppo dell’intera Nazione. Infatti: il Mezzogiorno rappresenta in maniera amplificata le difficoltà del nostro Paese nella competizione internazionale e nel confronto con gli altri Paesi Europei.

 

Diamo un’occhiata ai numeri

I divari di crescita all’interno dell’area euro nel 2017 appaiano ridursi, ma rimane un’ampia forbice: secondo i dati elaborati dalla SVIMEZ, nel 2017 il Prodotto Interno Lordo (PIL) è aumentato nel Mezzogiorno dell’1,4%, con un incremento rilevante rispetto al 2016 (0,8%). La crescita è stata solo marginalmente inferiore rispetto al Centro-Nord (1,5%), ma ciò non significa che l’economia del Mezzogiorno abbia messo alle spalle gli effetti della lunga crisi economica. Dal 2008 al 2014 l’economia del Sud d’Italia ha conosciuto sette anni di recessione interrotta e l’ultimo triennio (2015- 2017) di crescita, sconta un forte ritardo non solo dal resto dell’Europa, ma anche dal resto del Paese: il PIL nel 2017 rispetto al 2008 è ancora inferiore di dieci punti percentuali, a fronte di quello registrato nel Centro-Nord (-4,1%), mentre la zona euro, nello stesso periodo, è cresciuta del 6,2% e l’Unione europea del 8,4%. Certo, non è solo il Sud Italia a soffrire in Europa, molte altre sono le zone economicamente in difficoltà. Ma, nel periodo 1999-2017, il tasso di crescita medio annuo del PIL delle altre regioni europee in ritardo è stato del 3,3%, mentre quello delle regioni meridionali è rimasto all’1% annuo.

Le cose non vanno bene, tanto per cominciare, sul versante del lavoro: il tasso di occupazione è tra i peggiori d’Europa (nel secondo trimestre 2018 è al 45,3%), con un dato drammatico che riguarda l’occupazione femminile (33,7%) e l’occupazione giovanile (11,8%); mentre il tasso di disoccupazione è al 18,4%, molto lontano dal 12% del 2008. L’occupazione, per la verità, sembra essere un po’ ripartita e torna sopra la soglia dei sei milioni di occupati (6,2 milioni nel secondo trimestre del 2018), ma resta di oltre 145 mila sotto il livello del 2008. Occupazione con timidi segnali positivi, che però non ha avuto un impatto significativo sulle emergenze sociali, con la povertà che resta su livelli altissimi: il 10,3% delle famiglie è in condizione di povertà assoluta, a fronte del 6,9% del dato nazionale; le famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa sono il 24,7% nel Mezzogiorno, a fronte di una media nazionale del 12,3%. Nel 2016 sono incrementati gli investimenti privati, trainati, soprattutto, del Credito di Imposta Investimenti nel Sud, mentre sono tornati a calare gli investimenti pubblici dopo l’incremento del 2015, dovuto, però, alla chiusura del ciclo di programmazione 2007-2013 dei Fondi Comunitari. Una cosa è certa: negli ultimi anni nel Mezzogiorno vi è stato un sostanziale e graduale abbassamento dei trasferimenti in conto capitale.

Ecco i dati sui Conti Pubblici Territoriali del Settore Pubblico Allargato, aggiornati al maggio 2018: una spesa nazionale che si attesta a 14.567 euro pro capite, con una netta differenziazione tra le varie aree del paese (15.802 euro nel Centro-Nord, 12.222 euro nel Mezzogiorno). Vi è, peraltro, una crescita della spesa nazionale interamente dovuta all’incremento della spesa corrente (+3,7% a livello nazionale; +3,8% nel Centro- Nord; +3,4% nel Mezzogiorno), a fronte del quale rimane rilevante la caduta della spesa in conto capitale. Ancora, il 71,2% per cento della totalità della spesa del Settore Pubblico Allargato in Italia, pari a circa 855 miliardi di euro continua ad essere concentrato nelle regioni del Centro-Nord e solo il 28,8% è allocato nel Mezzogiorno (nel 2000 era al 31,4%). A fronte di una popolazione pari rispettivamente al 65,6% e al 34,4%.

 

È indispensabile intervenire!

Un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno assume, dunque, carattere di particolare urgenza e, affinché abbia sostenibilità nel tempo, non può prescindere dalla posizione dell’area proiettata al centro del Mediterraneo. Deve trattarsi di una “crescita nella legalità” e ciò richiede da parte delle amministrazioni pubbliche e delle parti economiche e sociali un impegno straordinario. Il tema del rilancio dell’economia del Sud non può dividere la politica (nazionale e locale), le forze sindacali e datoriali, ma viceversa deve unire. Come ogni anno ci vuole la tradizionale anticipazione, di fine luglio, del rapporto SVIMEZ per far riemergere dalle ceneri il tema della crescita del meridione. Quest’anno in questa occasione come UIL abbiamo sostenuto che sarebbe opportuno che lo sviluppo del Mezzogiorno non rimanesse un tema da affrontare come ogni anno “sotto l’ombrellone”, ma con provvedimenti concreti. Perché, senza impulsi al rilancio del Sud, l’Italia rimarrà zavorrata. Credito di imposta occupazione e investimenti al Sud, nuove e rinnovate politiche industriali, avvio concreto delle Zone Economiche Speciali (ZES), investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, fiscalità di vantaggio o produttiva, programmazione attuale e futura dei fondi comunitari sono il fulcro, per noi, per un nuovo “New Deal” per il Mezzogiorno. Questo richieste le abbiamo presentate alla Ministra per la Coesione Territoriale e Mezzogiorno, Barbara Lezzi, durante un primo incontro nel mese di agosto.

