Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 07/12/2017
L’esodo delle donne migranti: «Ecco perché portiamo via i nostri figli dall’Italia»
L’esodo delle donne migranti: «Ecco perché portiamo via i nostri figli dall’Italia»
07/12/2017  | Immigrazione.  

 

lastampait

 

Le famiglie di seconda generazione, più integrate e stabili, preferiscono la Francia: “Qui in Italia se nasci lavapiatti muori lavapiatti, altrove il lavoro è più tutelato”.

 

Karima Moual, 06 dicembre2017

 

Nadia ha la valigia sulla poltrona da giorni. La riempie, la svuota e poi la disfa ancora una volta per poi riempirla ancora. Quella valigia è diventata la rappresentazione plastica di una scelta complicata ma già presa. Vuole lasciare l’Italia, la sua seconda casa, dopo 16 anni di residenza nella Pianura Padana e la cittadinanza italiana in tasca. “Ormai, chi può se ne va - racconta Nadia - perché non c’è più niente da fare qui. Solo lavoro irregolare e zero diritti. Sono dieci anni che lavoro in nero come aiuto cuoca in un ristorante, a 6 euro l’ora.

 

Oggi mi sono bruciata la mano e sono a casa senza nessuna tutela né soldi. Non esisto. Prendere questa decisione è un dovere verso i nostri figli, che di certo non avranno la nostra pazienza. È per dargli un’opportunità migliore della nostra, adesso che non siamo troppo vecchi per una seconda emigrazione. O oggi, che sono ancora piccoli, o mai più” dice come per farsi coraggio tenendo stretto il foulard sulla testa. 

 

Direzione Francia, dunque. Come hanno già fatto amiche e conoscenti. Donne coraggiose che hanno preso l’iniziativa e anticipato i mariti con al seguito i figli. Qualche mese per ambientarsi, per sistemarsi e poi farsi raggiungere. Ormai il passaparola è girato tra la comunità maghrebina e Nadia, come Fatima e le altre, sono più decise che mai. “Perché ai nostri figli - racconta Fatima - non possiamo regalare un futuro di cittadini di serie B. Se c’è una lezione che abbiamo imparato, in questi anni in Italia, è che se nasci lavapiatti muori lavapiatti, e se già i giovani italiani non riescono a trovare lavoro dopo la laurea figuriamoci i nostri che sono di origine straniera, musulmani e senza raccomandazioni.

 

Purtroppo è questa la realtà dei fatti”, si sfoga Fatima, anche lei prossima alla partenza per Lyon, aspetta solo l’estate, una volta terminate le scuole dei tre figli. Parole e storie molto lontane dall’emergenza politica e mediatica sull’immigrazione. Rimangono ancora sotto traccia perché si tratta di partenze più che di arrivi. Una realtà che non è solo un passaparola tra le comunità straniere (”Lo sai che la famiglia di Bouchaib sono partiti?”), ma è confermata anche dai dati della Fondazione Leone Moressa.

 

Negli ultimi 8 anni, le immigrazioni nel nostro paese sono diminuite del 48% (da 527 mila a 273 mila arrivi), mentre sono quasi triplicate le emigrazioni (da 51 mila a 145 mila, +184%). Nel 2007, il saldo migratorio netto (differenza tra arrivi e partenze) era 476 mila, mentre nel 2015 si è ridotto a 128 mila (-73%). Questa tendenza conferma la diminuzione progressiva di ingressi in Italia, con una simultanea crescita delle partenze. “La vecchia generazione della comunità? sono andati tutti via. Chi in Marocco, ma soprattutto in Francia - racconta Abderrahim Bastajib, rappresentante del centro islamico in Valle d’Aosta - sono almeno 200 le famiglie che conosco e che si sono spostate dalla regione Valle d’Aosta, a quelle limitrofi, come Chamonix.”  Per tornare al paese d’origine, ci vogliono molte risorse e un progetto solido.

 

Troppo presto e troppo rischioso per chi è a metà del suo processo di emigrazione (l’immigrazione in italiana è ancora giovane rispetto agli altri paesi europei) e che spera di portarlo avanti ripartendo da un altro paese ma sempre con un piede in Europa. Però non tutti possono permetterselo. L’identikit di chi parte, rimanendo in Europa, è di chi è nel nostro paese da molti anni, quindi con cittadinanza italiana, e con un mestiere da vendere altrove. Una cattiva notizia per il nostro paese se a partire è la miglior immigrazione, quella stabile e integrata. Perché “in Francia, se non hai queste due carte, fai una fine peggiore dell’Italia” racconta Saida, in Francia con i figli da agosto.

 

“Non è certamente una realtà accomodante. Ci sono i pro e i contro. Il lavoro lo trovi, ma devi sempre avere un titolo per conquistarlo.” Idraulico, falegname, muratore, piastrellista o fabbro. Sono solo alcuni degli esempi della mano d’opera straniera made in Italy che si sposta in Francia. Ma la tendenza nuova è quella dell’emigrazione femminile che anticipa. Chiusa la valigia, la strada rimane solo una, e questa volta sono le donne maghrebine a intraprenderla e a segnare una nuova tendenza. Per non fare un salto nel vuoto, si studia il progetto nei minimi dettagli.

 

Si sceglie di lasciare il marito in Italia, appeso a un lavoro precario. Occorrono 8-10 mila euro per partire, stabilirsi per qualche mese con i figli, procedere alla loro iscrizione nelle scuole, trovare un lavoro nei servizi (molto più semplice per una donna) e infine conquistarsi la Carte Vitale (sicurezza sociale), che di fatto è il pass per considerarsi benvenuto in Francia. Queste donne silenziose, con dignità e coraggio, provano con una nuova partenza a ridisegnare un altro futuro per i loro figli e i loro mariti, perché il loro viaggio di emigrazione proceda in salita e non si consumi con un fallimento.