La relazione  - Guglielmo Loy
Migranti, Commissione d’inchiesta: potenziare accoglienza, rimpatri inefficienti
Il sistema dei rimpatri in Italia non funziona
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16/02/2018  | Immigrazione.  

 

Di Andrea  Gagliardi, http://www.ilsole24ore.com/

 

Roma, 15 febbraio 2018 - Il sistema dei rimpatri in Italia non funziona. Lo certifica la Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione ed espulsione dei migranti, che nella sua relazione finale sul sistema di protezione e di accoglienza dei richiedenti asilo, mette nero su bianco nelle sue conclusioni che «oltre alle iniziative volte a potenziare le misure di accoglienza e di integrazione dovrebbero essere rafforzate le misure di rimpatrio (sia quello volontario assistito che, in secondo luogo, quello forzato) nei confronti di coloro a cui non viene riconosciuta alcuna forma di protezione».  Leggi qui

 

Rimpatri stabili negli ultimi anni L’inefficienza del sistema sembra essere confermata dai dati forniti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza (Direzione Centrale dell'Immigrazione) del Viminale: nel 2015 su 34.107 stranieri rintracciati in posizione irregolare quelli effettivamente allontanati sono stati 15.979 di cui rimpatriati 5.505; nel 2016 su 41.473 stranieri rintracciati in posizione irregolare quelli effettivamente allontanati sono stati 18.664 di cui rimpatriati 5.817; alla data del 31 ottobre 2017, su 39.052 stranieri rintracciati in posizione irregolare quelli effettivamente allontanati sono stati 17.163 di cui rimpatriati 5.278. 

 

La mancanza di accordi con i Paesi di origine

 

 La commissione segnala come il problema principale nel funzionamento del sistema dei rimpatri è quello della mancanza di accordi con i Paesi di origine degli stranieri irregolari (ne sono stati firmati con Egitto, Nigeria, Marocco e Tunisia, ndr) . E ricorda che l’attuale Governo ha dichiarato la volontà di muoversi, «anche unilateralmente, per raggiungere accordi di rimpatrio con paesi all'origine dei flussi migratori». Molto importanti in tal senso l’accordo raggiunto dall'UE con il Niger ed il rinnovo dell'accordo risalente al 2011 con la Tunisia. Altro punto critico, prosegue la Commissione, è poi quello dei «costi» dei rimpatri, anche in termini di risorse umane. «Sforzo solo in parte attenuato - si legge - dalla politica dei rimpatri congiunti gestiti dall'Agenzia Frontex». 

 

La carenza di posti nei centri di trattenimento

 

Resta, inoltre, il dato oggettivo della carenza di posti disponibili negli centri di trattenimento. A tale problema si è cercato di dare una risposta con il decreto-legge n. 13 del 2017, convertito in legge n. 46 del 2017. L'articolo 19 oltre a ridenominare «Centro di permanenza per i rimpatri» (Cpr) gli ex Centri di identificazione ed espulsione – (Cie), prevede l’ampliamento della rete, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull’intero territorio nazionale. Le intenzioni del Governo, così come espresse dal ministro dell’Interno Minniti nel corso dell'audizione del 22 febbraio 2017, sono di «creare dei centri destinati agli irregolari che, pur incensurati, risultino pericolosi». I centri dovrebbero essere «di piccole dimensioni e dislocati uno per regione, per una capienza complessiva di 1600 posti». Alla data del 22 novembre 2017 alla funzione di Cpr, però, non sono stati adibiti nuovi centri, ma solo riconvertiti ex Cie . In particolare, sono attualmente agibili quelli di Brindisi, Caltanissetta, Roma e Torino, per una capienza effettiva di 374 posti. 

 

Respingimenti alla frontiera inefficaci

 

La commissione d’inchiesta segnala anche che i respingimenti alla frontiera, eseguiti dalle forze dell’ordine a carico degli stranieri che si presentano ai valichi senza avere i requisiti richiesti, sono stati 10.496 sempre nel periodo gennaio-ottobre 2017. E critica l’inefficacia del provvedimento con intimazione a lasciare il territorio entro sette giorni per gli stranieri trovati in posizione irregolare. Questa prassi, evidenzia la relazione, «determina l’aberrante conseguenza di creare una massa enorme di irregolari, privi di qualunque forma di assistenza, che si trovano, in molti casi, nella effettiva impossibilità di ottemperare al provvedimento e che lo Stato non è in grado di espellere materialmente». 