 

Le ricette del Sindacato

Ci hanno pensato gli esecutivi unitari di Cgil, Cisl e Uil di metà ottobre (e la vasta campagna di mobilitazioni attorno alla Legge di bilancio che ne è seguita) a mettere a punto un’analisi più circostanziata ed una serie di proposte del Sindacato. Secondo noi il rilancio del Mezzogiorno richiede con urgenza una politica economica espansiva e capace di far ripartire la produzione e i servizi e generare quel processo di ridistribuzione della ricchezza che è mancato in questi anni. Ed il rilancio al sud non può essere demandato solo e soltanto ai fondi comunitari e al fondo sviluppo e coesione (peraltro quasi integralmente assegnati e programmati). Abbiamo anzitutto chiesto il rispetto della clausola per la ripartizione territoriale dell’80% al Mezzogiorno del Fondo Sviluppo e Coesione e la possibilità di far assumere anticipatamente alle amministrazioni pubbliche impegni di spesa giuridicamente vincolanti.

Vanno garantiti i trasferimenti in base alla percentuale della popolazione residente, come stabilito nella scorsa legislatura, estendendo questa previsione al Settore Pubblico allargato (Ferrovie dello Stato, Anas, ecc.), assicurando così il ripristino dell’equità nei trasferimenti e restituendo alle politiche di coesione un carattere di effettiva addizionalità. Riteniamo indispensabile un piano di investimenti su opere infrastrutturali, completando alcuni grandi assi stradali e ferroviari e investendo per realizzare una rete intermodale che connetta efficacemente territori e persone da e tra le diverse aree del Mezzogiorno, con una particolare attenzione alle aree interne. Certo, aggiungiamo qui, occorre pensare a concentrare le risorse su qualificanti opere pubbliche prioritarie, di rapida cantierizzazione, nella logica della costruzione di reti. Gli investimenti devono, inoltre, essere orientati alla prevenzione, alla manutenzione e messa in sicurezza del territorio e degli edifici, alla infrastrutturazione energetica e digitale. Ma dobbiamo anche investire in direzione del sociale: sanità, servizi sociali e istruzione sono una precondizione indispensabile per determinare una dinamica di sviluppo. È necessario, infatti, migliorare i servizi alle persone ed alle imprese potenziando la ricettività degli asili nido, l’assistenza domiciliare integrata alle persone non autosufficienti, il ciclo integrato dei rifiuti e idrico, il sistema  istruzione, la ricerca e università.

Occorre, secondo il sindacato, prevedere incentivi selettivi per stimolare gli investimenti privati in settori strategici, da cui può derivare anche una occupazione di qualità. Nel nostro Mezzogiorno va aumentata l’intensità d’aiuto alle imprese che investono in innovazione di processi e prodotti, vanno previsti incentivi per l’innovazione, la ricerca e la formazione del Piano Impresa 4.0, occorre confermare e migliorare il “Bonus occupazione Mezzogiorno”, va prorogato a favore delle aziende il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali. Aziende insediate nel Sud del paese che vanno aiutate a crescere e favorite nell’accesso al credito, puntando a ridurre il divario di costi rispetto al centro-nord. Noi avvertiamo la necessità di intervenire per salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo e l’occupazione industriale nelle regioni meridionali ed impedire che continui la fuga della grande industria manifatturiera.

D’altra parte, può uno Stato abdicare al suo ruolo di programmare e indicare una via per una politica industriale? A trent’anni dalla fine dell’intervento straordinario nel Sud con la chiusura della Cassa del Mezzogiorno, vorremmo con schiettezza e con una buona dose di pragmatismo iniziare ad affrontare il problema della competitività e dello sviluppo del Sud. Ci attendiamo, già in questa legge di impostazione dell’economia per l’anno a venire, una sostanziale semplificazione delle normative e delle procedure per rendere operative le Zone Economiche Speciali, “luoghi di vera ripartenza” dove va garantita la qualità del lavoro, la tutela dell’ambiente e il diritto fondamentale alla salute e sicurezza. Ci riempiamo tanto la bocca sugli obiettivi strategici per la ricerca pubblica e private (università, enti pubblici di ricerca ed imprese): potremmo partire dalla revisione dei parametri utilizzati per distribuire risorse alle Università, ovviando al sotto- finanziamento degli atenei meridionali registrato negli ultimi anni.

