Immigrazione  - Ivana VERONESE
Convegno: «Lavoro, un diritto per tutti/e?»
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03/04/2019  | Immigrazione.  

 

Di Francesca Cantini

 

Si è svolto giovedì 21 presso il centro Matemu’ di Roma, un dibattito sui diritti dei lavoratori, caporalato, migrazione, tratta, mobilitazione nelle campagne dal titolo “LAVORO, UN DIRITTO PER TUTTI/E?” Al tavolo avvocati e associazioni hanno affrontato il tema dello sfruttamento dei migranti.

 

L’avvocato Lucio Andreozzi ha aperto i lavori parlando della regolamentazione delle relazioni tra datore di lavoro e lavoratore e quella attinente alle assicurazioni sociali e previdenziali. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è quel contratto con cui un soggetto (il lavoratore) si impegna, senza vincolo di durata – dietro versamento di una retribuzione – a prestare la propria attività lavorativa sottoponendosi al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del proprio datore di lavoro. Questa è l’unica tipologia riconosciuta e garantita per  il  lavoratore il quale  rappresenta la parte debole del contratto.

 

Purtroppo, molto spesso, questa rimane puramente teoria quando si tratta di lavoratori extracomunitari. Sono ancora moltissimi i lavoratori migranti sfruttati, in particolare nelle campagne italiane, costretti a vivere in ghetti, tendopoli, fabbriche abbandonate, spesso senz’acqua e servizi igienici.

 

Fabio Ciconte, presidente di Terra onlus, ha dichiarato che la lotta allo sfruttamento lavorativo va oltre il semplice contrasto al caporalato, ma deve essere innanzitutto promossa e supportata dalla Grande Distribuzione, dalle aziende di trasformazione e da tutti i soggetti intermediari. Questi soggetti dovrebbero garantire che i prodotti messi in commercio non siano il frutto dello sfruttamento dei lavoratori e che i produttori non ricorrano all’intermediazione illecita di caporali e a forme di lavoro nero.

 

Alla domanda del moderatore che chiedeva se questi lavoratori siano sindacalizzati, Antonello Mangano fondatore di Terrelibere.org ha risposto citando fatti di cronaca, quali:

 

La strage di Castel Volturno, avvenuta il 18 settembre 2008 detta anche strage di San Gennaro; sei giovani migranti africani vengono uccisi da un commando della camorra casalese; la protesta delle rotonde, organizzata dai lavoratori extracomunitari dell’agricoltura e dell’edilizia che, sostando alle 5 del mattino nelle rotatorie stradali, esibivano un cartello con su scritto “ OGGI NON LAVORO A MENO DI 50€”; e infine la rivolta di Rosarno, accaduta il 7 gennaio 2010 dove centinaia di lavoratori extracomunitari  impegnati in agricoltura marciarono ingaggiando diversi scontri con la polizia. Tutti questi episodi rappresentano la volontà di reagire dei lavoratori extracomunitari che vivevano e lavoravano in condizioni al limite del sopportabile.

 

“È stato il loro “modo di organizzarsi” per fare emergere le loro condizioni disumane, ha testimoniato Mangano”. “Non è semplice per loro avvicinarsi al sindacato ne tantomeno denunciare i datori di lavoro e i caporali. L’emersione del lavoro nero o addirittura la denuncia per riduzione in schiavitù non è premiante per il lavoratore extracomunitario. Anzi molto spesso rischia sanzioni e la denuncia per clandestinità”.  Anche la tratta di esseri umani, argomento affrontato dall’avvocato Salvatore Fachile di Asgi, continua a crescere; grazie a guerre, eccidi, persecuzioni, miseria che spingono molti emarginati a subire condizioni disumane e asservimenti ai racket che gestiscono le migrazioni i cui proventi arricchiscono le casse della criminalità organizzata. La maggior parte delle vittime sono donne e vengono asservite a fini di sfruttamento sessuale. Altre lo sono a scopo di sfruttamento lavorativo, per essere avviate ad attività criminali o essere sottoposte a rimozione di organi.

 

Non pochi sono i minori, di entrambi i sessi, destinati all’accattonaggio o a produrre materiale pornografico.I motivi che spingono queste donne a prostituirsi variano a seconda del paese di origine, della cultura, del livello di miseria che si ritrovano addosso. Insomma i loro sono Paesi con un alto tasso di povertà, dove spesso le donne non hanno un futuro decente che le attenda, o dove il loro futuro è già stato programmato da altri (la famiglia), o peggio ancora dove a prevalere è la cultura maschilista: l’uomo comanda, la donna subisce. Per queste donne l’unica via d’uscita è scappare, andarsene dalla propria terra, da sole o con qualcuno. Per farlo bisogna pagare un prezzo molto alto; ma il prezzo per loro non è mai troppo alto quando si cerca il benessere, vivere meglio, avere un po’ più di niente. E’ vero che si va incontro a qualche cosa che non si conosce, ma si pensa che sia sempre meglio di quello che si lascia.  Sullo sfondo resta il tema della clientela, il vero motore di guadagni della prostituzione. 

 

Anche lo sfruttamento delle donne migranti nel lavoro domestico, pone l’accento sull’altissimo rischio di sfruttamento che caratterizza questo settore. Le lavoratrici intervistate, vittime di sfruttamento lavorativo, riportano di essere state soggette a trattamenti umilianti e degradanti e violazioni di privacy; abusi e maltrattamenti da parte del datore di lavoro, di avere percepito retribuzioni inferiori ai minimi, non corrispondenti alle ore di lavoro svolte e comunque soggette variazioni decise unilateralmente dal datore di lavoro; di essere state costrette a lavorare con orari estenuanti, dalle dieci alle diciotto ore, molto spesso senza neanche un giorno di riposo.

 

Lo sfruttamento lavorativo, riconosce che la “dipendenza sul datore di lavoro” rappresenta in proposito un fattore centrale. Tale condizione è spesso generata dall’irregolarità di status della lavoratrice, dall’impossibilità in alcuni ordinamenti di cambiare datore di lavoro per tutta la durata del visto d’ingresso o più semplicemente dal bisogno di avere la collaborazione del datore di lavoro ai fini del rinnovo del titolo di soggiorno. Essa è spesso aggravata da situazioni di convivenza con il datore di lavoro, che impongono alle lavoratrici di cercarsi anche un’altra abitazione oltre ad un altro lavoro, enormi pressioni derivanti dalla necessità di provvedere ai bisogni della famiglia nel Paese di provenienza, situazioni di isolamento e in alcuni casi di vere e proprie forme di restrizione della libertà.

 

La condizione prevalente del soggetto vittima della tratta è l’isolamento sociale.   I relatori hanno più volte ripetuto come siano necessarie verifiche sulla qualità dei percorsi di accoglienza e integrazione, perché annullare nei fatti il sistema dell’accoglienza diffusa realizzata in collaborazione con le amministrazioni locali, la promozione di comunità accoglienti e integrate che può essere testimoniata da numerose buone pratiche e ridurre il tema delle migrazioni umane alla esclusiva attività di sicurezza,  non aiuta  il progredire di questo nostro Paese verso una visione certa e condivisa dei diritti umani di donne e uomini senza distinzione di sesso, razza e religione, come recita la nostra costituzione.