È dal 2009 che non si fanno contratti nella pubblica amministrazione. Le argomentazioni che vengono addotte da esponenti del Governo sono: c'è la crisi, ci sono molti disoccupati e, quindi, non ci sono soldi da destinare alle retribuzioni. Con queste argomentazioni i contratti non saranno rinnovati per i prossimi dieci anni.

È una posizione inaccettabile: sembra che non abbiano un'idea chiara di cosa significa governare un Paese ed essere un datore di lavoro. Ci sono imprenditori che riescono a decidere come scambiare retribuzione con miglioramento della qualità del lavoro e, quindi, con il merito: il Governo pensa, forse, che queste cose le debbano fare i sindacalisti e che si debbano trasformare in capi ufficio decidendo loro in materia? Su questo fronte, quello del rapporto con i dipendenti pubblici, emerge un atteggiamento di imperizia.

Anche lo scorso anno, le argomentazioni a giustificazione del blocco dei rinnovi contrattuali sono state identiche. Nel corso dell'ultimo week-end, il Governo ci ha raccontato che avrebbe ridotto il numero delle aziende partecipate di 1200 unità. Tre giorni dopo, invece, ha rinviato la decisione e ci ha spiegato che bisognava bloccare i contratti nel pubblico impiego: è normale che, come minimo, le gente si irriti.  

Roma, 5 settembre 2014