Dal momento che la Pubblica Amministrazione rappresenta, essa stessa, un volano di crescita ed uno strumento per accompagnare e favorire la ripresa economica, chiediamo da tempo un rafforzamento delle amministrazioni pubbliche in termini di personale e competenze: un piano straordinario di assunzioni, anche eccedendo il solo turn-over. Anche in questo modo si consolidano le politiche per la sicurezza (per ripristinare nei territori del Sud la presenza di uno Stato più forte in tutti gli aspetti della società civile), si contrasta il lavoro irregolare, si combatte in modo più efficace la criminalità, organizzata o piccola che sia, per la lotta all’illegalità ed il rispetto civile delle regole. È pertanto necessaria, secondo la UIL, una riflessione culturale e politica nel segno di una forte discontinuità con il recente passato: si tratta di superare il, seppur importante, fattore del “divario PIL” come motivazione di fondo e base di riferimento, per affrontare le vere questioni del ritardo del Sud in termini di “comunità”, di “ruolo delle istituzioni”, di “reindustrializzazione manifatturiera”, di “infrastrutturazione sociale”. Serve una nuova Agenzia o Ente, che abbia come “mission” la programmazione di politiche industriali nel meridione, coordinandosi con la Cassa Depositi e Prestiti. Questa è oggi, secondo noi, la grande questione: i temi legati alla mancanza del lavoro, del basso reddito, la carenza di infrastrutture, la mancanza di regole, la diffusa illegalità, il rafforzamento delle mafie.

 

Cominciare dai giovani, cominciare dalla scuola

Si tratta, in buona sostanza, sul meridione come su altri versanti dell’attenzione del sindacato di realizzare una forte discontinuità culturale e politica. È importante concentrarsi sul tema del cambiamento culturale, soprattutto, dei giovani del Sud per tentare di sradicare quel concetto di “furbizia” nell’aggirare le “regole”, che spesso poi si incammina nell’illegalità. Saranno i ragazzi a salvare il Sud. Proprio quei ragazzi colti e formati che cercano in altre zone d’Italia e all’estero possibilità occupazionali e qualità della vita che lì non trovano. Proprio quei ragazzi per i quali non dobbiamo essere noi a scrivere il futuro, ma per i quali certamente ci dobbiamo impegnare affinché essi stessi si cimentino in questa impresa e con questa prospettiva. Cominciando dalla scuola. E qui è fondamentale concentrarsi su un’azione cardine che riguarda il contrasto alla dispersione scolastica. Questo tema, infatti, pur essendo area tematica comune all’interno dell’Unione Europea per il ciclo di programmazione 2014-2020 dei Fondi Strutturali e di Investimento Europei, nel nostro Paese ultimamente è scomparsa dai radar.

Un fenomeno questo che, per onestà intellettuale, riguarda tutto il Paese, ma al Sud vi è un’accentuazione. Gli ultimi dati riferiti al 2016, indicano un tasso di dispersione scolastica al 13,8%, contro il 20,8% di dieci anni fa, ma ancora lontano dell’obiettivo di Europa 2020 (10%). Restano, però, forti squilibri territoriali con alcune regioni meridionali (Sicilia, Campania, Sardegna) al di sopra della media nazionale. Qui dobbiamo indirizzare le risorse ordinarie e dei fondi comunitari compreso il rifinanziamento del Programma dell’Iniziativa Occupazione Giovanile (Garanzia Giovani). Perché il tema della dispersione scolastica è un tema connesso alla disoccupazione, alle situazioni di esclusione sociale e alla povertà, ma sono presenti anche motivazioni che nascono da questioni personali o familiari, da difficoltà nell’apprendimento e, più in generale, da come è organizzato il sistema dell’educazione scolastica. Per questo, le risposte al fenomeno della dispersione non possono essere di un unico genere ma, per contrastare e diminuire la gravità del problema, le iniziative devono essere molteplici e rivolte alle “policies” educative e sociali, del lavoro e della salute.

Riporto qui, questa osservazione finale sulla scuola, giusto per fare un esempio di come le politiche complessive sono tutte fra di loro raccordate, di come “tutto si tiene con tutto”. Dobbiamo, allora, quando parliamo di Meridione ripartire con determinazione, con lucidità di analisi e chiarezza nelle proposte, con fantasia nella ricerca di possibili soluzioni ai tanti problemi accumulati nel tempo, anche con entusiasmo e con passione. Avendo chiaro in testa un passaggio di concetti ed un radicale cambiamento di impostazione: dal “come potremmo farcela?” al “ce la dobbiamo assolutamente fare”. Perché l’Italia senza il suo Mezzogiorno, le sue tradizioni, le sue ricchezze, la sua cultura, le sue genti, il suo benessere, la sua felicità, non è l’Italia che vogliamo.

 

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