Immigrazione  - Ivana VERONESE
Le Sezioni Unite della Cassazione bocciano il Decreto sicurezza
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18/11/2019  | Immigrazione.  

 

14 novembre 2019 - Con la sentenza n. 29460/2019  le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla immediata applicazione o meno della parte del decreto legge n. 113/2018 (convertito in legge n. 132/2018 – cd. decreto sicurezza) che ha abrogato l’art. 5, co. 6 TU immigrazione d.lgs. 286/98 che consentiva anche alle Commissioni territoriali di riconoscere al/alla richiedente asilo la protezione umanitaria, se rifiutata la protezione internazionale (rifugio politico o protezione sussidiaria).

 

Altra questione posta all’esame delle Sezioni Unite ha riguardato i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Contrasto sorto, in verità, tra due uniche pronunce (che ritenevano immediatamente applicabile il decreto sicurezza a tutti i procedimenti in corso e ritenevano che il diritto alla protezione nascesse con il suo riconoscimento) e la maggioranza della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la riforma del 2018 non poteva applicarsi alle domande presentate prima della sua entrata in vigore e  per il riconoscimento della protezione umanitaria davano rilevanza all’integrazione sociale del/della richiedente asilo in Italia comparata con la condizione a cui sarebbe stato/a esposto/a  in caso di rientro nel Paese, in termini di violazione dei diritti fondamentali.

 

Con la sentenza n. 29460/2019 le Sezioni Unite hanno aderito all’orientamento maggioritario (tra tutte: sentenza n. 4890/2019), ritenendo irretroattivo il decreto sicurezza e confermata la necessità della valutazione comparativa per il riconoscimento della protezione umanitaria.

 

Sotto il primo profilo, è di tutta evidenza l’annullamento della finalità perseguita dall’ex ministero dell’interno, di far cessare “la pacchia” dell’umanitaria, dato che le Sezioni Unite hanno affermato che “la normativa  introdotta  con il  d.l. n. 113  del 2018, convertito  con I.  n.132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente  disciplina contemplata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali,  non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore  (5  ottobre 2018) della nuova  legge”, le quali, pertanto, dovranno essere esaminate secondo la previgente normativa, con diritto al rilascio, se riconosciuta la tutela umanitaria, ad un permesso di soggiorno “casi speciali”, di durata biennale e convertibile alla sua scadenza.

 

Quanto ai presupposti della protezione umanitaria, le Sezioni Unite hanno confermato l’approdo cui era giunta la storica sentenza n. 4455/2018 (seguita da moltissime altre), che ha valorizzato l’integrazione sociale, in attuazione dell’art. 2 della Costituzione e dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, affermando la necessità di compararla con il rischio di violazione dei diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine. Diritti che non costituiscono un catalogo chiuso bensì aperto.

 

La sentenza a Sezioni Unite riafferma, infatti, che “l’orizzontalità  dei  diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza“.

 

La causa che aveva dato occasione per il rinvio alle Sezioni Unite era stata proposta dal Ministero dell’interno contro una decisione della Corte d’appello di Trieste che non aveva effettuato detta comparazione e pertanto la Cassazione ha rinviato a detta Corte territoriale affinché applichi, nel caso specifico, i principi giurisprudenziali affermati dalle Sezioni Unite.

 

Ecco, pertanto, che sono del tutto fuorvianti e manipolatorie le affermazioni secondo le quali le Sezioni Unite della Cassazione avrebbero dato ragione all’ex ministro dell’interno, padre del decreto sicurezza.

 

E’ vero l’esatto contrario, perché quel decreto legge n. 113/2018 ha eliminato una clausola di salvaguardia dell’intero sistema (anche) della protezione internazionale, senza preoccuparsi né dell’esistenza di precisi obblighi costituzionali ed internazionali sottesi all’art. 5, co. 6 TU immigrazione, né degli effetti che l’abrogazione del permesso di soggiorno avrebbe provocato.

 

Tra essi possono annoverarsi l’abnorme percentuale di rigetti delle domande di protezione internazionale, l’aumento vertiginoso del contenzioso giudiziale con danni enormi alle finanze pubbliche, la creazione di una moltitudine di irregolari, esposti a sfruttamento lavorativo e che favoriscono il lavoro nero, con ulteriori danni all’erario pubblico.

 

L’insicurezza provocata dal decreto legge n. 113/2018 è stata oggi in parte attenuata grazie alla Corte di cassazione e ora le Commissioni territoriali si troveranno a dovere riesaminare migliaia di richieste per le quali, dal 5 ottobre 2018,  si sono astenute dall’esaminare anche la protezione umanitaria, con ulteriore danno alle finanze pubbliche.

 

Questi i risultati, per ora, del decreto sicurezza e l’ex ministro non può certamente cantare vittoria.