 

Sistema di accoglienza da ritarare 

 

Il documento non risparmia infine strali al sistema d’accoglienza, specie per il «massiccio e patologico ricorso alle strutture temporanee (Cas)». All’1 dicembre 2017 il numero dei richiedenti asilo accolti nei Centri di accoglienza straordinari è pari a 151.239 (circa l'81% del totale, che è 186.833). Mentre «del tutto insufficiente si è rivelata, invece, la disponibilità di posti nelle strutture governative di prima accoglienza che, addirittura, hanno visto diminuire la loro ricettività (-27,92%)».  Solo un richiedente asilo su sei in Italia usufruisce dei servizi di «accoglienza integrata» del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) gestito dagli enti locali e finanziato dal ministero dell'Interno: dall'assistenza sanitaria alle attività multiculturali; dall'inserimento scolastico dei minori alla mediazione linguistica e interculturale; dall'orientamento e informazione legale all'inserimento lavorativo, ai tirocini, ai corsi formazione. Non a caso un’altra criticità rilevata dalla Commissione è la mancanza di «fluidità» nel passaggio dalle strutture di prima accoglienza a quelle di seconda legata essenzialmente alla carenza di posti nel servizio Sprar (31.270 a novembre 2017). E si fa rilevare che «la mancanza del necessario turn over, unitamente all'incremento esponenziale degli arrivi dei migranti verificatosi nell'ultimo quadriennio, determina la saturazione e l’eccessiva permanenza dei migranti nelle strutture di prima accoglienza senza, quindi, possibilità per molti di essi di accedere concretamente a quei percorsi personalizzati di integrazione assicurati nelle strutture di seconda accoglienza, che dovrebbero garantire l'inclusione socio-lavorativa nel nostro Paese». 

 

L’eccessivo ricorso ai centri di accoglienza straordinaria 

 

Ma l’anomalia forse più grave del nostro sistema di accoglienza rilevata dalla Commissione, è «l’eccessivo ricorso ai centri di accoglienza straordinaria (CAS) Questi, concepiti quali strutture temporanee cui eccezionalmente ricorrere in situazioni di emergenza (articolo 11 decreto legislativo n. 142 del 2015), «sono in realtà diventati la regola costituendo il segmento, per numero di presenze di migranti, più importante del nostro sistema di accoglienza». I dati lo confermano. I migranti accolti in strutture temporanee erano al 31 dicembre 2014 circa il 50% rispetto al totale, al 31 dicembre 2015 il 67%, al 31 dicembre 2016 il 77,4% ed alla data del 17 novembre 2017 ben l'80,78%. E la percentuale dei migranti ospitati nei Cas, «nonostante l'impegno speso al fine di strutturare ed ottimizzare il dispositivo nazionale di accoglienza, è costantemente e sensibilmente aumentata negli ultimi anni». Tali centri «sono quelli - denuncia la commissione - che presentano le maggiori problematiche in termini di qualità dei servizi erogati specie di quelli alla persona volti alla informativa legale, alla mediazione culturale ed all'integrazione socio-lavorativa, di idoneità delle strutture e della loro ubicazione e di professionalità e specializzazione degli operatori impiegati». 

 

L’eccessiva durata di esame delle domande di asilo 

 

Da ultimo, l’eccessivo protrarsi dei tempi di esame delle domande di protezione internazionale sia in sede amministrativa che giurisdizionale, durante iquali il richiedente asilo ha diritto all'accoglienza a spese dello Stato, ha pesantissime ricadute sul sistema di accoglienza nazionale, determinando il sovraccarico di tutte le strutture ed il lievitare esponenziale dei costi dell'intero apparato». Da segnalare a tal proposito un recente rapporto di Medici Senza Frontiere evidenzia che «malgrado l'aumento delle Commissioni territoriali degli ultimi anni, il tempo medio intercorrente tra la presentazione della richiesta di asilo e la notifica dell'esito dell'audizione risulta essere di 307 giorni. In caso di diniego della protezione e di presentazione di un ricorso - si legge ancora nel report -, il tempo di permanenza nei centri può prolungarsi di ulteriori 10 mesi, il tempo medio necessario per giungere all'esito del primo grado di appello».