Con le nuove regole del Jobs Act, più che un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti rischiamo di essere in presenza di un contratto a tempo determinato fortemente incentivato.
Ribadiamo, infatti, che, così come è strutturato al momento il Jobs Act, si potrebbero generare condizioni paradossali favorevoli all’azienda che decidesse di lucrare sul licenziamento. Ricordiamo che, per uno stipendio di 22 mila euro, il saldo attivo per l’impresa tra benefici contribuitivi e costo del licenziamento (illegittimo) potrebbe essere di 7.258 euro, se il licenziamento avviene dopo 1 anno, e di 11.622 euro, se il licenziamento avviene al termine dei 3 anni. E’ necessario che ciò non accada.
Semmai, per favorire la stabilizzazione del rapporto di lavoro, si deve prevedere una “premialità” per quelle imprese che non hanno abusato del nuovo meccanismo.
Inoltre, va escluso ogni criterio che, di fronte a un atto considerato immotivato e illegittimo, eluda il diritto del lavoratore di rivolgersi con serenità a un giudice terzo.
Ecco perché è impensabile sia la sola idea di attribuire all’impresa la decisione di qualificare lo “scarso rendimento”, tout court, come un licenziamento economico e, quindi, di prevedere, nel caso dell’illegittimità, sanzioni bassissime, sia l’idea di estendere le novità del provvedimento ai licenziamenti collettivi.
La UIL, infine, è assolutamente favorevole al superamento della cattiva precarietà: ci aspettiamo che, da subito, il Governo emani il decreto di eliminazione di tali tipologie.